Molto meno sensazionistica delle rivolte avvenute per le strade da parte dei commercianti in piena crisi economica a causa dell’emergenza sanitaria, sicuramente non folkloristica come le manifestazioni dei negazionisti e dei no vax, eppure anche la cultura sta combattendo la sua piccola grande battaglia.
Dalle esternazioni di resilienza da parte di musei e istituzioni che ogni giorno mettono in scena, virtualmente, eventi, esposizioni e manifestazioni, passando per la campagna social #ShareCulture da parte dell’Unesco per promuovere l’accesso alla cultura in questo periodo storico tutt’altro che semplice, terminando con la protesta dei lavoratori dello spettacolo che, come possono, manifestano la loro disperazione.
Eppure di tutto questo se ne parla poco. Le riviste specializzate in viaggi, forse, condividono le iniziative di resilienza delle istituzioni culturali, qualcuno lancia appelli per salvare teatri e altri luoghi simboli di arte e cultura sparsi nel mondo che rischiano di non riaprire mai più le porte al pubblico.
Un problema poco rilevante
Eppure il problema non sembra così rilevante agli occhi degli altri, come dimostra il fatto che questo settore, evidentemente considerato superfluo, è perennemente in cima alla lista dei decreti chiusura. Il più grande, forse, a farne le spese silenziosamente.
E a nulla sono valse le richieste del popolo dei lavoratori dello spettacolo, proprio loro che hanno precisato che questi luoghi, nonostante la grande bellezza che li caratterizza, non sono punti di assembramento. Precisando come, gli organizzatori, sono in grado di realizzare le stesse misure di sicurezza messe in atto nei negozi, dagli appositi percorsi di entrata e di uscita al rispetto del distanziamento.
A questo si aggiunge uno studio condotto dall’Agis, l’Associazione Generale Italiana dello Spettacolo, che ha portato alla luce una realtà interna ai teatri e ai luoghi di cultura più che sicura. È stato rilevato, infatti, che su circa 350 mila persone che si sono recate a concerti e spettacoli all’interno di teatri durante la riapertura, solo uno di loro è risultato contagiato. Lo studio fa riferimento alle segnalazioni pervenute dalle ASL che hanno registrato un solo caso di contagio da Coronavirus.
Prima della pandemia
Nonostante sia appurato che le attività culturali ricoprano un ruolo fondamentale nella nostra società, la conferma di quanto queste siano poco rilevanti agli occhi di chi governa il Paese affonda le sue origini in tempi non sospetti. Insomma, lo scarso accesso e il mancato godimento di queste non è solo una questione pandemica.
Da sempre le attività culturali sono in cima alle liste dei tagli nei bilanci quando i conti non tornano, perché, appunto, non sono considerati servizi essenziali, ma superflui e accessori. Per questo non dovrebbe poi stupirci così tanto la situazione in cui verte il settore in piena crisi data dall’emergenza sanitaria.
Secondo il rapporto annuale di Federculture redatto nel 2018, che ha analizzato gli investimenti dell’ultimo decennio, è emerso che c’è stato un calo di finanziamenti pubblici, nei confronti del settore, di circa 700 milioni. Al contrario, però, la comunità ha ricominciato a investire della cultura come dimostra lo stesso rapporto. Insomma, la partecipazione agli eventi artistici, teatrali, musicali e culturali, ha registrato un aumento del 3% dimostrando che quindi, la richiesta all’accesso alla bellezza e alla conoscenza c’è, ma non viene accolta da chi di dovere.
La società del superfluo
Dal report di Federculture emerge, però, un altro paradosso che riguarda l’interesse della comunità nei confronti della cultura. È stato stimato che il 40% degli italiani è culturalmente inattivo, un dato che conferma che quasi la metà della popolazione rinuncia al teatro, al cinema e alla musica classica, per esempio.
In tutto questo il nostro governo, nonostante le promesse, non è mai intervenuto con un piano dedicato all’educazione della cultura. Eppure, a guardare il rovescio della medaglia, la cultura non sembra così superflua come i dati ci portano a pensare. Un chiaro esempio è dato dai programmi televisivi culturali e di divulgazione scientifica che, nonostante siano sempre meno, ottengono spesso ottimi ascolti, più dei programmi trash che sembrano detenere il monopolio in tv.
Il bene comune per la società resiliente
Il problema culturale in Italia c’è ed è precedente alla crisi pandemica che stiamo vivendo. L’intera società è allo stremo e, psicologi e scienziati sono d’accordo sul fatto che le più grandi conseguenze dell’arrivo della pandemia si faranno sentire negli anni avvenire.
Ma è proprio in questo contesto apparentemente catastrofico che l’arte e la cultura diventano la boccata d’ossigeno che dona sollievo. Basta dare uno sguardo a quello che sta succedendo sui social network, da un anno a questa parte, per capire quanto è importante il messaggio positivo e di resilienza che solo la cultura sa dare a una comunità intera isolata da mesi.
Lo hanno dimostrato i canti e i balli fatti dai balconi d’Italia, ma anche tutte quelle attività virtuali organizzate dai musei, dai teatri e dalle istituzioni culturali che, costrette alla chiusura, hanno aperto le porte virtuali degli edifici per un accesso di massa.
L’Unesco stessa sta incoraggiando i siti conclamati Patrimonio dell’Umanità a fare lo stesso: è per loro che è stata messa a disposizione la piattaforma World Heritage Journeys in Europe, la stessa che offre la possibilità a tutti i noi di esplorare i siti patrimonio dell’umanità in Europa. Certo ci sono delle problematiche più che reali. Dal sito ufficiale del Centro Informazioni Regionale delle Nazioni Unite si apprende che solo il 47% della popolazione ha accesso a internet, e il divario riguarda soprattutto il Paesi in via di sviluppo.
Anche sull’accesso alla cultura, inoltre, ci sono differenze di genere. Secondo l’OECD, infatti, più di 20 milioni di donne non hanno accesso a uno smartphone con connessione a internet, rispetto alla controparte maschile, aumentando quindi il gender gap anche a livello culturale.
Ma la verità è che ora, più che mai, l’umanità ha bisogno della cultura perché è lei che ci rende resilienti e ci dà speranza, ed è ancora lei che ci ricorda che non siamo soli. La condivisione, infatti, negli ultimi mesi è avvenuta soprattutto attraverso la cultura trasmessa da artisti e creatori, gli stessi che stanno subendo il contraccolpo più importante.
In un momento in cui siamo fisicamente costretti a restare separati, e a sopravvivere, la cultura riduce le distanze e ci mantiene connessi, e soprattutto vivi. Perché lei è indispensabile.