Olimpiadi, la lotta alla discriminazione passa anche per l’abbigliamento

Dalle atlete tedesche che preferiscono la tuta alle nuotatrici statunitensi che lottano per avere delle cuffie adatte ai capelli afro: le donne dicono la loro. E si fanno sentire

Pubblicato: 27 Luglio 2021 15:14

DiLei

Redazione

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Le Olimpiadi di Tokyo saranno ricordate come le più inclusive di sempre, almeno finora. Da più parti è stato fatto notare come siano i Giochi che ospitano più atleti della comunità arcobaleno e anche in quest’ottica è stata vista la scelta del CONI e del CIO di scegliere una paladina della lotta alle discriminazioni come Paola Egonu per portare la bandiera olimpica alla cerimonia di apertura dello scorso 23 luglio.

Eppure c’è ancora molto da fare, come si evince dalle tante rimostranze e dai gesti simbolici di diversi atleti. In queste ultime ore si parla tanto, per esempio, della scelta delle ginnaste della nazionale tedesca di esibirsi con una tuta aderente e completa di pantaloni invece del classico body, per mettere “fine alla sessualizzazione della ginnastica e delle donne”. Una mise indossata già ad aprile, in occasione degli Europei di Ginnastica artistica: “Ogni ginnasta dovrebbe essere in grado di decidere in quale tipo di tuta si sente più a suo agio”, ha spiegato Elisabeth Seitz, giovane atleta del team.

Sui social alcuni utenti hanno bollato questa presa di posizione come antifemminista, poiché – secondo loro – rischia di far passare il messaggio che per combattere la sessualizzazione delle donne sia meglio coprirsi. In realtà il ragionamento di Seitz e compagne è più profondo e punta proprio a sensibilizzare sull’importanza della piena libertà che le donne dovrebbero avere riguardo il loro corpo e la voglia – o meno – di esibirlo.

Tra i motivi che hanno spinto le ginnaste tedesche a utilizzare la tuta con i pantaloni, infatti, c’è anche la volontà di evitare il senso di disagio durante le esibizioni, quando il classico body rischia di muoversi e lasciare scoperte parti del corpo creando imbarazzo nelle atlete, che sono impossibilitate a sistemare i costumi perché, da regolamento, incorrerebbero in penalità e riduzione del punteggio finale. La tuta aderente, la stessa utilizzata dai colleghi maschi, risolve questo tipo di problema. “E noi vogliamo essere considerate e trattate come gli uomini”, ribadisce Seitz.

Fonte: GettyImages
La Nazionale tedesca di ginnastica

Le ginnaste tedesche non sono le uniche ad aver compiuto un gesto di rottura rispetto alla tradizione. Nelle ultime ore è diventata un “caso” la vicenda delle cuffie Soul Cap, quelle dedicate alle chiome voluminose e ribatezzate le “cuffie per capelli afro”, vietate dalla Federazione internazionale di nuoto. La FINA non ha consentito l’utilizzo all’Olimpiade perché non si adatterebbereo alla forma naturale della testa e non sarebbero dunque considerate aderenti agli standard.

Ed è qui che sta il punto. Chi stabilisce quale sia lo standard? E perché dovrebbe essercene solo uno? Della questione si sono occupate anche testate blasonate come il New York Times e il Guardian e 14 senatori statunitensi hanno persino firmato una lettera alla Federazione per chiederle di rivalutare la decisione. “È troppo tempo — si legge nella lettera dei senatori — che la gente nera si è dovuta uniformare a norme pensate per escluderle”.

Insomma, nonostante l’impegno e la sempre maggiore attenzione, sono ancora molte le questioni aperte quando si parla di inclusività. E lo sport può fare ancora una volta da apripista ed essere da esempio per tutti. Basta solo convincersi che certi muri sono fatti per essere abbattuti.

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