Libere, forti e ribelli, coraggiose, se serve. Siamo esattamente così noi donne, e guai a chi osa dire il contrario. Ed è questo il messaggio che dobbiamo trasmettere alle future generazioni per difenderci dal germe del maschilismo che non è mai morto e ancora si insinua, in maniera meschina, nella società di oggi.
Dobbiamo farlo per noi e per il valore che abbiamo scelto di attribuirci, per tutte le lotte che altre donne hanno combattuto per noi, prima di noi. per tutto quello che facciamo e che scegliamo di essere ogni giorno. E sarebbe bello credere che i pregiudizi, le discriminazioni e il maschilismo siano solo un ricordo lontano. La verità è che oggi, ancora, alcune subdole convinzioni avviliscono la società, i nostri ruoli e le posizioni.
Ecco perché il monologo di Paola Cortellesi resta sempre attuale e lo sarà anche negli anni avvenire. Lei che fiera e orgogliosa nel 2018 raggiunse il centro del palcoscenico, in occasione della 62ª edizione dei David di Donatello, per raccontare, attraverso un testo scritto da Stefano Bartezzaghi, come la lingua italiana nasconda in sé del maschilismo. Perché sì: le differenze di genere passano anche per le parole.
Le differenze di genere passano anche per le parole: il monologo di Paola Cortellesi
Ho qui un piccolo elenco di parole preziose. È impressionante vedere come nella nostra lingua alcuni termini, che al maschile hanno il loro legittimo significato, se declinati al femminile, assumono improvvisamente un altro senso, cambiano radicalmente, diventano luogo comune; luogo comune un po’ equivoco che poi, a guardar bene, è sempre lo stesso, ovvero un lieve ammiccamento verso la prostituzione. Vi faccio un esempio. Un cortigiano: un uomo che vive a corte. Una cortigiana: una… mignotta. Un massaggiatore: un cinesiterapista. Una massaggiatrice: una… mignotta. Un uomo di strada: un uomo del popolo. Una donna di strada: una… mignotta….
Parole pesanti che noi donne sentiamo da tutta una vita, termini che non si preoccupano neanche poi tanto di nascondere questa discriminazione che riguarda l’universo femminile.
Certo, se le parole fossero la traduzione dei pensieri, allora sarebbe grave, sarebbe proprio un incubo fin da piccoli. Eh, sì. All’asilo, un bambino maschio potrebbe iniziare a maturare l’idea che le bambine siano meno importanti di lui. Da ragazzo potrebbe crescere nell’equivoco che le ragazze in qualche modo siano di sua proprietà. Da adulto potrebbe – è solo un’ipotesi! – pensare sia giusto che le sue colleghe vengano pagate meno e, a quel punto, non gli sembrerebbe grave neppure offenderle, deriderle, toccarle, palpeggiarle, come si fa con la frutta matura o per controllare le mucche da latte. Se fosse così potrebbe anche diventare pericoloso. Sì si. Una donna adulta, o anche giovanissima, potrebbe essere aggredita, picchiata, sfregiata dall’uomo che l’ama. Uno che l’ama talmente tanto da pensare che lei e anche la sua vita sono roba sua, roba sua, e quindi può farne quello che vuole. Per fortuna, sono soltanto parole, solo parole, per carità!
E proprio perché sono solo parole queste affermazioni scivolano via, senza che nessuno si fermi riflettere su quello che ha realmente fatto, senza che nessuno si indigni mai abbastanza. Eppure il passo tra le parole e i fatti è assai breve.