Giulia aveva dei dolori lancinanti che limitavano la sua libertà di azione e anche quella di pensiero. In quei giorni determinati giorni non riusciva neanche ad alzarsi dal letto ed era costretta a non andare a lavoro, a sospendere qualsiasi altra attività dentro e fuori casa, ma per i medici non il dolore era solo nella sua testa e come tale andavo curato a suon di psicofarmaci.
Francesca ha perso tanto, troppo a causa di questa malattia. Una malattia che non è stata riconosciuta da nessuna di quelle persone che conosceva, neanche dai medici che si dovevano occupare di lei. Le dicevano che era colpa del suo status da single, che se avesse fatto figli, tutto sarebbe passato. Ma così non è stato.
Lucia conosce bene i corridoi dell’ospedale della sua città, perché in quelli si è trovata a camminare più volte, non sempre con le sue gambe perché i dolori sono così forti che la costringono spesso a stare seduta su una sedia a rotelle o sdraiata su una barella mentre aspetta di essere visitata. Ma questo alle sue colleghe di lavoro non importava, perché mentre la donna era a casa a riposare, erano loro a doversi sobbarcare delle sue scadenze. E il suo capo era così deluso da quella donna e dalle sue fragilità che l’ha dovuta licenziare.
Vania ha sofferto tantissimo, è arrivata a fare fino a 5 iniezioni di Toradol al giorno e i medici non ne venivano a capo. Si sentiva smarrita ed era sola. Nessuno ha creduto alla gravità della sua malattia, come dimostrano il mobbing subito e poi il licenziamento.
Storie di un dolore vissuto, ieri e oggi
Queste sono solo alcune storie di endometriosi che ho ascoltato in queste settimane. Storie vere, di un dolore vissuto fuori e dentro il corpo, a volte soffocato per paura del giudizio e dell’incomprensione degli altri. Storie di una malattia invisibile che non è riconosciuta dai ciechi della nostra società, quelli che spingono queste donne a mettersi in un angolo, ad auto emarginarsi per soffrire in solitudine, o al più per curarsi nei reparti di psichiatria.
Come se la storia, la medicina e la scienza non ci avessero insegnato niente. Come se quel riconoscimento da parte del Servizio sanitario nazionale come malattia cronica non esistesse. Come se fossimo tornate nel Medioevo quando a causa dell’endometriosi le donne erano colpevolizzate e demonizzate. Erano considerate pazze, folli, promiscue o isteriche. Erano considerate delle streghe.
A quei tempi per loro venivano scelte camice di forza o terapie con applicazioni di sanguisughe. Altre volte si ricorreva alle mutilazioni genitali o alla gravidanza. Oggi quello spettro dell’isteria divagante che rischia di colpire pesantemente il mondo femminile sembra esistere e persistere. Eppure queste donne, ieri come oggi, non sono pazze perché l’endometriosi è reale.
La storia di Vania Mento
E di pazzia ne sa qualcosa anche Vania Mento, l’attivista dai capelli rosa che ho incontrato qualche hanno fa e che ho intervistato proprio qui. Anche a lei l’endometriosi ha portato via tutto, o almeno ci ha provato. Ma come una fenice, lei, è saputa risorgere dalle sue ceneri e da quelle ha cominciato a combattere, non solo per se stessa.
I tempi in cui i medici le consigliavano di fare una tac al cervello quando accusava i dolori, e quelli in cui le sue colleghe la vessavano per i continui giorni di malattia sono lontani, perché Vania oggi è una donna consapevole della sua malattia, la stessa che non nasconde più dietro ai suoi grandi occhi e ai capelli color pastello.
È lei stessa a raccontarci della sua storia e di tutte quelle delle donne che ha incontrato e che ha aiutato, che ha preso per mano e che ha accompagnato in quella strada che avevano intrapreso in solitudine, stanche di sentirsi ripetere che il dolore era solo nella testa o che tutto era risolvibile con un medicinale per il mal di pancia.
Così, forte della sua stessa esperienza, Vania Mento ha iniziato un’attività informativa e divulgativa, ma anche di supporto per tutte le donne che sono affette da endometriosi fondando l’Associazione La voce di una è la voce di tutte.
Marzo, il mese dell’endometriosi
A marzo, la voce di quel dolore vissuto forte di un eco risonante dato dalla condivisione, torna a fare rumore. Lo fa perché questo è il mese che è stato scelto dalla Fondazione Italiana Endometriosi per sensibilizzare il nostro Paese e tutti i suoi abitanti su questa patologia, per diffonderne la coscienza, per parlarne. Affinché nessuna più sia lasciata sola, affinché nessuna donna più si senta sola.
Ed è in questo contesto che promuove la consapevolezza di tutti che si inserisce l’Associazione di Vania Mento che ha proprio come obiettivo il proposito di ampliare e diffondere la cultura e la conoscenza della endometriosi, occuparsi dei concetti di unione e sorellanza e comunicare l’importanza della diagnosi precoce, nel rispetto dei reciproci diritti e della propria storia culturale.
Il nome stesso dell’associazione La voce di una è la voce di tutte racconta il suo significato più ampio, fatto di voci e azioni, per aiutare chi non sa come affrontare il dolore, il timore, i giudizi. Le voci di chi ha già affrontato l’inferno delle malattie invisibili e di chi lo sta vivendo adesso.
Un’associazione fatta di persone con storie, esperienze, lavori e stili di vita differenti, accomunate però dall’esigenza di riflettere e sensibilizzare, di fornire degli strumenti per stimolare la consapevolezza sull’endometriosi. La stessa associazione che illuminerà le strade di Roma di giallo, il colore dell’endometriosi, sabato 26 marzo alle ore 14.00 con un flashmob in Piazza del Popolo dedicato a tutte le patologie visibili e invisibili che sono sottovalutate, dove tutti sono invitati a dare il loro contributo.
La voce di una è la voce di tutte
Tante, tantissime le iniziative promosse dall’associazione La voce di una è la voce di tutte che si terranno a marzo ma non solo grazie alla presenza di novanta donne, che qui vengono chiamate tutor, che hanno proprio l’obiettivo di guidare le donne che soffrono di endometriosi verso una consapevolezza acquisita che passa anche per la prevenzione e la diagnosi precoce.
Progetti di solidarietà, accoglienza e informazione, nonché di sostegno che permettono ai malati di entrare in contatto con le strutture ospedaliere, alle giovani donne di approfondire e diffondere la conoscenza della malattia. Sono tre attualmente le iniziative sulle quali Vania Mento e le altre volontarie stanno lavorando. L’impegno è già iniziato con l’informazione, con la realizzazione di opuscoli, periodici, strumenti multimediali, informativi e promulgativi, da diffondere senza sosta nelle scuole, nelle associazioni sportive e in collaborazione con le istituzioni.
Poi c’è il progetto Endopank™️ che sta colorando le panchine delle strade e delle piazze delle città italiane in giallo, colore simbolo dell’endometriosi. Sono già 20 le panchine nelle principali province italiane che sono state colorate, le stesse sulle quali è presente una targhetta con QR Code che rimanda a un video esplicativo sull’endometriosi. Roma, Vibo Valentia, Palermo e Cuneo sono solo alcune delle città che hanno già aderito all’iniziativa.
E poi c’è il telefono giallo gratuito, un numero verde attivo dal lunedì al venerdì, dalle 17 alle 19, che funge da prezioso strumento di comunicazione tra le tutor e le donne affette da endometriosi. Le volontarie rispondono al numero 800189411 per dare un supporto emotivo, per chiacchierare con le altre donne e non farle sentire più sole. Voci per le voci che si uniscono e fanno rumore.