Epatite D: sintomi, cause e cura

L'Epatite D è un'infezione virale che colpisce il fegato e si verifica solo nelle persone infette da Epatite B, aggravandone i sintomi e le complicazioni

Pubblicato: 4 Aprile 2024 13:02

Carlotta Dell'Anna Misurale

Medico

Laureata in Medicina, appassionata di neurologia. Vanta esperienze in ricerca, con focus sui misteri del cervello e l'avanzamento scientifico.

L’epatite D è una infiammazione del fegato generata dall’infezione di due virus, il virus dell’epatite B (HBV) e il virus dell’epatite D (HDV).

Quest’ultimo appartiene alla classe di virus denominati “difettivi”, in quanto necessita della contemporanea presenza del virus B per potersi replicare. Come corollario di questa condizione, lo sviluppo dell’epatite D potrà verificarsi solo in soggetti HBV positivi, ossia affetti da Epatite B.

Le due modalità di infezione dell’epatite D

Ci sono due modalità d’infezione da HDV:

L’epatite D può essere di breve durata (acuta) oppure svilupparsi in modo lento e protrarsi nel tempo (cronica). Quando l’infezione da virus D si manifesta in una persona con l’epatite B cronica, nel 70-90% dei casi  essa accelera la progressione verso una patologia più seria.

La maggioranza delle infezioni Delta si presenta sotto forma di epatite acuta di gravità variabile in base alla presenza o meno di danno epatico preesistente.

L’infezione tende a cronicizzare nel 90% dei casi. Il tempo di incubazione può arrivare fino a sei mesi come nel caso dell’Epatite B o C.

Epidemiologia dell’epatite D

Si stima che nel mondo ci siano circa 10 milioni di persone affette da virus HDV. In modo analogo al virus dell’Epatite B, infatti, il virus dell’Epatite D è presente a livello globale.

Anche se la sua diffusione risulta più elevata nelle zone in via di sviluppo e tra le fasce di popolazione con un basso status socioeconomico. Secondo uno studio pubblicato nel 2020 sul Journal of Hepatology, pare che l’epatite D (o Delta) colpisca circa il 5% delle persone che hanno un’infezione da epatite B.

Lo studio evidenzia alte prevalenze di epatite D in alcune regioni, come la Mongolia, la Moldova e alcuni Paesi dell’Africa medio orientale. A livello mondiale, il numero complessivo di infezioni da HDV ha subito un forte decremento a partire dagli anni ’80.

Per quanto riguarda i diversi genotipi, il genotipo I è quello più largamente diffuso, il genotipo II è predominante in Giappone e a Taiwan, mentre il genotipo III è presente solo in Amazzonia.

Si noti poi come alcune indagini abbiano rivelato che in Europa e negli Stati Uniti circa il 25-50% dei casi di epatite fulminante inizialmente considerati casi di Epatite B erano in realtà provocati dal virus D.

Trasmissione del virus dell’epatite D

L’epatite virale da virus D si trasmette con sangue o liquidi corporei di una persona infetta. Più nello specifico il contagio avviene:

Le seguenti popolazioni sono a maggior rischio di contrarre l’infezione da HDV:

Le persone affette da epatite D dovrebbero:

Sintomi dell’epatite D

L’infezione acuta da virus dell’epatite D e B spesso non genera sintomi manifesti. Un soggetto, quindi, potrebbe non rendersi conto di averla contratta e contribuire alla diffusione dell’infezione.

Se i disturbi si presentano, di solito entro tre mesi dalla trasmissione, possono comprendere:

Anche l’epatite cronica può non provocare alcun sintomo evidente per periodi lunghi, fino a quando non si registra un’insufficienza epatica (condizione in cui il fegato cessa di funzionare correttamente). Questa situazione può essere ravvisata attraverso alcuni esami del sangue.

Per esempio la ricerca delle transaminasi, enzimi normalmente contenuti all’interno delle cellule del fegato che vengono rilasciati in grandi quantità quando le cellule del fegato vanno incontro a morte (necrosi) a causa dell’infiammazione.

In questi casi, potrebbero comparire anche altri sintomi come:

Nei casi più seri si potrebbe sviluppare un tumore al fegato (epatocarcinoma) con la seguente sintomatologia:

Complicazioni dell’epatite D

Un’infezione da epatite D può portare a gravi complicanze che includono:

Diagnosi, cura e prevenzione dell’epatite D

La diagnosi di epatite D avviene attraverso un prelievo di sangue e l’esecuzione dei relativi test (ricerca di anticorpi anti HDV e HDV-RNA). Dopo circa tre mesi dal contagio compaiono gli anticorpi diretti contro il virus D: la loro permanenza per mesi o anni indicano che il soggetto è infettante e che c’è cronicizzazione della malattia.

La scomparsa degli anticorpi è indice di guarigione. Ad oggi non esiste una cura specifica per l’infezione acuta o cronica da virus dell’epatite.  Generalmente essa viene trattata con farmaci, come l’interferon pegilato (PEG-IFNα2a), che hanno l’obiettivo di eliminare il virus oppure di tenerlo sotto controllo per ridurre il rischio di danneggiamento del fegato.

Sono allo studio potenziali nuovi farmaci, come per esempio gli inibitori della prenilazione (diretti contro il virus dell’epatite D) o gli inibitori dell’ingresso del virus. A fronte di quanto esposto, si può desumente la funzione fondamentale della prevenzione nel contrastare l’epatite D.

Fulcro principale in tal senso è indubbiamente il vaccino. Malgrado non ne esista uno specifico contro l’infezione da virus D, il vaccino contro l’epatite B è in grado di proteggere anche dall’epatite (per la natura difettiva sopra menzionata del virus Delta).

Il vaccino è sicuro ed efficacenon contiene il virus ma solo alcune sue porzioni prodotte artificialmente in laboratorio. Altre misure preventive includono evitare:

Fonti bibliografiche:

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