Non ci sono ancora certezze, quindi non si può parlare di una vera e propria terapia. In termini scientifici, quindi, deve essere sempre il parere del medico a guidare le scelte. Ma continuano ad aggiungersi evidenze che dimostrano come avere livelli sufficienti di vitamina D nell’organismo possa aiutare a limitare i danni in caso di infezione da virus Sars-CoV-2.
Se già si sapeva che questa vitamina può aiutare nella prevenzione delle classiche infezioni respiratorie di stagione, ora una ricerca italiana ipotizza che la vitamina D possa aver un effetto sintomatico nei confronti di due problemi, l’anosmia e l’ageusia, che si possono manifestare dopo infezione con il nuovo coronavirus.
Ecco l’ipotesi di lavoro
A segnalare la possibilità che la vitamina D possa risultare utile in caso di calo o perdita dell’olfatto e del gusto (rispettivamente anosmia e ageusia) in seguito a infezione da Sars-CoV-2 è una lettera apparsa su American Journal of Physiology Endocrinology & Metabolism relativa ad una ricerca di gruppi italiani ed americani coordinata da Francesco Facchiano, del Dipartimento di Oncologia e Medicina Molecolare dell’Istituto Superiore di Sanità.
In pratica, lo studio riprende in esame una serie di ricerche e ricorda come possa esistere un potenziale vantaggio legato alla presenza di quantità sufficienti di vitamina D e soprattutto concentra l’attenzione appunto sull’anosmia e sull’ageusia.
Questi disturbi, infatti, sarebbero stati osservati anche in particolari condizioni patologiche caratterizzate appunto dalla presenza di calo o perdita dell’olfatto come un’alterazione ormonale molto rara definita sindrome di Kallmann. Anche in questi soggetti si è osservato un calo della vitamina D disponibile.
Ovviamente si tratta solamente di osservazioni che hanno necessità di conferme ma forse anche le dinamiche ormonali andrebbero studiate nelle persone che sviluppano Covid-19. Il tutto, in attesa di risultati davvero significativi che potranno arrivare solamente dagli studi clinici in corso, anche in chiave di possibile integrazione con la vitamina D in chiave di prevenzione e di supporto alle terapie per l’infezione da virus Sars-CoV-2.
Le interazioni tra olfatto e gusto
La scienza sta facendo sempre più luce sui rapporti che intercorrono tra l’infezione da virus Sars-CoV-2 e le sensazioni nervose che regolano olfatto e gusto. Un’ipotesi molto plausibile è che il virus possa risalire fino al cervello anche a prescindere dalle aree in cui si sviluppa, come l’albero respiratorio, da cui poi potrebbe iniziare questa sorta di “risalita”.
Per questo, in pratica, si verificherebbe un meccanismo di questo tipo: il virus si inserisce lungo le vie nervose dell’odorato, che partono proprio all’interno del naso. Poi, passando attraverso un ossicino sottile che in qualche modo è tutto “bucherellato” come l’emmenthal (attraverso questi forellini passano le vie nervose) potrebbe arrivare lungo questa strada fino all’encefalo. Ovviamente questa “via” sotto l’aspetto neurologico, è la stessa che caratterizza le percezioni olfattive fino al punto in cui si raggiunge l’area olfattiva, che si trova nella parte anteriore del cervello.
In questo senso, quindi, proprio il deficit dell’olfatto può diventare un segnale d’allarme che può indicare che sta avvenendo o è in corso l’attacco del virus.
Ma c’è di più: esiste una profonda correlazione tra olfatto e gusto: normalmente, quando portiamo alla bocca un alimento, riusciamo a riconoscerlo proprio perché l’odorato, sia attraverso il naso sia anche attraverso la bocca, ci consente di individuarlo. Ma non appena le papille gustative cominciano a lavorare come dovrebbero, abbiamo la possibilità di confermare la nostra ipotesi anche con il gusto. È per questo che olfatto e gusto lavorano insieme nella nostra vita di ogni giorno, incastrando le percezioni in una sorta di “puzzle” che guida anche le nostre scelte a tavola.