Biopsia liquida: cos’è, dove farla, a cosa serve

La biopsia liquida permette con un semplice prelievo di sangue di andare a caccia del DNA tumorale

Pubblicato: 23 Febbraio 2023 12:32

Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Per ora è ancora fondamentale poter studiare le caratteristiche delle cellule di una lesione tumorale, ad esempio al polmone o al colon, con la classica biopsia. Si prende una piccola porzione di tessuto, si esamina e se ne svelano le specificità, per poter ragionare in termini di prognosi e trattamento mirato. Ma sempre di più, nei centri specializzati, si parla di biopsia liquida.

In questi casi, l’ago non entra in un organo per andare a prendere le cellule presenti in una lesione e poi consentire di scoprire se sono o meno tumorali. Ma le cellule tumorali vengono seguite e studiate nei liquidi biologici come il sangue. In questo modo si spera di arrivare a riconoscere prima la presenza di una patologia e soprattutto di poter monitorare eventuali variazioni delle caratteristiche delle cellule, con conseguente ricadute in termini di cure specifiche. Insomma, siamo vicini alla disponibilità più semplice di questa “firma” biologica del cancro.

Biopsia liquida e tumore polmonare

Volete un esempio del possibile impatto di questa strategia? Pensate al tumore del polmone.  Si stima che siano oltre 8000 ogni anno, in Italia, i pazienti con tumore del polmone candidati a essere sottoposti a biopsia liquida per individuare la terapia più efficace. Ma il numero di persone colpite da neoplasia in cui un semplice prelievo del sangue potrà determinare la scelta della cura migliore, in un futuro non lontano, è destinato ad aumentare in modo esponenziale.

Il test sul sangue, infatti, potrebbe permettere di migliorare la gestione della patologia nel tempo. Consente infatti il monitoraggio continuo dell’evoluzione della neoplasia in tempo reale, come in un video. Invece la biopsia tradizionale, cioè su tessuto tumorale, è in grado di scattare solo una fotografia istantanea della neoplasia, al momento della diagnosi. E, anche se non rappresenta ancora la pratica clinica, la sfida è diagnosticare precocemente il cancro con un prelievo di sangue.

La ricerca apre prospettive davvero rivoluzionarie nell’impiego della biopsia liquida, riassunte in un libro (“Liquid Biopsy. New Challenges in the Era of Immunotherapy and Precision Oncology”, di Antonio Russo, Ettore Capoluongo, Antonio Galvano, Antonio Giordano. Ed. Elsevier) a firma dei più importanti esperti a livello internazionale.

“Vent’anni fa, nel 2003, le pubblicazioni che contenevano il termine ‘biopsia liquida’ in oncologia erano meno di 50, oggi sono più di 10.000, trasformandola in un vero e proprio ‘hot topic’ – spiega Antonio Russo, Presidente COMU (Collegio Oncologi Medici Universitari), Professore Ordinario di Oncologia Medica, DICHIRONS – Università degli Studi di Palermo, e Tesoriere AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica).

Ad oggi le applicazioni della biopsia liquida validate in pratica clinica riguardano il tumore del polmone non a piccole cellule in stadio avanzato, per la valutazione dello stato mutazionale del gene EGFR. In questi casi, la procedura è raccomandata come possibile alternativa all’analisi su tessuto tumorale in due scenari clinici. Innanzitutto, nei pazienti con nuova diagnosi e prima di iniziare qualsiasi tipo di trattamento, in cui la quantità o qualità del tessuto disponibile non sia sufficiente per effettuare le analisi molecolari previste o nei quali l’analisi molecolare su tessuto sia risultata inadeguata, oppure quando sia impossibile ottenere il tessuto bioptico per le scadenti condizioni cliniche del paziente. Va ricordato che, anche se utilizzabile per la diagnosi istologica, in circa il 30% dei casi il materiale tissutale non è adeguato alla caratterizzazione molecolare.

Nel secondo scenario, la biopsia liquida fornisce un importantissimo contributo durante il monitoraggio dei pazienti con mutazione del gene EGFR, in progressione dopo il trattamento di prima linea con terapie mirate, cioè con inibitori di EGFR di prima e seconda generazione. In questi casi, il prelievo di sangue è molto utile per la ricerca di una specifica mutazione di resistenza e indirizzare al cambio della cura, cioè al trattamento con l’inibitore di EGFR di terza generazione. Quest’ultimo, alla luce dei robusti dati di sopravvivenza globale, è ormai diventato una solida opzione in prima linea e, considerata l’elevata attività inibitoria, ha reso secondario l’impiego della biopsia liquida per la ricerca della mutazione di resistenza”.

Perché è utile la biopsia liquida?

“La biopsia liquida presenta indubbi vantaggi rispetto all’approccio tradizionale costituito dall’analisi del tessuto tumorale – segnala Antonio Giordano, Direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine della Temple University di Philadelphia (USA) e Professore di Anatomia e Istologia Patologica all’Università di Siena. È minimamente invasiva, a basso costo, ha tempi di refertazione molto rapidi ed è pressoché priva di complicanze, perché può essere effettuata con un semplice prelievo di sangue.

Inoltre, è caratterizzata da un alto livello di accettazione da parte dei pazienti e può essere ripetuta senza problemi, eseguendo campionamenti in serie per evidenziare in tempo reale l’insorgenza di resistenze alla terapia e, se necessario, modificare la cura. Invece, sono pochi i pazienti che decidono di sottoporsi a un secondo esame su tessuto, anche perché spesso le condizioni cliniche generali non lo permettono. Inoltre, il materiale prelevato mediante la biopsia sul tessuto, soprattutto con l’agoaspirato, non sempre è rappresentativo di tutta la neoplasia. Non è così per la biopsia liquida che, valutando il DNA tumorale rilasciato in circolo, supera il problema dell’eterogeneità dei tessuti tumorali”.

Cosa si cerca con la biopsia liquida

L’analisi del DNA tumorale circolante, ctDNA (circulating tumor DNA), che rappresenta una frazione del DNA libero circolante (cell free DNA, cfDNA), isolato dal sangue periferico (soprattutto dal plasma), rappresenta, oggi, il principale approccio di biopsia liquida impiegato nella pratica clinica.

“Le possibilità di successo sono legate alla quantità di ctDNA presente nel sangue periferico, che può condizionare la sensibilità del test – sottolinea Ettore Capoluongo, Professore Ordinario di Biochimica clinica e Biologia Molecolare Clinica e Direttore SOC di Patologia clinica e Genomica, Ospedale Cannizzaro di Catania. Uno dei limiti è rappresentato dal fatto che la quantità di ctDNA nel contesto del cfDNA è spesso limitata, in funzione sia del volume che delle localizzazioni di malattia, e questo può determinare risultati ‘falsi negativi’ sul campione di biopsia liquida.

La concentrazione di ctDNA nel plasma, infatti, è correlata alla dimensione e allo stadio del tumore: le neoplasie in fase avanzata rilasciano una quantità maggiore di ctDNA rispetto a quelle iniziali. È possibile che, in futuro, altri derivati ottenuti dal sangue, quali le cellule tumorali circolanti, l’RNA tumorale circolante ed i microRNA, le piastrine, gli esosomi, così come altri fluidi biologici quali le urine, la saliva, il liquido ascitico e pleurico vengano utilizzati nella pratica clinica per ottenere ulteriori informazioni rispetto a quelle ricavate dall’analisi del solo ctDNA estratto dal plasma”. È importante che si arrivi a standardizzare il più possibile la quantificazione di queste tracce molecolari del tumore: per questo l’approccio diagnostico mediante l’uso della biopsia liquida rappresenta uno scenario ideale di collaborazione tra clinica e laboratorio.

Biopsia liquida: dove farla e come

“La biopsia liquida deve essere analizzata solo nei laboratori che superano i controlli di qualità e rappresenta un esempio importante di medicina traslazionale, per la capacità di trasferire in tempi rapidi le scoperte di laboratorio in applicazioni cliniche – spiega Marcello Ciaccio, Professore Ordinario di Biochimica clinica, Preside della Scuola di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Palermo, Past President e Presidente eletto SIBioC (Società Italiana di Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica).

La Next Generation Sequencing (NGS) è la tecnologia di laboratorio più efficace: permette di identificare contemporaneamente tutti i diversi tipi di alterazioni genetiche in più geni in una singola analisi di biopsia liquida. Analisi dei costi hanno evidenziato come la NGS sia più conveniente rispetto ad un approccio a singolo gene.

Questo vantaggio diventa ancora più evidente quando si raggiunge un numero critico di pazienti analizzati, così da poter sfruttare in pieno le potenzialità delle metodiche di NGS, che permettono la profilazione contemporanea di più persone, ottimizzando così costi e tempi. Il prossimo passo sarà rendere l’uso delle metodiche di NGS non solo convenienti, ma anche di facile accesso. Per raggiungere questo obiettivo è necessario costruire una vera e propria Rete”.

Cosa può davvero dire la biopsia liquida

“La biopsia liquida sancisce in modo definitivo l’importanza della multidisciplinarietà – ricorda Saverio Cinieri, Presidente Nazionale AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica). La scelta del materiale da sottoporre all’analisi molecolare è compito dei Molecular Tumor Board, gruppi interdisciplinari in cui sono integrate molteplici competenze per governare i processi clinici e decisionali di appropriatezza. È però necessario distinguere la pratica clinica quotidiana dalla ricerca. Ad oggi, la biopsia liquida ha un ruolo importante come fattore predittivo di risposta alla terapia nel tumore del polmone, ma non è ancora possibile effettuare una diagnosi di cancro sulla base di un prelievo di sangue, anche se gli sforzi della ricerca stanno andando proprio in questa direzione.

Allo scorso Congresso della Società Europea di Oncologia Medica è stato presentato uno studio basato su un nuovo approccio, cioè sulle firme di metilazione del DNA libero circolante. Sono state coinvolte oltre 6mila persone, over 50, apparentemente sane e senza pregressa diagnosi di cancro. Il test ha identificato alterazioni del profilo di metilazione, comuni a più di 50 tipi di neoplasie diverse, nell’1,4% dei partecipanti e, tra questi ultimi, la diagnosi oncologica è stata confermata in circa il 40% dei casi. Però, in oltre il 60%, ai risultati positivi al test non è seguita una diagnosi di malattia oncologica”. La sensibilità della biopsia liquida, in un contesto di diagnosi precoce, risulta pertanto ancora condizionata da un elevato tasso di falsi positivi, le cui cause sono oggetto di studio.

L’esperto segnala comunque che “le applicazioni cliniche emergenti di questa procedura riguardano soprattutto i tumori del colon-retto, mammella e melanoma nella forma avanzata. Vi sono infatti informazioni solide e riproducibili per quanto riguarda la caratterizzazione dei geni RAS e BRAF per il colon-retto, PIK3CA per il seno, BRAF e NRAS nel melanoma. È verosimile che l’analisi su plasma per questo tipo di alterazioni sarà a breve raccomandata in pratica clinica”.

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