La tregua è finita: l’esercito israeliano ha annunciato di aver ripreso i combattimenti all’interno della Striscia di Gaza. Lo ha annunciato attraverso il proprio canale Telegram, spegnendo così le (flebili, a dire il vero) speranza di chi portava avanti la convinzione che fosse possibile allungare di ancora un paio di giorni il cessate il fuoco. Tra questi i mediatori di Egitto e Qatar, che nella giornata di giovedì 30 novembre hanno lavorato febbrilmente con l’unico obbiettivo estendere la tregua ai bombardamenti sulla Striscia di Gaza.
L’ufficio del Primo Ministro israeliano ha reso noto in un comunicato che Hamas “ha violato il quadro di riferimento (dell’accordo), non ha rispettato l’obbligo di rilasciare tutte le donne in ostaggio e ha sparato razzi contro Israele”. Un dramma dentro il dramma, quello degli ostaggi, ancora più profondo, la cui vita diventa gioco di strategie e scelte operative. Nelle mani di Hamas aumenta il mistero sulla loro sorte e la loro sopravvivenza.
Israele-Hamas, rotta la tregua
Speranze, quelle di un prolungamento della tregua ai bombardamenti sulla Striscia di Gaza, che già nelle ore precedenti la ripresa dell’attacco si facevano a poco a poco sempre più flebili. Prima con l’attacco a Gerusalemme rivendicata da Hamas in cui i fratelli Murad e Ibrahim Nimr, di Sur Baher per fare fuoco sulla folla hanno scelto la stessa fermata dell’autobus per Givat Shaul, all’ingresso della città, dove un anno fa due ordigni uccisero due israeliani. Tre gli uccisi: un uomo di 73 anni, Elimelech Wasserman, giudice di una corte rabbinica, una donna sulla sessantina, Chana Ifergan, e Livia Dickman, 24 anni. “Una risposta naturale ai crimini senza precedenti dell’occupazione” israeliana, ha dichiarato Hamas. Poi con messa in chiaro da parte del segretario di stato statunitense Blinken, a Tel Aviv in questi giorni: gli Stati Uniti continuano a supportare il “diritto alla legittima difesa”.
Una posizione sul filo del rasoio quella di Washington che, come un maestro che rimprovera i propri piccoli studenti ha ribadito la necessità di maggiore attenzione al rispetto delle leggi umanitarie internazionali. “Il modo con cui Israele si difende è importante,” ha commentato Blinken, che, come evidenzia Il Manifesto, oscilla tra il supporto incondizionato di Israele di Biden e la crescente preoccupazione del personale diplomatico statunitense nel supporto del genocidio.
Gli ostaggi di Hamas, e in particolare le donne sotto il suo controllo, sono ancora una volta al centro di discorsi e narrazioni di attacchi e strategie, da una parte e dall’altra. Sono i loro corpi a fare da tramite tra i bombardamenti. E’ sui loro nomi che si focalizza l’attenzione del rispetto delle regole belliche. Tant’è che anche Blinken ha tenuto a ripetere le scuse (già sentite altre volte) per il sostegno armato a Israele ribadendo che Hamas usa gli ostaggi come “scudi umani,” e che l’aggressione finirebbe immediatamente se la leadership del gruppo armato si consegnasse al nemico. Ma come sottolinea il docente Ibrahim Abusharif ad Al Jazeera finora i tentativi di Washington di ottenere una moderazione della violenza da parte di Israele “non hanno fatto la differenza”.
Gli ostaggi ancora nelle mani di Hamas
Il 7 ottobre Hamas ha sequestrato ostaggi israeliani, molti dei quali sono stati liberati, da punti differenti della Striscia, durante la tregua di questi gioni. Secondo l’analisi riportata da Il Corriere della Sera, a questa dispersione se ne sono aggiunte tre. La prima ha portato allo smembramento dei nuclei familiari (donne da una parte e uomini dall’altra, quindi genitori e figli). La seconda ha separato i civili dai militari fatti prigionieri, questi ultimi considerati le pedine più preziose da conservare per ottenere il rilascio da parte di Israele di “fratelli” importanti. “La terza, fumosa perché non abbiamo dettagli precisi, può essere stata determinata dal travaso, inverificabile, di ostaggi tra le fazioni per ragioni di opportunità e sicurezza. Una tattica attuata da sempre non solo nella Striscia ma nell’intera regione e nel Sahel. Il predone lo cede al braccio politico, raramente avviene il contrario”, scrive Guido Olimpio su Il Corriere della Sera.
Una cosa è certa: a giustifica del rinnovato attacco di Israele alla Striscia di Gaza ci sono, ancora una volta i corpi delle donne. Quelle donne diventate simbolo della violenza di Hamas il 7 ottobre, quelle donne rivendicate e chiamate in causa al riabbracciare delle armi. Prime e ultime vittime, i loro volti troneggiano nella propaganda di una e dell’altra parte, esempio massimo di come la guerra sia morte e distruzione fisica, ma anche disgregazione di un mondo culturale più ampio, del futuro degli stati, colpiti nel cuore della propria riproduzione.