Francesco Muzzopappa: nei suoi romanzi (Affari di famiglia, Una posizione scomoda, Sarò breve, Un uomo a pezzi), si ride dalla prima all’ultima riga, perché – scrivono unanimemente di lui – “è comicamente geniale, perfido, spietato e sincero”. Si è anche avvicinato al mondo dei ragazzi, con libri che hanno cercato di riappassionarli ai classici, sempre attraverso la risata. Fedele a quel che diceva Rodari: “Perché i ragazzi dovrebbero imparare qualcosa piangendo quando lo possono fare ridendo?”. E convinto che la lettura abbia bisogno di rinnovamento, perché la competizione, oggi, si chiama “Playstation, Netflix e social”.
Dalla pubblicità (nasci copywriter e pubblicitario) alla scrittura: come è avvenuto il salto?
In maniera abbastanza naturale. Alla base c’è sempre una passione per la parola scritta. Solo, avevo voglia di scrivere lungo. I tempi pubblicitari sono di norma abbastanza ridotti: bisogna stare in un formato di 30”, al massimo. Ecco, mi occorreva più spazio. E mi premeva anche raccontare altro.
L’ironia e la comicità sono alla base dei tuoi libri. Qual è stato il punto di riferimento?
Da piccolo, Rodari. Durante gli anni accademici, nella gloriosa facoltà di Lingue e Letterature straniere di Bari, Swift, Sterne. Poi sono arrivati Wodehouse, David Sedari e mille altri.
Di te scrivono: “Nei suoi libri si ride dall’inizio alla fine e non c’è humour senza intelligenza”, “Comicamente geniale, perfido, spietato e sincero”. Dove ti riconosci di più?
Spesso l’umorismo viene confuso con l’idiozia, come se ridere fosse stupido. Ecco, la parola “intelligenza” associata al mio lavoro non smette di rincuorarmi. Al di là delle parole, il rispetto e l’attenzione verso ciò che faccio mi fanno più piacere di qualunque complimento.
Lo scrittore Raul Montanari ha scritto: “Il comico è una dimensione difficilissima da raggiungere. La maggior parte dei libri umoristici fa solo sorridere. Con Muzzopappa si ride dalla prima all’ultima riga”. Cosa ne pensi?
La risata, come anche la paura, sono emozioni basiche e immediate, vivono di attimi, e sono molto difficili da rendere sulla pagina scritta. Non ci sono immagini a corredo, non ci sono sotterfugi. Inoltre, ognuno di noi ride per cose diverse, ed è sempre complicato mettere tutti d’accordo. Infine c’è il pregiudizio verso il genere, un aspetto che non mi permette mai di scrivere in maniera davvero serena. Superati questi ostacoli, se riesco a destare l’interesse di chi mi legge, sono contento.
“Non con l’ira ma col riso s’uccide” (Nietzsche); “Dall’ironia comincia la libertà” (Hugo); “L’ironia è facile, la fede difficile: nessuno si fa beffe di te se ironizzi, tutti son pronti a schernirti se reciti un atto di fede” (Fallaci). Sei d’accordo con tutti loro?
Le contrapposizioni non mi appassionano, né le frasi assolutistiche. Si tenta sempre (vecchio vizio) di stabilire una sorta di classifica su quali siano gli stili e le tecniche che meritano maggior riguardo e considerazione, usando parole altisonanti, talvolta escludenti. Penso che il mondo sia grande a sufficienza da contenerci tutti, con tutti gli stati d’animo che ci accompagnano. E la felicità, la gioia, l’ironia ne sono parte.
Hai scritto diversi libri per ragazzi, anche qui usando la comicità come chiave di lettura (L’inferno spiegato male, I promessi sposi spiegati male). Cosa ti ha spinto: hai pensato fosse un modo per avvicinare i ragazzi ai classici senza annoiarli?
Anche qui, Rodari: “Perché i ragazzi dovrebbero imparare qualcosa piangendo quando lo possono fare ridendo?” Come sempre, in poche parole ha saputo spiegare tutto.
I ragazzi oggi leggono pochissimo, a prescindere dai classici. C’è un modo per riavvicinarli alla lettura?
Non bisogna obbligarli a leggere. Non bisogna dare per scontato che leggano ciò che piace a noi. Bisogna rinnovare la lista dei classici, proporne di nuovi, sintonizzati magari con l’attualità e con il mondo che vivono. Entro spesso nelle scuole italiane per incontrare bambini e ragazzi. Più di una volta mi è stato confidato da maestre e professoresse che gli studenti sono abituati a pensare che gli scrittori siano tutti morti. La cosa fa ridere, ma a pensarci bene, non fa ridere affatto. Vuol dire che la lettura ha bisogno di un cambio di passo, di un rinnovamento. La competizione ormai non è con altri scrittori, ma con Playstation, Minecraft, Netflix e i social.
C’è un libro che avresti voluto scrivere?
Direi di no. I libri già scritti che ho amato mi hanno fatto innamorare dei loro scrittori. Per cui direi che sono a posto così.
Tra i tuoi libri, uno a cui sei particolarmente grato e perché?
Il primo disastroso libro di Matt, perché mi ha spalancato l’ingresso nella narrativa per ragazzi. E Affari di Famiglia, un libro che alla sua uscita ha sofferto molto ma ha saputo riprendersi con il tempo e il passaparola, a dimostrazione del fatto che i libri hanno una vita molto più lunga di quel che si crede.
Da Checco Zalone a Pio e Amedeo, anche al cinema e in tv la comicità pugliese, spesso graffiante e politicamente scorretta, è vincente. Cosa avete in Puglia che fa la differenza?
I due esempi sono molto diversi, per stile e comicità. Partono però da un territorio comune che tutti noi pugliesi cresciuti negli anni ‘90 abbiamo apprezzato e amato: la scrittura divina di Gennaro Nunziante, umorista sopraffino, uomo di cultura e attento conoscitore dei vizi, dei controsensi, dei paradossi del genere umano.