Sono tante, troppe, le pagine nere della storia italiana che hanno visto le protagoniste del mondo femminile private di quelli che sono i diritti che oggi ci appartengono. Ne è un esempio la storia del suffragio universale e di quel diritto di voto tanto agognato dalle donne di tutto il mondo.
C’era una volta il suffragio femminile
Con il termine suffragio femminile ci si riferisce al diritto di voto esteso alle donne. Oggi ci sembra qualcosa di obsoleto o comunque scontato dato che la maggior parte di noi sono nate in un periodo storico dove questo diritto è stato ormai rivendicato.
Ma dovete sapere che, neanche molto tempo fa, le nostre antenate erano private di tante, troppe cose. E se oggi siamo arrivate a questo punto, nonostante di strada da fare ce ne sia ancora molta, dobbiamo ringraziare le suffragette e tutte quelle donne che hanno combattuto, fino a ottenere, il Suffragio femminile e le altre libertà che oggi ci appartengono.
Dalla Francia all’Italia
Il movimento delle suffragette trova le sue origini nella Francia del XVIII secolo, periodo durante il quale numerose donne si unirono al movimento per il voto femminile nel 1800. In realtà, sono molti gli storici a condurre le origini del movimento già durante la rivoluzione francese, periodo nel quale la parola “égalité” era fortemente sostenuta, e pronunciata ad alta voce, anche dalle donne.
Tra i primi Paesi a concedere il diritto di voto alle donne troviamo la Repubblica Corsa, nel 1755, le Isole Pitcairn, nel 1838 e la Nuova Zelanda, nel 1893, quando era ancora una colonia britannica. Anche la Svezia rientra tra i primi Paesi a concedere l’indipendenza e la libertà alle donne negli anni che vanno dal 1718 al 1771, un diritto che però non era riconosciuto a tutte.
Alcuni di questi stati hanno avuto una breve esistenza, altri, invece, non hanno mai avuto l’indipendenza.
La situazione in Italia ieri
In Italia il suffragio universale fu concesso, per la prima volta, dalla Repubblica Romana del 1849, tuttavia le donne, come da consuetudine, ne restarono fuori. Negli anni successivi furono diversi i tentativi di introduzione del diritto delle donne del nostro Paese, emblematico fu il caso della Reggenza italiana del Carnaro, la città-Stato fondata da Gabriele D’Annunzio, infatti, riuscì a legittimare il suffragio femminile nel 1920.
Nel 1925, invece, una legge istituita durante il regime fascista concesse il voto alle donne, limitato però solo alle elezioni amministrative abolite, poi, l’anno successivo, senza che quindi questa vedesse mai la sua applicazione. Occorrerà attendere il 1945 e il Regno d’Italia per una legge di eguaglianza che, l’anno dopo, permise un voto su scala nazionale, in occasione del referendum istituzionale che vide la nascita della nostra Repubblica italiana.
Dichiarazione universale dei diritti umani
La situazione, nel resto del mondo, era piuttosto variegata. Emblematico è il caso del Granducato di Finlandia, il primo Paese europeo a riconoscere il diritto di voto alle donne e a concedere loro dei ruoli all’interno del parlamento. Era il 1907, una data, questa, che anticipava di gran lunga quella italiana e di altri luoghi del continente.
Il diritto di voto alle donne, infatti, fu introdotto poi, su scala internazionale, nel 1948 quando le Nazioni Unite adottarono la Dichiarazione universale dei diritti umani. Come stabilito dall’articolo 21:
“1) Chiunque ha il diritto di prendere parte al governo del proprio paese, direttamente o attraverso rappresentanti liberamente scelti.
3) La volontà del popolo dovrà costituire la base dell’autorità di governo; questa sarà espressa mediante elezioni periodiche e genuine che si svolgeranno a suffragio universale e paritario e che saranno tenute mediante voto segreto o mediante procedure libere di voto equivalenti.”
Le donne ce l’avevano fatta, una delle tante discriminazioni e differenze che ci riguardavano in prima persona era stata abbattuta.
1 febbraio 1945: una data da ricordare
Sono passati anni da quanto il diritto di voto in Italia fu esteso e riconosciuto anche alle donne grazie al decreto del Governo dei Comitati di liberazione nazionale. Un traguardo, questo, che andava al di là dell’atto stesso di votare, e che affermava giuridicamente la tanto voluta e combattuta uguaglianza morale, intellettuale e civile di tutti i cittadini, senza alcuna discriminazione di sesso.
Emblematici sono gli interventi delle associazioni fondate dalle donne, durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale, per ottenere una libertà che per troppo tempo era stata privata. Nel 1944, a Roma, fu fondata l’Unione Donne Italiane, una macro organizzazione che aveva come obiettivo quello di raggiungere i diritti politici. Quello stesso anno Maria Rimoldi, presidentessa delle donne cattoliche, fonda il Centro Italiano Femminile.
Nel 1944, l’unione Donne Italiane e altre associazioni presentarono al governo Bonomi un documento all’interno del quale erano indicate una serie di ragione per cui era ormai inevitabile estendere il diritto alle donne. Nacque anche il Comitato Pro Voto con l’obiettivo, non solo di ottenere il suffragio femminile, ma anche quello di concedere alle donne la possibilità di partecipare alla vita pubblica e politica del Paese attraverso cariche importanti.
Nel mese di novembre, del 1944, UDI, CIF e altre organizzazioni capirono di non potere più perdere tempo, così commissionarono a Laura Lombardo Radice, insegnante, partigiana, politica e pacifista italiana, la scrittura di un opuscolo intitolato “Le donne italiane hanno diritto al voto”. Il resto è storia.
Nel gennaio del 1945, Togliatti inviò una lettera a De Gasperi nella quale affermava che era necessario discutere della questione del voto alle donne. Il 30 gennaio del 1945, nella riunione del consiglio si discusse proprio di questo argomento e, il giorno dopo, venne emanato il decreto legislativo luogotenenziale n. 23.
Una data da ricordare, quella del 1 febbraio del 1945 che concretizzò i diritti ottenuti solo l’anno successivo: tutte le donne italiane furono chiamate ai seggi per votare alle amministrative il 10 marzo 1946. Finalmente, le protagoniste dell’universo femminile, erano diventate parte attiva e decisiva della vita politica del Paese.
Ma non solo, la nuova legge consentiva l’elettorato attivo e passivo alle donne e diede immediatamente i suoi frutti. In occasione delle prime amministrative furono elette Gigliola Valandro e Vittoria Marzolo Scimeni e, nello stesso anno, furono elette le prime due donne sindaco: Ada Natali a Massa Fermana e Ninetta Bartoli a Borutta.
Sono trascorsi 76 anni da quel traguardo così importante e, la battaglia per le parità e l’annullamento delle differenze di genere, non è ancora conclusa. Quello che è certo è che quella del 1 febbraio del 1945 è una data da ricordare, non come semplice ricorrenza da introdurre in un libro di storia, ma come un traguardo e un promemoria sul ruolo delle donne in Italia e in tutto il mondo da proteggere e preservare.