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Le patatine fritte fanno male?
Croccanti, saporite, in una parola deliziose: sono le patatine fritte, un cibo che – secondo l’United States Department of Agriculture americano – negli ultimi anni viene sempre più consumato da grandi e piccini. Ma siamo sicuri che non facciano male alla salute?
Sui loro possibili benefici o rischi, recentemente i ricercatori statunitensi hanno concentrato la loro attenzione perché, se è vero che le patate rappresentano alimenti sanissimi in quanto forniscono importanti micronutrienti con effetti benefici per l’organismo, il metodo di cottura può davvero fare la differenza. In particolare, uno studio pubblicato dall’American Journal of Clinical Nutrition ha dimostrato che il consumo frequente di patate fritte (2 o tre 3 a settimana) sembra associato a un aumento del rischio di mortalità.
Cosa le rende potenzialmente così pericolose? Innanzitutto – spiegano i ricercatori – contengono in genere grandi quantità di grassi alimentari (tra cui grassi trans) e sale aggiunto, due condizioni spesso associate al rischio di morte, in particolare di malattie cardiovascolari. In secondo luogo, un consumo maggiore di patate fritte potrebbe aumentare il rischio di altre malattie croniche come l’obesità, l’ipertensione e il diabete.
Dobbiamo allora rinunciare a uno dei cibi più amati da grandi e piccini?
No, non fanno ingrassare
“Non c’è motivo per rinunciarci”, assicura il dott. Fausto Aufiero, medico e bioterapeuta nutrizionale “perché – spiega nel suo libro “Principi di Bioterapia Nutrizionale” (Vis Sanatrix Naturae) – una frittura fatta a regola d’arte non solo non fa male, ma può addirittura rivelarsi utile in quanto stimola la funzione epatica, riattivando il metabolismo, e trovando indicazione anche nelle diete dimagranti, oltre che nell’insonnia e nella stipsi ipertonica, ossia quel tipo di stipsi dovuta a una contrattura della muscolatura intestinale”.
“Non solo – continua l’esperto – un fritto fatto bene risulta ben digeribile, perché l’alimento durante la cottura viene totalmente disidratato e i succhi digestivi hanno modo di aggredire le molecole dell’alimento, senza l’intermediazione dell’acqua. Inoltre, una ricerca condotta dall’Università Federico II di Napoli ha svelato che le patatine, rispetto ad altri vegetali, arrivano ad assorbire solo il 5% di olio, contro invece il 30% di ortaggi come melanzane o zucchine. È bene dire, però, che questo metodo di cottura può avere delle controindicazioni. Lo deve evitare chi ha calcoli della colecisti o ha un fegato in una condizione di grave patologia”. E, come per ogni altro alimento, è bene non esagerare con le porzioni.
La dose ideale? “Basta non esagerare. Fondamentale è che siano inserite in un pasto completo, per esempio con verdure crude, frutta e magari proteine, a seconda dei casi”, suggerisce l’esperto.
Con cosa abbinarle
Ma come abbinarle? “Il fritto fa bene – spiega il dott. Aufiero – se mangiato insieme ad alimenti che poi facilitano la diuresi, in modo da ottenere una corretta riattivazione metabolica e scaricare poi le tossine. Le migliori associazioni, quindi, sono quelle con un alimento crudo come verdure o frutta. Ottimi, per esempio, il finocchio o dell’ananas a fine pasto”.
Come sceglierle
“Un utilizzo sconsigliato anche nelle persone in buona salute – conclude il bioterapeuta nutrizionale – è quello delle patatine fritte surgelate, oggi utilizzate per la loro praticità. Le ragioni di questo successo commerciale consistono nella rapidità di utilizzo ma anche nel fatto che queste patate, trattate in modo da renderle più sapide e croccanti, hanno una cottura più veloce rispetto a quelle naturali. Meglio dedicare più tempo e attenzione alla qualità degli alimenti che cercare un’effimera comodità capace di provocare l’insorgenza di patologie croniche o degenerative”.