Sembrava solo un racconto da leggere nei manuali di storia della medicina, quello del medico di campagna Edward Jenner che nel XVIII secolo aveva individuato il metodo di prevenzione del vaiolo umano, autentico flagello dell’umanità, basandosi sull’osservazione che i mungitori che avevano contratto una forma benigna di vaiolo bovino resistevano poi alla infezione da parte di quello umano.
Oggi, a parte chi ha ancora il “segno” dell’antivaiolosa sul braccio, parlare di questa malattia appare quasi fuori tempo. Ma come spesso accade in medicina, a volte anche i virus ritornano. Magari non perfettamente identici a quelli che già conosciamo, ma simili. Così, il 2022 oltre ai tanti problemi per la salute umana di cui spesso si parla, ha riportato alla ribalta un virus che non faceva notizia da tempo. È il virus che provoca il vaiolo delle scimmie, o monkeypox. Da fine novembre del 2022 l’OMS ha deciso di sostituire questi termini con il nome Mpox, ma poco cambia. Questa patologia, che può interessare anche l’uomo, rappresenta un classico caso di zoonosi con l’essere umano che diventa ospite di virus che prima si riproducevano esclusivamente negli animali. E va conosciuta, anche al fine di limitare i rischi.
Indice
Che differenza c’è tra il vaiolo delle scimmie e il vaiolo classico
Anche se il nome può ingannare, le due malattie sono profondamente diverse. E sono molto differenti i virus che le provocano. Il vaiolo umano è stato dichiarato eradicato nel 1980 dall’Organizzazione mondiale della sanità.
L’Mpox, al contrario, seppur faccia parte della famiglia degli Orthopoxvirus e sia quindi simile a quello che provoca il vaiolo umano, ha comunque caratteristiche che lo rendono molto diverso. È infatti determinato da un ceppo virale che si differenzia da quello umano per minore diffusività e gravità. Va detto che non si tratta di un virus nuovo.
L’Mpox è presente in forma endemica in Paesi dell’Africa centrale e occidentale. E’ una zoonosi che può interessare anche l’uomo, attraverso il contatto con animali infetti, in particolare primati e piccoli roditori, o anche attraverso l’ingestione di selvaggina. La trasmissione può avvenire anche per contagio interumano, ma si tratta di una modalità che appare poco efficace e soprattutto richiede un contatto molto stretto.
Perché si parla di zoonosi
Non pensate che il cambiamento ambientale non si riverberi anche nei paesi industrializzati. E di molte malattie, purtroppo, non sappiamo abbastanza. Basta pensare in questo senso al caso del West Nile Virus, responsabile di una sindrome denominata appunto febbre del Nilo, caratterizzata da febbre, cefalea, malessere generale, dolori muscolari, perdita dell’appetito. In circa la metà dei casi compare un eritema maculopapulare e circa l’1% degli infettati può sviluppare meningite e/o encefalite anche gravi.
È solo un esempio di come le malattie possano passare dagli animali all’uomo e in questo senso, ormai da anni, negli USA si fanno i conti con il Monkey-pox causata dall’analogo virus. L’epicentro dell’infezione è però lontano, in alcune aree dell’Africa dove il primo caso umano è stato identificato nel 1970.
Si tratta di un’infezione zoonotica (trasmessa dagli animali all’uomo) causata da un virus della stessa famiglia del vaiolo (Poxviridae) ma che si differenzia da questo per la minore trasmissibilità e gravità della malattia che provoca. Il nome deriva dalla prima identificazione del virus, scoperto nelle scimmie in un laboratorio danese nel 1958. È diffuso in particolare tra primati e piccoli roditori, prevalentemente in Africa. Nelle aree endemiche è trasmesso all’uomo attraverso un morso o il contatto diretto con il sangue, la carne, i fluidi corporei o le lesioni cutanee di un animale infetto. Il virus è stato identificato per la prima volta come patogeno umano nel 1970 nella Repubblica Democratica del Congo.
Sono solo esempi di come i virus possano passare dagli animali all’uomo, perché cambiano e sono capaci di superare la barriera di specie. Proprio il salto di specie, conseguenza naturale dell’aumento dei contatti tra esseri umani, sarebbe all’origine di vere e proprie “trasformazioni”. Lo dice la storia. Gli abitanti del nuovo continente, che non avevano animali domestici ad eccezione dei cani e non “conoscevano” le infezioni sviluppatesi in Europa, furono letteralmente decimati dai nuovi virus del vecchio continente. E le epidemie portate dai primi esploratori, come il vaiolo, il morbillo e la difterite, furono fatali alle popolazioni locali. Su quasi il novanta per cento degli abitanti dell’America centro-settentrionale morì nel primo secolo dopo le invasioni, in gran parte per le “nuove” malattie infettive trasmesse da animali.
Il vaiolo delle scimmie si può trasmettere tra le persone?
Sì. Il rischio esiste. Ma è molto limitato. Esistono le prove di una possibile trasmissione attraverso materiale delle lesioni cutanee, attraverso il respiro e soprattutto durante il rapporto sessuale. Anche se non si può escludere del tutto, appare molto improbabile la possibile trasmissione attraverso la pelle sana.
Per questo non ci sono grandi preoccupazioni per la popolazione generale anche se non si deve abbassare la guardia in chiave preventiva per le persone che hanno un sistema immunitario particolarmente fragile, per età o per la presenza di malattie, e comunque per i bimbi più piccoli e per le donne in gravidanza. Infine, per gli operatori sanitari è sempre consigliabile l’impiego di dispositivi di protezione, da guanti a mascherine fino agli occhiali, per contrastare i potenziali rischi.
L’incubazione può essere lunga
Se pensate ad un raffreddore o comunque ad uno dei classici virus con cui facciamo i conti, in genere bastano pochi giorni perché si manifestino i sintomi dell’infezione. In questo caso invece l’incubazione per andare avanti anche fino a tre settimane, anche se in genere ci si concentra tra una o due settimane per vedere la comparsa dei sintomi dopo il contagio.
La trasmissione virale, che non è particolarmente agevole per il genere umano, si può avere soprattutto tramite le goccioline che vengono prodotte da chi è malato o dal diretto contatto con lesioni della pelle in cui è presente l’infezione, oltre che tramite materiali contaminati. Stando a quanto segnala l’Organizzazione Mondiale della Sanità, in genere i disturbi sono quelli classici di una forma influenzale, come innalzamento della temperatura, cefalea e dolori muscoli, con una differenza sostanziale.
Visto il tipo di virus che provoca l’infezione, ne esistono due ceppi diversi in Africa, c’è da attendersi il coinvolgimento della pelle. Cosa significa? Che compaiono lesioni che provocano prurito e in alcuni casi possono anche indicare dolore. Non va comunque dimenticato che possono esserci casi del tutto asintomatici. Particolare attenzione va prestata in caso di gravidanza, visto che possono manifestarsi quadri in grado di impattare sulla salute del nascituro in presenza di infezione.
Si può prevenire il vaiolo delle scimmie?
Per quanto si sa fino ad ora, chi è stato vaccinato con la classica “antivaiolosa” di un tempo dovrebbe essere sostanzialmente protetto anche da questa forma. Tuttavia, vista la sostanziale presenza in un’area geografica molto ristretta del continente africano per quanto riguarda i casi umani del vaiolo delle scimmie, c’è da pensare che molte siano le persone potenzialmente esposte ad un rischio infettivo. Per questo occorre attenzione, soprattutto per gli under-50 che non hanno avuto la protezione vaccinale per il vaiolo.
Sul fronte della prevenzione, va comunque detto che esiste un trattamento mirato di tipo farmacologico e che esiste un vaccino approvato per questa forma. Va comunque detto che può esistere un’ampia variabilità nella gravità dei sintomi indotti dall’infezione, con molti casi che si autorisolvono senza problemi particolari. L’attenzione comunque deve essere elevata e le autorità sanitarie stanno monitorando la situazione: in particolare occorre seguire sempre le normali regole igieniche e di prevenzione, soprattutto per chi viaggia molto, visto che in diversi Paesi europei sono già stati segnalati casi.
Esiste un vaccino specifico per Mpox?
Come riportano i siti istituzionali, esiste un vaccino che contiene virus vaccinico modificato. È comunque indicato per una ristretta categoria di persone, senza che si debba pensare ad una vaccinazione di massa, anche per la ridotta disponibilità di dosi. In termini generali la vaccinazione viene offerta a specifiche categorie, dalle persone che hanno avuto più partner negli ultimi mesi o hanno comunque comportamenti potenzialmente a rischio fino al personale di laboratorio che potrebbe trovarsi a contatto con il virus. Si tratta di definizioni molte specifiche, che vanno raccomandate caso per caso.
È importante ricordare che la vaccinazione può essere offerta sopra i 18 anni come profilassi pre-esposizione. Il vaccino, per chi non ha mai avuto una precedente vaccinazione per il virus del vaiolo umano, va somministrato in doppia dose. Per il richiamo è sufficiente un’unica dose. Il vaccino per Mpox può essere somministrato per via intradermica o sottocutanea.
Come si cura il vaiolo delle scimmie
In generale i sintomi e i segni dell’infezione sono molto limitati. L’importante è rimanere a casa a riposo e parlare con il medico se compaiono piccole vesciche sulla pelle o altre manifestazioni. È importante anche limitare il rischio di contagio per gli altri in presenza di febbre, lesioni cutanee, presenza di rigonfiamento delle ghiandole linfatiche. Sul fronte delle terapie, in generale, è sufficiente tenere sotto controllo i sintomi come dolori, debolezza, cefalea, febbre, linfoadenopatia.
Fonti bibliografiche
Vaiolo delle scimmie, cosa sappiamo, Istituto Superiore di Sanità.
Vaiolo delle scimmie – MPX, Ministero della Salute.