La Convenzione di Istanbul, è un trattato internazionale contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 7 aprile 2011 e firmato l’11 maggio 2011, a Istanbul, da 45 paesi. Il trattato propone di prevenire la violenza, favorire la protezione delle vittime e perseguire con la legge i colpevoli. Ma a che punto siamo oggi?
Secondo i dati diffusi dall’Organizzazione mondiale della sanità, durante l’emergenza sanitaria, una donna su tre ha subito violenze fisiche e sessuali dando vita a una pandemia, dentro la pandemia, che colpisce ogni angolo del mondo senza pietà.
La pandemia dentro la pandemia
C’è un altro virus, ancora più potente e meschino di quello che conosciamo, che si è diffuso a macchia d’olio durante i mesi di lockdown a intermittenza e di restrizioni, ed è quello della violenza contro le donne donne. È silenzioso, ma non meno preoccupante: UN Women, l’ente delle Nazioni unite che si batte per l’uguaglianza di genere e l’emancipazione delle donne, ha lanciato la campagna Shadow pandemic, che letteralmente vuol dire pandemia ombra, per portare alla luce quello che sta succedendo a livello mondiale tra lockdown e restrizioni.
Perché qualcosa sta succedendo. E non è niente di buono. Secondo l’Onu, durante i mesi più duri dell’emergenza sanitaria, i casi mondiali di violenza sulle donne sono cresciuti del 20%. Come se si stesse diffondendo un altro virus letale, più silenzioso, invisibile agli occhi della maggior parte delle persone, nascosto tra le mura di casa e dagli sguardi indiscreti.
La violenza sulle donne è aumentata senza clamore già durante il primo lockdown. È successo in Italia, nei primi mesi di emergenza sanitaria, come ci ha confermato Laura Gaspari, coordinatrice dei Centri Anti Violenza On The Road Coop, in questo articolo. Succede nel mondo, in ogni parte del mondo.
Così tra l’incertezza economica scaturita dall’emergenza sanitarie, la perdita dei posti di lavoro e l’aumento delle tensioni, molte meno donne sono riuscite a chiedere aiuto o a organizzare fughe. E le violenze sono aumentate.
La violenza sulle donne in Italia
Secondo l’Onu, nel 2021 sono previsti almeno 15 milioni di casi in più di violenza domestica. A confermare tragicamente questi dati ci pensano le conferme nazionali. In Italia, per esempio, l’Istat ha confermato che le chiamate al numero antiviolenza 1522 sono incrementate del 73% durante il lockdown. A questo numero, però, dobbiamo aggiungere tutte quelle donne che, invece, non sono neanche riuscite ad arrivare a comporre il numero sul telefono.
Numerosi sono stati gli sforzi dei centri antiviolenza per essere disponibili 24 ore su 24, per fornire degli strumenti meno tracciabili dagli aguzzini. È nato anche il signal for help, il gesto della mano per lanciare un segnale d’aiuto.
Nonostante tutto, resta però la certezza che la pandemia si è trasformata in un amplificatore della violenza, rendendo la casa una trappola per le vittime. Proteggendole dal Coronavirus, ma dandole impasto a un altro virus. Secondo i dati Eures, infatti, nel 2020 sono stati commessi 92 femminicidi con una media di una donna uccisa ogni tre giorni.
La situazione in Africa
Nel resto del mondo la situazione è tutt’altro che rassicurante. Durante le restrizioni e i lockdown imposti in Africa a causa dell’emergenza sanitaria c’è stato un tragico e cospicuo aumento dei casi di stupro e di violenza ai danni di donne e ragazze intrappolate in casa con i loro aguzzini.
A differenza del nostro Paese, però, l’intervento da parte delle associazioni e delle organizzazioni è stato ostacolato dal fatto che i servizi da loro offerti non sono considerati essenziali. Con le restrizioni messe in atto durante la pandemia, quindi, gli operatori delle organizzazioni non sono potuti intervenire, e tutte quelle donne sono rimaste in balia del loro tragico destino.
Come quello che ha subito Tshegofatso Pule, la ventottenne sudafricana assassinata durante la pandemia nel più brutale dei modi. Il corpo della giovane donna è stato ritrovato appeso a un albero. Era incinta. A ucciderla è stato un uomo, pagato dal fidanzato di Pule, per commettere l’omicidio.
Ancora in Sudafrica, una bambina di appena due anni è stata violentata durante il ricovero in ospedale. Aveva il Covid e, come previsio dal sistema sanitario, è stata isolata. È lì, è iniziato il suo inferno.
Durante il lockdown in Kenya, più di 4mila ragazze di minore età sono rimaste incinte. Il coprifuoco obbligatorio e l’impossibilità di trovare vie di fuga, ha costretto le giovani donne dell’Africa orientale a restare nelle loro case con familiari e vicini violenti.
L’India e il lockdown
I lockdown e le restrizioni hanno causato molte sofferenze a tutte le donne dell’Asia del sud: i crimini contro le donne sono aumentati sonstanzialmente. Nonostante le leggi molto severe rispetto alle violenze commesse ai danni delle donne, quello che manca è “la volontà di perseguire i colpevoli” come ha dichiarato l’attivista per i diritti delle donne in India Soumitra Karmakar Chakraborty.
Solo nel 2017 la polizia ha registrato una media di 92 stupri ogni 24 ore. E si tratta solo di quelli denunciati. La situazione è precipitata durante il lockdown. C’è chi disperatamente si ribella, al grido “L’India non è un Paese per donne”.
L’America Latina tra violenze, sparizioni e femminicidi
L’America Latina è forse uno dei territori con il più alto tasso di violenze sessuali al mondo. I numeri sono in grado di far impallidire qualsiasi altro Stato o territorio menzionato fino a questo momento. Secondo i dati riportati dalle Nazioni Unite, in Argentina, in Messico e in Colombia, la violenza domestica contro le donne è aumentata drasticamente durante l’emergenza sanitaria con una percentuale che raggiunge il 50% rispetto agli scorsi anni. El Salvador, addirittura, ha registrato un aumento del 70%.
Un dato allarmante, terrificante e spaventoso riguarda invece il Perù. Durante i lockdown e le restrizioni dello scorso anno sono sparite quasi 12 mila donne. Non sono state più ritrovate e, considerando che durante le restrizioni non si poteva uscire di cosa, è tragicamente intuibile quale sia stato il loro destino.
Ogni tipo di sparizione, è evidente, è legata alla violenza di genere. Ma questi non sono gli unici dati allarmanti che riguardano il Perù e gli Stati dell’America Latina. Sono dodici di loro, infatti, a detenere l’infame primato del più alto tasso di femminicidi in tutto il mondo.
E la cosa più triste, di questo scenario raccapricciante, è che molti dei casi di violenza di genere non vengono puniti, né tantomeno indagati, perché in qualche modo sono ancora accettati a livello culturale dalla società patriarcale che vede le donne come delle subalterne agli uomini da tempi ormai immemori.