Non parliamo di galanteria. Non pochi hanno letto così la decisione della squadra di calcio maschile danese, i cui giocatori hanno rinunciato a un aumento di stipendio in favore dell’equità della retribuzione femminile. Non “un passo indietro”, non “un gesto simbolico”. Una presa di posizione, così ci piace leggerla, di comprensione tra colleghi che condividono uno spazio sportivo troppo spesso diversificato e indebolito da differenze inaccettabili a parità di meriti e successi internazionali.
Era stata resa nota la notizia, nel maggio 2022, delle calciatrici della Nazionale statunitense che avevano ottenuto la parità salariale e l’equa distribuzione dei premi Fifa. La decisione era stata presa da altri stati come la Norvegia, la Nuova Zelanda e l’Olanda (anche se non da tutti allo stesso modo). Ma il caso danese è peculiare e merita approfondimento.
La decisione della squadra danese e l’accordo
Una decisione da molti definita “storica” quella presa dai calciatori della Nazionale danese, che arriva in un momento di particolare visibilità, visto che si trova impegnata nelle partite degli Europei 2024. La squadra ha infatti deciso di rifiutare un aumento di stipendio per garantire che le calciatrici della Nazionale femminile ricevano la stessa retribuzione di base. Ad annunciarlo il sindacato FIFPRO, che si fa portavoce di una scelta destinata a cambiare le carte in tavola non solo per la squadra del nord Europa.
Calcolatrice alla mano, per trovare una soluzione il più equa possibile è stata proposta una riduzione del 15% della copertura assicurativa della squadra maschile, permettendo così un aumento della copertura per la selezione femminile del 50% e per l’Under 21 maschile di oltre il 40%. Si tratta di un accordo di quattro anni, pronto a entrare in vigore dopo Euro 2024.
Le notizie sono due: la prima è che la squadra nazionale femminile ha ottenuto la paga equa, la seconda è che l’ha ottenuta con il supporto della squadra maschile. Il nuovo accordo prevede anche la creazione di una club-house condivisa da tutte le squadre nazionali – uomini, donne e squadre giovanili – e l’istituzione di un fondo per lo sviluppo. Questo fondo sarà finanziato in parte dalla squadra maschile quando si qualificherà per la Coppa del Mondo o per gli Europei, e in parte dalla DBU, con ciascuna parte che contribuirà con un milione di corone danesi (circa 143.289 dollari).
Parità salariale: frutto di lotte e decisioni comuni
Nel mondo calcistico, in cui l’unica logica che sembra prevalere è quella del denaro e del parametro zero, arriva dunque un segnale forte da parte dei giocatori della Danimarca, che hanno dato seguito alla lotta iniziata dalle giocatrici stesse a ottobre del 2017. In quell’occasione si verificò uno sciopero da parte delle calciatrici, che costrinse alla cancellazione di una partita di qualificazione per la Coppa del Mondo femminile 2019 contro la Svezia.
Ottenere condizioni economiche e lavorative paritarie rispetto ai colleghi maschi non è banale, soprattutto in termini sportivi, dove le difficoltà rispetto alla gestione di corpi e carriere si fanno, spesso, insuperabili. Le soluzioni arrivano, e sono frutto in primo luogo di lotte, di prese di posizioni, di perdite individuali a favore di un progetto comune. Serve volontà di trovarle. Serve il giusto cambio culturale che ponga le basi per una nuova naturalezza rispetto a questioni come la parità salariale e i diritti comuni. I casi specifici non sono casi isolati: vanno regolamentati e raccolti, per fare in modo che non rimangano retorici sprazzi di luce quando tutto a torno si rimane ciechi.