Trovarsi di fronte al proprio bambino che piange, senza capire come calmarlo, è più comune di quello che si pensi. Soprattutto quando parliamo di neonati, il pianto ci può creare ansia, panico, preoccupazione, perché il nostro piccolo cucciolo non ha altri strumenti per dirci cosa non vada.
Può capitare di non sapere come calmare il bambino che piange, di non capirne la causa e di sentirsi anche in colpa, se non addirittura un cattivo genitore. Ecco, partiamo da un assioma: il mestiere del genitore, della mamma come del papà, si apprende giorno per giorno. Dunque, non è raro che ci voglia tempo per affinare i propri strumenti, anche quelli per interpretare i diversi segnali che il neonato ci invia.
Indice
Perché il nostro bambino piange
Il tema del pianto è molto ampio e, per affrontarlo e capire quale sia la causa, dovremmo prendere in considerazione tanti fattori, come ad esempio i contesti e le diverse età del bambino. Prendiamo in considerazione, per il momento, i più piccoli, i neonati, perché sicuramente loro non hanno la possibilità di verbalizzare un eventuale disagio ed è questo che, a volte, diciamolo senza imbarazzo, ci toglie un po’ di serenità.
Una grande guru della puericultura, Tracy Hogg, i cui libri sono letti come Bibbia da non pochi neogenitori, ci permette di chiare perché il neonato piange, quali possano essere le cause, aiutandoci a chiarirci un po’ le idee, quando non vediamo la luce in fondo al tunnel.
Hogg è molto determinata a trasmettere alle mamme il principio esposto poche righe fa: il pianto di non bambino non fa di una mamma un cattivo genitore. Non ha a che fare con i suoi comportamenti da madre. Il pianto è il linguaggio del neonato ed ovviamente ha diversi significati. Bisogna mettersi in ascolto, per quanto all’inizio possa sembrare vano e faticoso, per decifrarne i significati e dunque capire cosa fare.
Un neonato sano, ricorda Tracy Hogg, può piangere per diversi motivi. Ecco le principali cause del suo pianto:
- fame
- stanchezza
- mal di pancia
- caldo/freddo
- scomodità
Al suo pianto non dobbiamo mai attribuire gli stessi significati che valgono per noi adulti. Perché, se facciamo così, se non ci poniamo in ascolto, ma attribuiamo direttamente al pianto del bambino i motivi che spingono noi adulti a piangere, è ovvio che non solo non saremo in grado di aiutarlo ma, soprattutto, faremo del male a noi stesse.
Capire il pianto è il primo passo
Se diamo per assodato, dunque, che il neonato piange quando vuole dirci qualcosa, non perché sia triste, il primo passo per poterlo aiutare è capire quale sia la causa. Capire il tipo di pianto, va detto, all’inizio non è facile. Soprattutto per noi mamme che, a volte, dopo aver partorito, siamo stravolte, un po’ ammaccate sia fisicamente che emotivamente. Le cose, per alcune, purtroppo, possono andare anche oltre, pensiamo alla depressione post parto, ma anche agli allattamenti che non partano subito, ai primi litigi di coppia, per un nuovo equilibrio tutto da costruire. Tutto questo ed altro possono interferire, ed è più che normale che avvenga, rallettando quel processo di conoscenza reciproca (mamma-neonato) che ci avevano raccontato come immediato e semplicissimo. Vi ci ritrovate? Per questo, per quanto il primo passo per capire il pianto del neonato sia “semplicemente” l’ascolto, non sempre siamo in grado di metterlo in pratica serenamente. Anzi!
Per quanti possano essere i diversi fattori in grado di provocare il pianto e per quanto ogni neonato / bambino sia unico, è possibile raggruppare alcuni segnali per identificarne la causa.
Se, ad esempio, il neonato ha fame, oltre al pianto, potremo osservare come comincerà a succhiarsi il pollice; se ha freddo, potremo osservare la pelle d’oca, se non addirittura la pelle bluastra; se ha caldo, ci potrebbero essere i tipici puntini rossi, il sudore, il rossore in viso; se è stanco, infine, potrà sbattere le ciglia, potrà sbadigliare, come inarcare la schiena. Il nostro bambino userà sempre il pianto per comunicare e, a forza di vedere che ad esso si accompagnino altri comportamenti, saremo in grado di capire meglio il nostro bambino.
Come calmarlo: 5 cose da fare
Una volta capita la causa del pianto, sicuramente abbiamo superato il primo scoglio. Se ci troviamo, però, di fronte ad una grande empasse, se non sappiamo come agire, se ci sentiamo abbattute, sicuramente dobbiamo prendere in seria considerazione la possibilità di chiedere aiuto. L’aver frequentato un corso preparto, tra i benefici, annovera sicuramente quello che averci informate / preparate rispetto ad alcune comune difficoltà che ci troveremo di fronte, ma soprattutto quello di creare una rete di madri, come anche di professioniste e professionisti con i quali e con le quali confrontarci, e chiedere supporto anche qualificato.
Arrivando al punto va detto che, certamente, per calmare un pianto bisogna partire dalla causa, per cui non c’è una formula che funzioni con tutti e per tutti. Vediamo i passaggi principali, nella generalità dei casi.
5 cose da fare di fronte al pianto:
- non agitarsi, facendo scattare i sensi di colpa
- prendersi un attimo per riflettere
- mettersi in ascolto
- abbracciare il bambino
- intervenire sulla causa
Svisceriamo questi concetti per poterli mettere in pratica. Di fronte ad un pianto improvviso, non è raro trovarsi in ansia, nervosi, sia per il rumore al quale non siamo abituate, possiamo dirlo tranquillamente, sia perché pensiamo di aver fatto qualcosa di male. Ecco, abbattiamo i sensi di colpa e partiamo dal concetto che tutto questo è normale e, soprattutto, non durerà per sempre. Esercitiamoci a cambiare prospettiva, per stare meglio. Poi, se non riusciamo proprio a ragionare, e se il neonato si trovi ovviamente in una situazione di sicurezza, prenderci 5 minuti di orologio, per ragionare, in un’altra stanza, non è un reato. Poi mettiamoci in ascolto, riflettiamo sui segnali che ci sta mandando, come ad esempio quelli visti in alto. Capito il problema, cerchiamo il contatto visivo e fisico con il bambino e poniamo fine alla causa del pianto. I comportamenti da mettere in prima patica saranno ovviamente diversi. Se è stanco, aiutiamolo ad addormentarsi; se ha troppi stimoli visivi o sonori mettiamo via il gioco che lo sta infastidendo, la tv, la musica e cosi via.
Cosa dire ad un bambino che piange
La musica cambia quando i nostri figli, pur essendo piccoli, non sono più neonati. Da un lato, ci sarà il vantaggio che potranno, se vorranno, spiegarci la causa, dall’altro certamente il pianto potrà avere sempre più a che fare anche con il contesto esterno e con le esperienze che stanno vivendo.
Pensiamo, solo per fare un esempio, alle gelosie fra fratelli e sorelle, quando la mamma aspetta un altro bambino; o al contesto della scuola, che potrebbe innescare mille motivi per portare al pianto. Più si cresce, e lo sappiamo in prima persona, più conta ed impatta su di noi quello che ci circonda. Non solo. Il bambino più grandicello non piangerà per la fame o la sete, ma il pianto come espressione di uno stato d’animo, sarà più vicino al nostro.
Ovviamente è sempre importante rivolgersi ad uno/una specialista di fiducia, di fronte ad eventuali grandi difficoltà che nostro figlio sta affrontando, se dovessimo constatare un malessere, un disagio frequente o in grado di destare preoccupazione. Anche la scuola è un importante anello nella catena del supporto, con la quale tenere sempre aperto un canale di comunicazione.
Ad ogni modo, se si parla di situazioni normali, di bambini che piangono e che non hanno particolari criticità, dobbiamo mettere in pratica tutto l’allenamento che abbiamo fatto quando erano neonati. Di fronte al pianto, Hogg sosteneva due pratiche che vengono da sempre dibattute ma che vale la pena ricordare.
La prima è incoraggiare i bambini ad imparare a calmarsi da soli. Non vuol dire sottovalutare l’importanza del pianto, ma solo spingerlo a cercare una sua strada per trovare conforto, anche in autonomia, sviluppando lentamente un po’ di indipendenza.
La seconda riguarda l’autoconsolazione tipica dei bambini: il dito in bocca. Sappiamo che sull’argomento ci sono scuole di pensiero assai discordanti. I dentisti, poi, per la salute dei primi dentini sono, in maggioranza, contrari. Per la grande disparità di opinione dei professionisti e delle professioniste, possiamo dire che la strada giusta la dobbiamo intraprendere con l’aiuto della figura nella quale abbiamo risposto la nostra fiducia e tenendo in grande considerazione ciò che ci rende sereni in famiglia.
Se nostro figlio, nostra figlia piange, dobbiamo capirne il motivo, per poterlo consolare. Per prima cosa, dunque, non dobbiamo giudicarlo, o farci vedere distratte/i, ma essere presenti e pronte/i per rispondere al suo disagio. Dobbiamo dirgli, per prima cosa, che siamo lì per lui/lei, che siamo disponibili a sentire le sue ragioni e che la mamma/papà gli vorranno sempre bene. Dobbiamo fare attenzione a non sminuire quello che sta provando, perché questo potrebbe minare la sua sicurezza, le sue emozioni ed incidere anche sulla sia autostima.