Rigopiano, storia di una tragedia

Le memorie di chi non ce l'ha fatta, i racconti dei sopravvissuti che hanno comunque perso qualcosa parlano della tragedia, quella di Rigopiano, che non si può dimenticare

Pubblicato: 14 Febbraio 2024 12:43

Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

“Mi chiamano eroe, ma gli eroi non hanno paura del buio”. Inizia così il racconto di Fabio Salzetta concesso a Repubblica, uno dei tanti, uno dei pochi di quei sopravvissuti alla “Valanga silenziosa assassina”, quella che ha colpito l’Hotel Rigopiano e che ha segnato la tragedia. “La porta non si apriva, ero ancora convinto che fosse solo caduta la neve dal tetto. Gridavo, ma nessuno rispondeva. Ho trovato un martello e ho cominciato a picchiare come un matto sulle inferriate alla finestra. Non so quanto ci ho messo, parecchio comunque. Alla fine le ho spaccate, e sono uscito aggrappandomi al tronco di un faggio che non capivo perché era lì. Poi sono salito sul tetto e l’hotel non c’era più. Mi sono venuti i brividi: stavo camminando sul tetto dell’hotel. Lì sotto, sotto i miei piedi, c’erano gli altri, c’era Linda, mia sorella”.

Linda sua sorella, che come lui lavorava nella struttura ricettiva di Farindola, non ce l’ha fatta invece, nonostante la speranza, quasi disperata e ossessiva, di Fabio e degli altri. È stata tra le ultime vittime recuperate tra le macerie mentre suo fratello, per uno scherzo del destino, è stato tra i primi a salvarsi.

Le storie di Linda e di Fabio si intrecciano a quelle degli altri. A chi è sopravvissuto e porta nel cuore le ferite di un evento che non si può dimenticare e a chi, invece, non ce l’ha fatta lasciando un vuoto incolmabile nei ricordi e nella memoria di tutti. Perché è questo il vero dramma delle tragedie: si muore sempre tutti un po’.

18 gennaio 2017: la valanga di Rigopiano

Correva l’anno 2017 quando l’Italia intera fu vittima di un freddo inaspettato. Un’ondata di gelo, diffusa soprattutto al nord e al centro Italia, aveva portato con sé forti piogge e abbondanti nevicate. Era l’inizio di una tragedia che avrebbe scritto una delle pagine più nere della nostra storia, ma a quei tempi nessuno ancora lo sapeva.

Qualcuno aveva intuito che quelle condizioni meteo eccezionali avrebbe creato danni e disagi. MeteoMont, servizio di prevenzione e previsione di valanghe, aveva infatti annunciato un grado di pericolo di 4, su una scala da 1 a 5, per tutta l’area della Maiella e del Gran Sasso nei giorni 17 e 18 gennaio.

Eppure l’annuncio, da solo, non bastò ad evitare la tragedia che colpi l’Hotel Rigopiano e chi vi alloggiava. Una forte nevicata, infatti, bloccò i collegamenti tra l’albergo e il fondovalle, rendendo quindi impossibile ogni via di fuga. Ma quello era solo l’inizio.

Nel pomeriggio del 18 gennaio, una valanga di neve, resa ancora più pericolosa dai detriti accumulati nella caduta, si distaccò dalle pendici del Gran Sasso, tra il Vado di Siella e l’omonimo monte, fino a raggiungere l’Hotel Rigopiano. Quello che successe poco dopo, poi, è passato alla triste cronaca nostrana attraverso i racconti di chi aveva già capito tutto, di chi non voleva perdere la speranza e di chi, tra le lacrime e la fatica, cercava di salvare gli altri.

Le vittime senza colpevoli

In pochi istanti, confusi e tremendi, la valanga travolse completamente la struttura alberghiera trasformandola in una prigione di ghiaccio senza via d’uscita. La furia della caduta creò ingenti danni alle pareti dell’hotel e lo spostò di circa dieci metri dalla sua posizione. L’allarme fu lanciato alle ore 17:40 da Giampiero Parete, uno dei pochi sopravvissuti alla tragedia, attraverso una telefonata: “È caduto l’albergo”, disse. Poche parole, le sue, che erano bastate a lanciare un’allarme che poi, in poco tempo, si diffuse rapidamente in tutto il territorio nazionale.

Eppure, nonostante il terrore della voce di un uomo che temeva per la sua vita e per quella dei suoi familiari, le sue parole furono messe in discussione. Solo dopo due ore da quella telefonata, infatti, i soccorsi arrivarono sul luogo del disastro non con poca fatica. Ma per molte persone, purtroppo, era già tardi.

All’arrivo della valanga che ha imprigionato l’intera struttura, c’erano 40 persone all’interno dell’hotel. 28 ospiti, 4 bambini e 12 dipendenti. Persone con storie, amori, famiglie e amicizie, con sogni straordinari da realizzare e tante speranze per il futuro. Eppure, all’improvviso, si ritrovarono inaspettatamente protagonisti di una tragedia, di una gabbia di neve e paura dalla quale, in molti, non sarebbero usciti vivi.

Se Fabio Salzetta e Giampiero Parete riuscirono a salvarsi nell’immediato, perché erano fuori dalla struttura nel momento dell’impatto, gli altri restarono bloccati per ore tra gli ambienti di quel rifugio alpino che si era trasformato in un inferno.

Furono ore tremende, quelle, momenti dove neanche più la speranza sembrava riuscire a sopravvivere. Fabio e Giampiero ne avevano tanta, mentre attendevano i soccorsi all’interno di un’automobile che si era trasformata nel loro rifugio. Furono i primi a essere salvati dai soccorritori della Guardia di Finanza e del Corpo Nazionale del soccorso alpino e speleologico, e non con poche difficoltà. La valanga, infatti, aveva occultato ogni via di accesso, costringendo gli aiuti ad avanzare con gli sci.

Iniziarono così le ricerche estenuanti i cui risultati, purtroppo, portarono dolore più che speranza. Il 26 gennaio, terminate le operazioni, il bilancio finale restituì un numero tragico: 29 persone erano morte, 11 invece i superstiti. Tra le vittime c’erano Claudio e Sara, moglie e marito di Teramo, Luciano e sua moglie Silava, entrambi parrucchieri di Castel Frentano. Valentina Cicioni, di Roma, insieme al marito, estratto vivo dalle macerie. E poi c’era Sebastiano, insieme a sua moglie Nadia e al loro figlio Edoardo, unico superstite della famiglia.

C’erano anche Domenico e sua moglie Marina, che erano arrivati da Osimo insieme al loro bambino Samuel che si è salvato. C’erano Piero e la moglie Rosa, Stefano e la sua fidanzata, una degli 11 superstiti. Marco e Jessica, anche loro fidanzati, e Tobia e Bianca, sposati. Sono morti, in quel che restava dell’Hotel Rigopiano, anche Marco e la sua compagna Paola. Insieme a loro anche Roberto del Rosso, il proprietario della struttura. Non ce l’hanno fatta neanche Alessandro Giancaterino, Alessandro Riccetti, Emanuele Bonifazi, Gabriele D’Angelo, Ilaria De Biase, Marinella Colangeli, Cecilia Martella, Lisa Salzetta, Luana Biferi e Dame Faye: tutti dipendenti dell’hotel.

Fonte: Ansa/Claudio Lattanzio
Rigopiano, uno striscione in memoria delle vittime

Le responsabilità della tragedia

Subito dopo la tragedia, la magistratura ha aperto un’inchiesta su quanto successo per valutare eventuali responsabilità e colpevoli. Due i dubbi emersi: il primo riguardo la struttura ricettiva, la sua idoneità e il luogo di costruzione, che era già stato messo in dubbio anni prima proprio perché situato in una zona ad alto rischio, la seconda relativa al ritardo dei soccorsi dopo l’allarme lanciato.

Nel mese di febbraio 2023, però, la sentenza di primo grado aveva assolto quasi tutti gli imputati, 25 su 30, scatenando la rabbia e l’incredulità dei familiari delle vittime, e quella di chi, invece, è sopravvissuto.

Per quello che era successo, l’accusa aveva chiesto 26 condanne, ma alla fine il Giudice per le indagini preliminari aveva condannato a due e tre anni di reclusione, il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, i due dirigenti Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio, il geometra Giuseppe Gatto e l’ex gestore della struttura Bruno di Tommaso.

I familiari delle vittime, però, non hanno mai smesso di chiedere verità e giustizia per quello che è successo il 18 gennaio del 2017 ricorrendo all’appello. “Dopo quello che è successo 7 anni fa, dopo tutto quello che abbiamo passato, 6 anni di udienze, di rinvii fino alla sentenza del 2023, dopo un altro anno per l’appello, cosa vuole da me ancora Rigopiano? Non mi aspetto niente, sono esausto, non ho più paura di una nuova delusione, di sentirmi preso in giro. Sarò in aula, con il pensiero ai miei genitori e a chi ha perso la vita con loro, uno sguardo ai giudici e uno agli imputati. Inizi pure lo show. Io sono pronto”, ha dichiarato all’Adnkronos Marco Foresta, in occasione della sentenza d’appello, che nella tragedia ha perso mamma Bianca e papà Tobia.

Il racconto dei sopravvissuti

29 morti, quindi, e solo 11 sopravvissuti. Quelli ai quali è affidata le memoria di quelle ore, e della tragedia, degli ultimi istanti condivisi con chi oggi non c’è più. Alcuni furono salvati il 20 gennaio, estratti vivi nel locale della cucina perché salvati grazie al solaio. Due perché erano fuori dalla struttura, gli altri perché si trovavano al piano terra dell’edificio.

Tra questi c’era Giampaolo Matrone, rimasto sotto le macerie per 62 ore, vedendo la moglie Valentina morire. È rimasto da solo a crescere la figlia, Gaia, mantenendo vivo il ricordo della mamma. “Più si va avanti e più la mancanza di Valentina come moglie e come mamma è forte, ma con Gaia abbiamo stretto un patto, cerchiamo di trasformare tutti i ricordi brutti in ricordi belli, perché per vedere l’arcobaleno prima deve arrivare la pioggia” – aveva dichiarato l’uomo ammettendo che i ricordi di quel 2017 sono più vividi che mai – “Gaia voleva trascorrere qualche giorno sulla neve, ma non ne avevo il coraggio: la neve ci ha tolto tutto. Poi però ho pensato che non era giusto privare di quest’opportunità mia figlia per colpa mia e mi sono fatto forza. Anzi, è stata Valentina a darmela, la forza: la sera prima di partire l’ho sognata, è stato un sogno bello: mi ha aperto la strada”.

Anche Giorgia e Vincenzo, i fidanzati sopravvissuti, non possono dimenticare quel giorno, né le persone che non ce l’hanno fatta: “Eravamo tutti nel bar, nella sala del camino grande. Ci ho sempre creduto che qualcuno venisse a prenderci. Io sono dispiaciuta per le vittime, ho visto terrore nei loro occhi, poteva capitare anche a me o a Vincenzo . Ho conosciuto quelle persone. Io penso sempre a loro”.

A Rigopiano, quel freddo gennaio che nessuno dimenticherà più, c’erano 11 persone che oggi cercano il coraggio e la forza di ricominciare, anche e soprattutto nel ricordo di chi è rimasto intrappolato nella neve. Tra questi anche Francesca, rimasta sepolta per 58 ore insieme al suo fidanzato, che però non è riuscito a salvarsi. “Chiamavo il mio fidanzato Stefano ma non ha mai risposto. Non ho voluto pensarlo morto. Volevo credere che fosse svenuto e sono rimasta lì sotto, tutto quel tempo, pensando a questo” – aveva dichiarato al Corriere della Sera – “Per me il vero trauma è stato perdere Stefano In questi tre anni mi sono concentrata soltanto su quello: cercare di accettare la sua perdita. Ma è difficile, fa male. Dovevamo sposarci. Ricordo sempre il suo sorriso. La sua voglia di futuro, di famiglia e di bambini”.

 

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