Il disastro del Vajont: una tragedia annunciata

Era il 9 ottobre 1963, quando una frana devastante ha scatenato una tragedia senza precedenti, causando la morte di oltre 1.910 persone

Pubblicato: 6 Ottobre 2023 12:14

Sonia Surico

Content Editor e Storyteller

Laureata in Scienze della Comunicazione e con un Master in Seo Copywriting. Per lei, scrivere è un viaggio che unisce emozioni e conoscenza.

L’Italia, una terra ricca di bellezze artistiche e affascinanti paesaggi, conserva una storia fatta anche di dolori e tragedie che hanno lasciato un segno profondo nella memoria del nostro Paese. Questi eventi hanno scosso il cuore di intere generazioni, provocando distruzione e perdite umane insostenibili.

E tra queste, una in particolare è incisa nella memoria collettiva: il disastro del Vajont, quando le montagne tremarono e la natura si scagliò contro la popolazione con una furia senza precedenti. Una catastrofe di dimensioni epiche, con un’onda gigantesca che si abbatté sulle comunità circostanti, spazzando via tutto ciò che incontrava lungo il percorso.

È difficile trovare le parole per descriverne l’entità. Le vite spezzate, le case distrutte e i villaggi sommersi sono una ferita profonda nel cuore della nostra nazione. Ma ciò che aggiunge ancora più rabbia all’immenso dolore è il fatto che fosse una disgrazia annunciata. Infatti, esperti e scienziati avevano da tempo lanciato segnali d’allarme, ma le loro voci furono ignorate o minimizzate. Così, ciò che avrebbe potuto essere evitato si è trasformato in un incubo che ha segnato per sempre la storia del nostro Paese.

La catena di eventi che ha causato il disastro del Vajont

Il disastro del Vajont rimane tutt’oggi uno degli incidenti più gravi nella storia italiana. Il 9 ottobre 1963, alle 22:39, ben 270 milioni di metri cubi di roccia si sgretolarono dal monte Toc, precipitando a una velocità forsennata di novanta chilometri all’ora nel lago artificiale creato dalla diga del Vajont.

La potenza inarrestabile della frana provocò un’enorme onda, che superò di oltre 250 metri l’altezza della diga e spazzò via completamente Longarone e molte altre località circostanti, provocando la tragica morte di 1.910 persone.

Tutto ebbe inizio verso la fine degli anni Cinquanta, un periodo di grande fervore e progresso per il Paese. Con orgoglio e ambizione, l’azienda privata costruttrice Sade (Società Adriatica di elettricità) realizzò un’opera ingegneristica di straordinaria portata: la diga acclamata come la più grande d’Europa. Tuttavia, dietro questo successo si celava una triste realtà.

Pur essendo perfettamente consapevole dei gravi problemi geologici dell’area in cui venne eretta la diga, la Sade ignorò volontariamente i rischi, preferendo piuttosto mantenere il silenzio con la complicità delle autorità di controllo.

Tra gli oppositori della costruzione della diga anche Tina Merlin, giornalista, scrittrice e attivista italiana. Con la sua penna era riuscita a dare voce alle denunce e alle perplessità degli abitanti di Erto e Casso, proprio lei che come altri aveva intuito i pericoli di quella costruzione e li aveva portati alla luce, ma senza successo.

Fu persino denunciata, Tina, per diffusione di false notizie attraverso i suoi articoli, poi assolta dal tribunale di Milano. Il giorno dopo la tragedia scrisse: “Oggi tuttavia non si può soltanto piangere, è tempo di imparare qualcosa”.

Anche gli abitanti locali si ribellarono, lanciando l’allarme sin dall’inizio, ma le loro parole furono ignorate e soffocate dal fragore degli interessi economici e dall’indifferenza. Persino le continue frane e i terremoti che avevano colpito la regione nei mesi precedenti alla tragedia non riuscirono a scuotere coloro che avrebbero potuto evitare questa catastrofe imminente.

Fonte: Getty Images
Graffiti che commemorano la tragedia del Vajont

La rinascita dopo il disastro: una storia di dolore, rabbia e speranza

La tragedia che ha colpito il Vajont è stata una strage senza precedenti, un evento che ha cancellato intere comunità e devastato completamente il territorio circostante. Un’onda di dolore e distruzione che ha travolto tutto, portando con sé la scomparsa di ciò che un tempo animava quelle terre.

Dopo la tragedia, i sopravvissuti furono costretti ad abbandonare le loro terre devastate e furono spostati in diverse località della pianura friulana e bellunese. In questi nuovi insediamenti, come Vajont vicino a Maniago in provincia di Pordenone e Nuova Erto a Ponte nelle Alpi in provincia di Belluno, cercarono di ricostruire una nuova vita. Tuttavia, nonostante tutti gli sforzi compiuti, era evidente che nulla riusciva a lenire il dolore e la rabbia per quanto accaduto.

Solo dopo molti anni, Longarone riuscì finalmente a rinascere, permettendo ai suoi cittadini di ritornare alle proprie case. Tuttavia, le ferite causate da quella tragedia erano ancora profondamente vive. Dall’altra parte, gli abitanti di Nuova Erto combatterono strenuamente per recuperare il loro Comune, dando vita a una dura protesta nel periodo successivo al disastro. Nonostante, infatti, il tragico evento fosse ormai passato, l’accesso al paese rimase vietato, in quanto considerato troppo pericoloso.

La causa penale legata alla tragedia del Vajont fu un percorso lungo e tortuoso, una ferita rimasta aperta per oltre otto lunghi anni. Alla fine, il processo si risolse con una pena relativamente lieve per soli due imputati: Alberico Biadene e Francesco Sensidoni, lasciando un amaro senso di ingiustizia.

È doloroso ammettere che la storia si ripete. Ci avevano promesso che avremmo imparato dalla sofferenza, che non avremmo mai più permesso che simili eventi accadessero di nuovo. Eppure, eccoci qui, intrappolati in un ciclo di tragedie e promesse spezzate. Siamo chiamati a essere la voce di coloro che non possono più parlare e non possiamo permetterci di rimanere inerti, aspettando che accada ancora una volta.

Fonte: Getty Images
I bambini morti nel disastro ricordati con pezzetti di stoffa colorata

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