Di Chernobyl ne parliamo, lo facciamo un po’ tutti ogni 26 aprile in occasione dell’anniversario di quello che è stato il più grave incidente della storia del nucleare civile. Lo facciamo perché è inevitabile pensare a tutto quello che è successo quando qualcuno, chiunque esso sia, menziona la città ucraina.
Poi ce ne dimentichiamo, però. Torniamo alle nostre vite, al caos e al disordine che le caratterizzane, torniamo a pensare ai nostri problemi perché in fondo si tratta del passato. Doloroso e drammatico, è vero, ma pur sempre confinato a quella che è stata la storia dell’umanità.
Ma la verità è che quel 26 aprile 1986 non si può dimenticare. Non bastano trent’anni – né 50 o 100 – per cancellare un disastro che ha avvelenato il cielo, la terra e all’acqua, che ha spazzato via i sogni e le speranze di uomini e donne, di innamorati, di bambini. Che ha distrutto vite.
C’era una volta Chernobyl
Situata a poco più di 100 chilometri da Kiev, Chernobyl è una città che ormai è indissolubilmente legata all’incidente nucleare del 1986. Di tutto quello che era prima, la città dell’Ucraina settentrionale, ci ricordiamo ben poco: delle foreste, dei campi da coltivare, del sole e del cielo azzurro non è rimasto più niente.
Chernobyl, ormai, fa rima con disastro nucleare, anche se l’impianto nucleare, in realtà, faceva parte del municipalità di Pryp”jat’, anch’essa ormai diventata lo spettro di se stessa.
Ma cosa è successo quel giorno di aprile nella grande centrale nucleare dell’Ucraina? Il quadro generale, per molto tempo, è parso un po’ confuso, quello che invece è rimasto sempre certo riguarda le conseguenze che ne sono derivate. Si è trattato di un susseguirsi di errori letali di procedura eseguiti durante un test di sicurezza.
I professionisti che lavoravano a Chernobyl, certo, non erano degli sprovveduti e quello stesso test, eseguito sul reattore nucleare RBMK nº 4 della centrale, era già stato fatto più volte nei precedenti anni senza conseguenze. Ma quel giorno di aprile ci furono degli errori irreparabili: il reattore venne portato a condizioni instabili ma non fu spento no, il test doveva andare avanti. Le condizioni, da instabili, diventarono gravi e poi irreparabili.
Il reattore n. 4 esplose e in pochissimi secondi emanò volumi smisurati di gas. Ci fu un’altra esplosione che distrusse l’edificio. Poi l’incendio. Sull’edificio si formò una grande nuvola di materiale radioattivo che iniziò a contaminare il cielo, l’aria, la terra e i suoi abitanti.
“È tutto sotto controllo”
Una dannata combinazione di errori di gestione e di controllo, ecco come si può riassumere quello che successe a Chernobyl il 26 aprile. L’esplosione fu sentita da chi in città ci viveva, le nubi che tingevano il cielo di un grigio spaventoso furono avvistate da tutti, eppure secondo le autorità del Paese era tutto sotto controllo.
A causa dei forti venti, la nube radioattiva si espanse velocemente verso le vaste aree del territorio dell’ex Unione Sovietica. Qualcuno si chiese cosa stesse succedendo senza però trovare delle reali risposte alle domande. L’unica cosa che restava da fare era continuare la vita di sempre. Anche i bambini lo fecero, continuarono a giocare nel fango e nella terra, in quelle spensierate giornate di primavera. Ma non lo sapevano che quell’aria che stavano respirando era avvelenata. Non lo sapevano che da lì a poco, i sopravvissuti, sarebbero diventati i contaminati, i chernobyliani.
Alla centrale, intanto, i vigili del fuoco accorsero per spegnere l’incendio. Poco dopo i soldati chiusero il reattore in un forziere di cemento armato. E anche se le autorità continuavano a tranquillizzare tutti, loro lo sapevano che stavano andando incontro alla morte. E così fu.
L’allarme del disastro, raccontato sotto voce tra i vertici dell’ex Unione Sovietica, fu dato da un altro Paese. Fu la Svezia a rilevare, il 28 aprile, dei livelli di radioattività insoliti e troppo alti. A quel punto non si poteva più mentire. L’Europa aveva scoperto e la gente stava già morendo. Nei giorni a seguire l’allarme fu finalmente lanciato.
Mobilitato l’esercito, venne ordinata l’evacuazione dalla città di Chernobyl, dal municipio di Pryp”jat’ e da altre città circostanti che continuò fino ai primi giorni di maggio. Le persone vennero ammassate su autobus, camion e su qualsiasi altro mezzo di trasporto. Non c’era tempo per tornare a casa, per recuperare i propri averi, anche quelli più cari. Bisognava scappare da quella terra avvelenata.
Gli altri su quella terra ci resteranno, per provare a contenere il disastro, senza protezioni adeguate, senza sapere che l’esposizione così diretta alle radiazioni provocherà la loro morte. Tumori e leucemie si manifesteranno nel corso delle settimane e dei mesi.
Con il passare delle settimane le morti divennero centinaia, con i mesi e con gli anni migliaia e milioni. La radioattività dimezzò la popolazione e creò danni anche negli altri Paesi sorvolati dalle nubi radioattive della centrale nucleare. Furono milioni le persone che vivevano nelle attuali Ucraina, Bielorussia e Russia esposte alle radiazioni. E ne furono tante, troppe.
Chernobyl ieri, oggi e domani
Il 26 aprile del 1986 una delle catastrofi più grandi dell’intera umanità era avvenuta. Quel giorno di aprile Chernobyl divenne il volto della pericolosità del nucleare. La storia di quello che è successo vive silenziosamente nei ricordi dei sopravvissuti. Di quelli restano i frammenti di tutto ciò che è stato, del dolore di chi ha lasciato tutto, di chi ha perso tutto. Loro che sanno che minimizzare non è possibile. Che quel “È tutto sotto controllo” era solo una grande bugia.
E lo è ancora oggi, guardando i rapporti ufficiali redatti, più o meno recenti, che ci fanno comprendere la gravità del disastro. L’Onu ha riconosciuto oltre 4000 casi di tumore alla tiroide tra i più giovanissimi causati proprio dalle radiazioni. I dati di altre associazioni internazionali come Greenpeace, però, hanno tra le mani dei numeri molto più importanti, drammatici. Secondo questi sarebbero milioni le persone coinvolte nel corso degli anni, colpite da tumori e leucemie. A questi si aggiungono anche i cittadini di tutti quei Paesi dove le nubi radioattive di Chernobyl si sono spinte.
Le cifre sono controverse, ma la verità è che le persone hanno continuato ad ammalarsi, così come la terra e i suoi frutti, gli animali e i boschi. Ai casi di tumori e leucemie poi, si affiancano anche quelli di malattie respiratorie, patologie dermatologiche, infertilità e malformazione.
C’è chi sostiene che l’impatto della contaminazione sarà basso per le generazioni future(Organizzazione mondiale della Sanità). Alcuni sono scettici, altri vogliono crederci. Quel che certo è che saperlo non servirà a cancellare quel veleno che è rimasto nei ricordi della memoria collettiva.