Un film e un libro che dialogano, si intersecano e ci parlano. La Vita Accanto, nelle sale da giovedì 22 agosto, è il nuovo lavoro di Mario Tullio Giordana, regista de La Meglio Gioventù e Pasolini. Una marca stilistica, la sua, inconfondibile e apprezzabile per la profondità dell’indagine visiva che imprime alle sue opere. Abbiamo chiesto a Mariapia Veladiano, autrice del libro omonimo, a cui il film si ispira per tematiche e ambientazione, cosa ne pensa.
La Vita Accanto, la trama del film
Ispirato all’omonimo romanzo di successo di Mariapia Veladiano La vita accanto (Einaudi, 2010), il film è ambientato a Vicenza negli anni compresi fra l’Ottanta e il Duemila. Racconta di una ricca e influente famiglia vicentina composta da Maria (Valentina Bellè), dal marito Osvaldo (Paolo Pierobon) e dalla gemella di quest’ultimo, Erminia (Sonia Bergamasco), celeberrima pianista.
Dopo anni di tentativi, Maria mette finalmente al mondo Rebecca, attesa con grandi aspettative. Ma la neonata, per il resto normalissima e anche molto bella, presenta una vistosa macchia purpurea che copre metà del viso. Questa difformità diventa per Maria un’ossessione tale da rifiutare l’istinto stesso di madre. L’adolescenza di Rebecca sarebbe segnata dalla vergogna e dall’isolamento se fin da piccola non rivelasse invece straordinarie doti musicali. Saranno queste a liberarla dalle fissazioni famigliari e dai segreti che queste nascondono.
Intervista all’autrice Mariapia Veladiano
Sono due opere, il libro e il film, diverse, ma che dialogano profondamente. Ha partecipato anche lei alla stesura della sceneggiatura?
Sono diverse perché è diverso il linguaggio. Il cinema è immagine e se Rebecca è brutta deve far vedere quanto e come è brutta. E quindi ecco la grande macchia sul viso. Macchia è peccato e colpa e quindi porta con sé un mondo immediatamente riconoscibile a chi guarda. La scrittura invece può usare parole per suggerire, evocare, accennare. Nel libro la bruttezza di Rebecca era detta ma in modo vago, ciascuno la poteva immaginare diversa, perché nel libro la bruttezza era soprattutto nello sguardo e nelle attese di chi circonda la bambina. Non ho partecipato alla sceneggiatura e non l’ho mai desiderato perché un libro che diventa film è di fatto un affidamento. Si affida l’opera e la si lascia andare. E guardi che ho avuto la bella sorte di affidare il libro nelle mani di autori immensi. La decisione è a monte, se dire di sì o dire di no a questa nuova nascita. Ma anche la lettura da parte di chi acquista il libro e legge è un affidamento. Ciascuno legge e vede secondo il proprio mondo interiore.
Credo che il film abbia rappresentato in modo profondo e personale uno dei temi principali del romanzo, e cioè quello dello sguardo che tiene in vita o uccide. Ci sono delle derive tremende nello sguardo giudicante. Disprezzo, esclusione, allontanamento. La figura dell’allontanamento (dalla comunità quale che sia, l’asilo, la scuola, la città) è il tradimento della nostra umanità. Poi ci sono il tema dell’amicizia e del talento che restituiscono la vita a Rebecca, anche senza il bisogno che sia un successo travolgente, universalmente riconosciuto e planetario, che sbatta in faccia al mondo la sua bravura. No no, si tratta di avere una bella vita di relazioni e nel film questo è reso benissimo dalle ultime scene.
“Uno sguardo può uccidere”, dice Maria ad un certo punto, nel film. Parole che portano l’attenzione su uno dei temi centrali (se non Il tema centrale) del suo libro: il corpo. L’attenzione verso il corpo, la battaglia contro di esso e, ad un certo punto, la resa o l’accettazione. Come legge “la macchia” di Rebecca e il suo percorso di crescita nel suo corpo attraverso il film?
La macchia è la colpa. Nel film le colpe sono tantissime. Della città, giudicante e passiva di fronte all’offesa. Del padre anche, sicuramente, e ringrazio il regista di aver conservato questo aspetto e di averlo reso quasi un colpo di scena, alla fine. Padre innamorato ma inetto. Quanti inetti conosciamo? Incapaci di essere attivi rispetto a un amore in difficoltà o a una situazione famigliare complessa. Di zia Erminia, che certo vede il talento della nipote ma è sopra le righe, regina che pretende di regnare ma algida. Il suo appartamento è un capolavoro. Parla attraverso gli oggetti e i colori. Con questa musica che piove, cade implacabile sulle teste del fratello e della cognata.
Qual è il ruolo della musica, importante tanto nel libro quanto nel film?
La musica è la passione che salva. Nel film Marco Tullio Giordana ha riversato la sua passione per la musica che assume un ruolo da protagonista. C’è da dire che ha preso attrici pianiste, tutte, e ha collocato i concerti di zia Erminia al Teatro Olimpico di Vicenza. Un incanto.
Quali sono secondo lei gli aspetti meglio evidenziati nel film rispetto al suo testo, come sono stati reinterpretati e resi visivamente efficaci?
Alla fine è un damma famigliare. E Giordana ha reso questo dramma in modo profondo. Mi ha incantata questo aspetto perché conoscevo il regista per l’impegno anche soprattutto civile (I cento passi, La meglio gioventù, anche Yara, per alcuni aspetti) e invece qui è intimo, profondo, come un lasciarsi andare a qualcosa di personalissimo.
Infine, le chiedo qualche parola sul cast.
La madre di Rebecca, Valentina Bellè, è di una intensità che lascia senza fiato. Ha reso questo abisso, questo abitare il pozzo profondo della delusione, della propria incapacità, dell’essere altrove rispetto alla realtà, che a volte tocca la vita umana, in modo lacerante. Bravissima. Il papà di Rebecca è Paolo Pierobon che si è rivestito in modo impeccabile di questo ruolo che lo vede prigioniero di una incapacità che direi senza colpa. Non sa fare quel che serve per salvare le persone che ama. Zia Erminia è Sonia Bergamasco, è una regina a cui sfugge il regno. Meravigliosa. Rendere giustizia a tutti è difficile, lo farà il pubblico. Le Rebecchine piccole (Viola Basso e Sara Ciocca) sono incantevoli, Lucilla bambina (Flora Zambello) sembra uscita dal libro e Rebecca giovane donna (Beatrice Barison) è una pianista concertista straordinaria, che nasce qui come attrice. Spero che il film porti a tutte loro un mare di belle soddisfazioni.