Uomini che uccidono le donne: il dolore di chi resta

Due famiglie unite nel dolore, una sentenza annunciata. Ma alla fine a perdere sono sempre le vittime, anche quando vincono in tribunale

Pubblicato: 26 Novembre 2024 11:26

Irene Vella

Giornalista, Storyteller, Writer e Speaker

Scrive da sempre, raccogli emozioni e le trasforma in storie. Ha collaborato con ogni tipo di giornale. Ha fatto l'inviata per tutte le reti nazionali. È la giornalista che sussurra alle pasticcerie e alla primavera.

Ieri 25 novembre, è stata la giornata internazionale contro la violenza sulle donne, la prima senza Giulia Tramontano e Giulia Cecchettin, uccise entrambe da chi un tempo diceva di amarle, la prima addirittura incinta del suo primo bambino, quel figlio ucciso dal proprio padre, senza un minimo di rimorso, mai considerato davvero come essere vivente, ma solo un intralcio alla vita che desiderava, un’esistenza libera da relazioni, ma soprattutto priva di responsabilità, una finta libertà in nome della quale ha ucciso.

Ho pensato molto a quanto queste due tragedie siano legate a doppio filo, vuoi perché le vittime portavano lo stesso nome, vuoi perché gli assassini sembravano incapaci di commettere l’orrore di cui poi si sono macchiati, oppure più semplicemente perché i femminicidi purtroppo si assomigliano un po’ tutti, eppure spesso mi ritrovo a pensare a queste due ragazze, ai loro sorrisi puri, forse perché ho negli occhi la foto di Giulia C. che abbraccia un albero con gli occhi che sprizzano dolcezza e allegria, e quella di Giulia T. davanti al mare, mentre accarezza la sua pancia, con una mano sul grembo a proteggere il suo Thiago, immagini che si sono incollate ai miei ricordi.

Fonte: ANSA
Giulia Cecchettin e Giulia Tramontano

Ieri quando tutti scendevano in campo e sui social per riempirsi la bocca di belle parole contro la violenza di genere, più per atto dovuto che sentito, due famiglie si sono trovate in una fredda aula di tribunale per guardare negli occhi chi, le loro figlie e sorelle, le ha strappate da questa vita, chi per settimane e mesi ha pianificato questi due omicidi, documentandosi su come uccidere senza lasciare tracce, premeditando fuga e sopravvivenza nei boschi, chi dopo averle tolte da questo mondo ha cercato anche di cancellarle, di buttarle via come si fa con una bambola rotta, un gioco che non serve più, aspettando da una parte una sentenza, dall’altra un’arringa di un pm che, ricostruendo le ultime ore di vita della vittima, ha chiesto la massima pena per l’omicida reo confesso.

Mi sono chiesta spesso come si faccia a condividere la stessa stanza e la stessa aria con la persona che ti ha ucciso un figlio, anche se divisi da avvocati, o da piccole celle, senza impazzire, mi sono chiesta spesso come si faccia a sopravvivere al dolore, quello che trasforma, come si faccia a rimanere lucidi, come si riesca a far fluire la rabbia per trasformarla in giustizia, come solo si riesca a pensare ad un futuro senza. Senza la voce di quella bambina che hai portato in grembo per nove mesi, senza il suo odore, senza il calore del suo abbraccio, senza la sua risata cristallina, senza il suo sguardo buono, sì, me lo sono chiesta spesso, pensando al dolore di chi resta, che spesso dai giornali viene dimenticato.

E ancora una volta in queste due terribili storie ci sono due famiglie che lo raccontano in maniera diversa, ma con eguale e profonda dignità, che, forse, basterebbe saper ascoltare, per capire quanto sia necessario agire, quanto spesso le parole nei giorni prestabiliti al ricordo, le porti via il vento, a quanto ci sia bisogno di azioni concrete, quelle che ti salvano la vita quando vai a denunciare, quelle che ti prendono per mano, ti accolgono e, alla fine, ti salvano.

A me non interessa ricordare chi siano gli assassini, perché non sono loro quelli di cui voglio imprimere la memoria, non è su di loro che voglio porre l’accento, perché il tempo spesso cancella il ricordo di chi non esiste più, e le vittime subiscono un doppio oblio, quello terreno e quello mediatico, quando invece solo loro meriterebbero di essere ricordate, ed è per questo, che, per scelta, non farò mai i nomi di chi ha spento la loro luce. Queste due famiglie si sono ritrovate in un attimo da genitori, fratelli, futuri nonni e zii, ad orfani di, privati non solo di una figlia, una sorella, ma anche di un nipote che non potranno mai conoscere, e di cui non potranno conservare nemmeno i ricordi, perché quei ricordi non ha fatto in tempo ad averli. Ma voi potete davvero anche solo immagine il dolore di chi resta? Il dolore di chi immagina quello che sarebbe potuto essere, e di cosa, invece, non potrà mai diventare?

Fonte: IPA
Il dolore delle famiglie di Giulia Cecchettin e Giulia Tramontano

E così da una parte abbiamo un padre, Gino Cecchettin, che allo squarcio del dolore e dell’assenza fonda un’associazione in nome della figlia, un uomo provato dalla vita, che in un anno si è visto prima strappare la moglie (per malattia) e poi una figlia (per omicidio) per aiutare le vittime di violenza di genere, e dall’altra abbiamo una famiglia che rivendica il suo dolore sordo e muto con un pianto liberatorio alla lettura della sentenza di primo grado che condanna all’ergastolo il carnefice del proprio sangue, ma che con fermezza e coraggio dichiara : “Nessuna donna  ha vinto in quest’aula: oggi è arrivato l’ergastolo ma dopo la morte. Noi donne potremo vincere solo quando cammineremo per le strade di questo paese e ci sentiremo sicure o ci sentiremo soddisfatte della nostra vita. Per ora questo verdetto non ha stabilito niente”. Non dimentichiamolo mai.

Per tutte le Giulie del mondo, non solo il 25 novembre, ma sempre, facciamo rumore.

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963