Si può morire di dolore? Me lo sono sempre chiesta, in particolar modo dopo qualche notizia di cronaca in cui leggevo di coniugi deceduti a poca distanza l’uno dall’altro, o di genitori cui era stato strappato in modo innaturale e, prematuramente, il figlio, da una malattia o da un incidente stradale. E la mia risposta è sempre stata sì, può accadere di non riuscire a sopravvivere alla morte improvvisa di un figlio, di un marito, di una moglie, così tanto amata da non riuscire ad immaginare la propria vita senza. Il cuore si spezza, l’anima si frantuma, non si vive più, si sopravvive, si contano i giorni e le albe, con la speranza che qualcuno o qualcosa ci faccia chiudere gli occhi per sempre, per poter riabbracciare chi non c’è più, perché il sogno non finisca e diventi finalmente reale. Una volta una madre che aveva perduto il figlio mi disse che ogni mattina era sempre la stessa tragedia, quando gli occhi si aprivano, l’attimo in cui realizzava che il suo bambino non c’era più, che non l’avrebbe più baciato, toccato, che non l’avrebbe mai visto crescere e diventare uomo, tutte le mattine l’unica cosa che sognava era di non svegliarsi più, per poter continuare il “suo” sogno all’infinito.
Il nome Gabriella Carsano forse vi dirà poco, ma basterà inserirlo nei vari motori di ricerca che il suo viso scavato e triste vi riporterà alla mente la sua tragedia, quella che nessuna madre vorrebbe mai per se stessa, il peggior incubo in cui si possa finire, e se ho deciso di parlarvele oggi è perché Gabriella è morta il 29 luglio 2022, ha chiuso gli occhi su un mondo ingiusto che ha deciso per lei, strappandole la figlia, così tanto cercata, così tanto desiderata. Quella bimba, che insieme al marito aveva chiamato Viola, quella piccina che ha potuto tenere in braccio solo per due anni, quando un solerte vicino decise di segnalare il loro caso per aver lasciato la piccola, che allora aveva pochi mesi, in macchina per pochi minuti, il tempo di portare la spesa in casa, ma tanto bastò agli assistenti sociali e al tribunale di Torino nel 2011 per togliere loro la figlia, darla in affido ad un’altra famiglia e dichiararla definitivamente adottabile nel 2018, dopo che le accuse stesse, da loro pronunciate, decaddero. Non c’era stato abbandono, nessuna inadeguatezza genitoriale, ma Gabriella non ha mai più potuto vedere sua figlia, la sua Viola, perché per il suo bene era stato deciso diversamente, troppo anziani lei e il marito per essere dei bravi genitori, anche se questo non è mai stato scritto in nessuna delle sentenze, ma il sospetto che in questa vicenda il pregiudizio abbia avuto la meglio è più che una pulce nell’orecchio, perché a parlare sono i fatti.
Gabriella Carsano era diventata mamma a 56 anni grazie alla fecondazione artificiale alla quale si era sottoposta all’estero. Eppure in Italia ci sono stati casi di genitori anziani che hanno potuto vedere crescere comunque i loro figli, viene da chiedersi come sia possibile che ci siano bambini che continuino a vivere in situazioni al limite del legale, bambini abusati, vittime di genitori alcolizzati, abbandonati a se stessi, come nel caso della piccola Diana di diciotto mesi, lasciata da sola per sei giorni, morta di stenti, senza che nessun “solerte” vicino si accorgesse di quello che stava accadendo, senza che nessuno avesse gli occhi per vedere quella tragedia.
Nel 1994 Rosanna Della Corte diventò la mamma più vecchia d’Italia, aveva 63 anni quando il ginecologo Antinori realizzò il suo sogno, quello di poter ancora abbracciare un figlio, visto che il suo primogenito Riccardo era morto a 17 anni, nel 1991, ammazzato come diceva lei da una macchina, mentre con la sua vespa andava al mare. Il dolore la stava mangiando dentro, passava le giornate al cimitero a piangere quel bimbo che non c’era più, quell’adolescente che non sarebbe mai diventato grande, la decisione di provare ad avere un altro bambino era arrivata dopo il no di numerosi orfanotrofi in cui si erano recati nella speranza di poter dare amore e una famiglia a qualche ragazzino sfortunato. Troppo anziani. Come se l’amore avesse una data di scadenza, come se l’amore avesse un’età. Rosanna oggi ha novant’anni, suo figlio 28, Riccardo piccolo, chiamato così in memoria del fratello scomparso, vive a Milano, mentre lei ha continuato ad abitare a Canino, il suo paese d’origine, e a ottantasette anni le hanno anche rinnovato la patente, e non ha mai smesso di sorridere alla vita.
A Gabriella questo diritto è stato negato, lei che di anni ne aveva 56 quando era diventata madre, solo due anni in più rispetto a quelli di Gianna Nannini per esempio, e che può vedere crescere la sua Penelope senza problemi, e viene da chiedersi solo perché, quale sia la ratio che decida quale sia il metro di valutazione in base al quale una donna o un uomo possano essere dei buoni genitori, visto che nessuno di noi ha la possibilità di leggere il futuro in una sfera di cristallo. Gabriella ha subìto il sopruso più grande, quello del pregiudizio, le è stata strappata una parte di vita, la sua, quella che tanto aveva faticato per mettere al mondo, ed è morta senza poter riabbracciare la sua bambina, quello che tanto aveva temuto è successo, lei che in dodici anni di battaglie legali non si era mai arresa, lei che aveva combattuto come solo le leonesse sanno fare per i loro piccoli, pur di vedersi riconosciuto il diritto ad essere madre, si è spenta senza aver mai provato la gioia di un sorriso. Perché la realtà è che lei non era la “mamma nonna” come era stata soprannominata dai media, lei è stata e rimarrà per sempre “la mamma triste”, quella uccisa dall’assenza, dalla mancanza. Eh sì Gabriella è morta a causa di un mesotelioma, ma nessuno mi toglie dalla mente che la donna sia morta, anche, di dolore. E di infelicità. Perché è proprio così, di dolore e mancanze alla fine si muore.