Lunedì 19 aprile 2021, Beppe Grillo ha pubblicato un video per difendere il figlio Ciro, 20 anni, indagato insieme ad altre tre persone dalla procura di Tempio Pausania per violenza sessuale di gruppo nei confronti di una ragazza conosciuta in vacanza. I fatti sarebbero avvenuti a Porto Cervo, in Sardegna, nell’estate del 2019. La procura dovrà decidere a breve se chiedere l’archiviazione del caso o il rinvio a giudizio per i quattro indagati.
Nel video Beppe Grillo va all’attacco: “Mio figlio è su tutti i giornali come stupratore seriale insieme ad altri tre ragazzi… Io voglio chiedere veramente perché un gruppo di stupratori seriali non sono stati arrestati, la legge dice che vanno presi e messi in galera e interrogati. Sono liberi da due anni, ce li avrei portati io in galera a calci nel culo”. Sottolineando: “Allora perché non li avete arrestati? Perché vi siete resi conto che non è vero niente, non c’è stato niente perché chi viene stuprato fa una denuncia dopo 8 giorni vi è sembrato strano. E poi c’è tutto un video, passaggio per passaggio, in cui si vede che c’è un gruppo che ride, ragazzi di 19 anni che si divertono e ridono in mutande e saltellano con il pisello, così… perché sono quattro coglioni”.
Per la Procura le cose sono andate diversamente, la giovane sarebbe stata “costretta ad avere rapporti sessuali in camera da letto e nel box del bagno”, “afferrata per la testa e costretta a bere mezza bottiglia di vodka” e “costretta ad avere rapporti di gruppo”, con i 4 giovani che avrebbero “approfittato delle sue condizioni di inferiorità psicologica e fisica” di quel momento. Dalle carte della Procura, riportate da Adnkronos, emerge “il residence” in cui si sarebbe consumata la violenza tra il 15 e il 16 luglio 2019, “è stato individuato grazie a un selfie scattato” dalla giovane ragazza ed “è riconducibile a Beppe Grillo“.
Questi sono i fatti raccontati dai giornali e dai social in questi giorni. Dopo il padre a scendere in campo per difendere il figlio anche la madre di Ciro, Parvin Tadjik. In un post pubblicato sotto al video di sdegno di Maria Elena Boschi ha scritto: “C’è un video che testimonia l’innocenza dei ragazzi, dove si vede che lei è consenziente, la data della denuncia è solo un particolare”. Peccato che sia proprio quel video in mano alla procura a ricostruire i fatti di quella sera e ad aver portato i quattro sul banco degli imputati. Le indagini sono durate poco meno di due anni. Sono stati analizzati i cellulari di vittima e indagati e ci sarebbero state anche delle intercettazioni, oltretutto il Corriere della Sera sostiene che sarebbero stati commessi degli abusi anche nei confronti della seconda ragazza presente, mentre dormiva.
Non si è fatta attendere la risposta dei genitori della ragazza che hanno rilasciato una dichiarazione all’Adnkronos: “Siamo distrutti. Il tentativo di fare spettacolo sulla pelle altrui è una farsa ripugnante. Cercare di trascinare la vittima sul banco degli imputati, cercare di sminuire e ridicolizzare il dolore, la disperazione e l’angoscia della vittima e dei suoi cari sono strategie misere e già viste, che non hanno nemmeno il pregio dell’inedito”.
A sostegno di S.J. è scesa Eva Dal Canto, lanciando l’hashtag #ilgiornodopo sul suo profilo, accompagnato da queste parole: “Il silenzio non porta più giovamento, se non agli stupratori. In un recente sproloquio, Beppe Grillo ha difeso il figlio dalle accuse di stupro dicendo che la vittima l’indomani è andata a fare surf. Come se questo invalidasse magicamente non soltanto le accuse, ma anche la reputazione della ragazza. Troppe persone subiscono stupri e violenze nel segreto delle loro camere, nelle macchine dei compagni di classe e non acquistano consapevolezza di ciò che hanno subito fino a molto tempo dopo. Talvolta, come nel mio caso, dopo anni…lancio l’hashtag #ilgiornodopo perché le/i sopravvissuti allo stupro e alle violenze raccontino quanto drammaticamente sia normale e diffuso non aver denunciato immediatamente. O, come nel mio caso, non aver denunciato affatto.”
Ho visto il video di Beppe Grillo e l’unica parola che mi viene in mente è disgusto, l’utilizzo di una piattaforma social alla stregua di un tribunale per difendere il figlio ricorda molto le aule dei processi degli anni 70 dove le donne stuprate che accusavano i loro aguzzini dovevano per prime difendersi dall’opinione pubblica e dagli stessi avvocati. Non dimenticherò mai una delle domande che venne posta da un poliziotto a Franca Rame, che il 9 marzo 1973, venne rapita da cinque uomini, fatta salire a forza su un camioncino, stuprata per ore. Ebbene le venne chiesto “ha goduto?“, mentre un medico la incalzava “ha raggiunto l’orgasmo?” e l’avvocato concludeva con un “se sì quante volte?”.
Per fortuna dal 1973 tante cose sono cambiate, ma non abbastanza, se ancora oggi siamo qui a discutere di come il dolore e l’abuso di una donna venga spettacolarizzato e messo in dubbio, mi sembra di sentirle quelle parole taglienti come lame: “Lei ci stava, non si è lamentata, non si è difesa, non ha detto nulla, non ha detto no, ha denunciato otto giorni dopo perché le faceva comodo, è una facile, si è messa da sola in quella situazione, eh signora mia, se vai nella tana del lupo alla fine ti bruci.”
Stiamo parlando di una ragazza poco più che maggiorenne costretta a bere mezzo litro di vodka, presa per i capelli, abusata da quattro ragazzi, approfittando delle sue condizioni di inferiorità fisica e psicologica, che io mi chiedo ma quale soddisfazione ci sarà mai a stuprare una persona che non si regge nemmeno in piedi, e che tu sai che in quel preciso momento non è in grado di difendersi. Una donna deve avere il diritto e la possibilità di dire di no, una donna deve avere il diritto di ubriacarsi se ne ha voglia, di perdere il controllo se lo desidera, di mettersi una minigonna o un abito che metta in risalto le sue forme, una donna ha il diritto di sentirsi bella e desiderata, senza per questo rischiare di essere stuprata. Uno stupro è la devastazione del corpo e della mente, ci sono donne che non riescono più a guardarsi allo specchio, donne che mutilano il loro corpo, che non riescono più ad avere rapporti normali con gli uomini, donne che ci mettono una vita a perdonarsi, perché già succede anche questo, che la vittima alla fine di un processo si senta anche in colpa, oppure che una vittima non riesca ad arrivarci al processo per paura, per disperazione, per il terrore di essere giudicata o guardata in maniera diversa.
Una donna ha diritto di denunciare anche un anno dopo lo stupro, se prima non se la sente, questo dice la legge, non sono otto giorni di ritardo dall’avvenuto abuso a fare di S.J. una bugiarda e di suo figlio Ciro un innocente, caro signor Grillo, ma è quel video che la definisce per quello che lei realmente è. Un padre disperato che sfrutta il suo potere mediatico per condizionare l’opinione pubblica cercando l’assoluzione social, ma che, come tanti prima di lei, ha sottovalutato il potere del rinculo.