Fibromialgia: cos’è, come si riconosce e si affronta

Non è una vera e propria malattia, ma piuttosto una sindrome, con sintomi diversi, dal dolore fino alla stanchezza e alla sensazione di non essere perfettamente in forma sul fronte fisico e mentale

Pubblicato: 13 Maggio 2021 09:00

DiLei

Redazione

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Colpisce soprattutto le donne, anche da giovani. La scienza comincia a far luce sul “mistero” della fibromialgia, spesso considerata a torto una specie di “malattia immaginaria” perché non ci sono esami specifici per diagnosticarla. Eppure esiste. E penalizza moltissimo chi ne soffre. Lo conferma un grande esperto, Piercarlo Sarzi Puttini, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Reumatologia ASST Fatebenefratelli Sacco di Milano e Presidente di AISF Odv.

I test per scoprire la fibromialgia

La scienza dice che la fibromialgia è caratterizzata da un elemento essenziale: il dolore diffuso a muscoli e ossa che va avanti da almeno tre mesi. Ma esistono altri segni che possono guidare la diagnosi: le alterazioni del sonno, che non è riposante, la stanchezza di giorno sia mentale che fisica, le difficoltà nel mantenere la concentrazione e a parlare normalmente per lungo tempo, oltre ad una sorta di “smemoratezza” per quanto appena fatto.

“A questi sintomi cardinali, si associano anche aspetti di tipo psico-affettivo: ansia e depressione che non sono rilevanti per la diagnosi perché di fatto quando hai un dolore per lungo tempo ti modifica la percezione e lo stato di salute mentale dal punto di vista psicoaffettivo di ansia e depressione” precisa Sarzi Puttini.  “Abbiamo dei criteri che noi utilizziamo per la diagnosi a cui si sommano due cose: da una parte le aree in cui il paziente percepisce il dolore. Sono 19 aree e il paziente con una crocetta segna: presente o assente e sommiamo le aree dolorose e questo costituisce l’Indice di aree dolorose. Il secondo è un punteggio di sensibilità di sintomi che fanno come punteggio 12. La somma di questi e quelli precedenti va da 0 a 31 e indica l’eventuale diagnosi e la severità di malattia”.

Il problema è che per arrivare alla diagnosi manca un criterio semplice, come un esame del sangue. Quindi occorre soprattutto l’ascolto del paziente. “Bisogna valutare una diagnosi differenziale per vedere se i sintomi vanno per conto loro o se sono colpe di altre malattie” segnala l’esperto. “Se uno viene con solo 15 giorni di sintomi è difficilmente fibromialgia. Alcuni di questi sintomi possono essere confondenti. Fondamentale nella diagnosi quindi l’analisi della durata dei sintomi e la tipologia di paziente. Occorre educare il malato, perché può avere anche altre malattie. Il paziente quando viene da me subisce tre tipi di percorso: il primo, che fanno i medici (almeno quelli più frettolosi) che definiscono subito la diagnosi (ha la fibromialgia e cosa deve fare), ma questo non è sufficiente. Non c’è più il modello paternalistico in cui tu come medico dai la diagnosi e la terapia senza spiegare niente al paziente. Questo va bene con la polmonite o altre forme acute. Il secondo è l’educazione: ti devo educare al perché hai questa malattia e come mai la hai e quali strategie puoi mettere in atto (sia farmaci che terapie non farmacologiche). Il terzo aspetto è self efficacy: ti spiego cosa devi fare e tu sei in grado di gestire da sola la propria strategia terapeutica, la metti in atto per stare meglio e non spingerti alla catastrofia e alla ipervigilanza. Diventi un combattente e sviluppi un percorso di autoefficacia. Questo dipende molto dal medico che deve trasformare l’informazione come fatto passivo in qualcosa di attivo come l’educazione alla self efficacy. Il paziente deve condividere con te il percorso: il medico deve quindi capire chi ha davanti e tarare il trattamento sulla base del paziente. Gestire una terapia consona alle possibilità psicologiche ed economiche del paziente”.

Come si curano questi quadri?

Non si possono fare miracoli. Ma è importante che, caso per caso, a chi soffre si offrano terapie mirate. “La malattia ha severità differenti: ci sono alcuni casi per cui un semplice analgesico può bastare. A volte, invece, dobbiamo usare più farmaci” riprende Sarzi Puttini.  “Utilizziamo alcune molecole simili a quelle che modificano i neurotrasmettitori del sistema di percezione del dolore somatosensoriale (antidepressivi e anticonvulsicanti, oppioidi a basso dosaggio, i cannabinoidi, i sedativi, acetilcarntina che ha azioni più varie sia per l’energia muscolare che su aspetti depressivi e percezione del dolore che modulano l’entità dei sintomi). E poi sono importanti i trattamenti non farmacologici, primo tra tutti il fitness. Avere una buona forma fisica e nutrirsi in maniera corretta è fondamentale, con un’alimentazione leggera la sera per facilitare il sonno. Sul fronte psicologico occorre affrontare eventuali problemi di disturbi legati a post traumatici da stress che vanno analizzati e corretti con terapie terapeutiche comportamentali. Inoltre ci sono altre tecniche complementari alternativi come le Spa o l’agopuntura. Tutte sono utili, ma possono dare risultati molti diversi da pazienti a pazienti. Noi li consigliamo e sono i pazienti a sceglierle, apprenderle e metterle in atto da soli”.

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