Urla in ufficio: anche questo è un abuso

Anche una scenata nel corso di una riunione ci può ferire. Saper dire basta a comportamenti irrispettosi da parte di capi e colleghi è fondamentale per lavorare con più serenità e meglio

Pubblicato: 5 Settembre 2018 12:07Aggiornato: 14 luglio 2021 13:04

DiLei

Redazione

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Urla, porte sbattute, pugni sulla scrivania, oggetti scagliati per terra con violenza. Alzi la mano chi non ha mai assistito in ufficio a veri e propri attacchi di rabbia da parte di colleghi o capi incapaci di mantenere il controllo.

Non è facile reagire con prontezza e lucidità di fronte a simili comportamenti. Spesso si ha la sensazione di trovarsi di fronte a un fiume in piena, che non è possibile arginare se non peggiorando ulteriormente la situazione. Allora si cerca di limitare i danni.

Dopo magari anni di convivenza forzata, abbiamo identificato da quali colleghi ci possiamo aspettare tali picchi di violenza. Impariamo a trattarli come “mine vaganti”, pronte a deflagrare da un momento all’altro: misuriamo le parole, cerchiamo di ridurre per quanto possibile i momenti nei quali siamo costrette a interagire con loro. Ma naturalmente non sempre è possibile, capita di dover partecipare a quella riunione a rischio scenata o di portare avanti quel progetto con quella persona che, nove su dieci, si farà prendere dall’ansia e sbotterà.

E’ infatti molto spesso l’assoluta incapacità di certi soggetti a contenere lo stress la miccia che provoca in loro l’esplosione. La consegna imminente di un lavoro, l’incontro con un cliente importante, un problema da risolvere in tempi stretti. A volte invece basta un nonnulla: una carta gettata fuori dal cestino, una macchia di caffé sulla scrivania, la risposta giudicata inadeguata da parte di un collega.

Se il bersaglio dell’ira siamo noi, la cosa ci può ferire non poco. A maggior ragione se l’attacco proviene da un nostro superiore. Magari veniamo prese a male parole e accusate di aver fatto male il nostro lavoro, umiliate di fronte ai colleghi, bersagliate da battute poco simpatiche che mettono in discussione la nostra professionalità. Situazioni difficili da digerire, veri e propri abusi, che minano la nostra autostima, contribuendo inoltre a far crollare la nostra motivazione ad impegnarci e dare il massimo.

Se l’episodio della scenata è circoscritto, una tantum, non è preoccupante. Potrebbe far parte dei tratti “folkloristici” di quella certa persona, che possiamo giudicare essenzialmente sanguigna ma alla fine innocua. Come si è accesa si spegne e magari, dopo mezz’ora dall’impeto, vi trovate a chiacchierare alla macchinetta del caffè.

Diverso il caso in cui ci si trovi di fronte, con continuità, a comportamenti vessatori, che possono minare seriamente la nostra serenità e il nostro equilibrio psico-fisico e che rientrano nella sfera del mobbing. Aggressioni verbali, denigrazioni continue, insulti, pesanti riferimenti a sfondo sessuale, azioni che portano all’emarginazione della vittima: c’è un limite oltre il quale a nessuno è consentito andare.

La propria dignità va sempre salvaguardata e atteggiamenti persecutori da parte di capi e colleghi non devono mai essere accettati, anzi vanno segnalati con tempestività a persone di fiducia all’interno dell’azienda o nei casi più gravi alla magistratura, in modo che vangano presi i provvedimenti del caso nei confronti di persone che evidentemente si rivelano inadeguate, pericolose e nocive per le stesse logiche organizzative e produttive dell’impresa.

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