Empatia: che cos’è e perché la si prova

Cosa ci permette di entrare in "sintonia mentale" con gli altri?

Pubblicato: 9 Ottobre 2020 10:01

Andrea Carubia

Psicologo e sessuologo

Psicologo Psicoterapeuta specializzato in Sessuologia Clinica, si occupa di promozione del benessere psicologico e sessuale dell'individuo e della coppia, con lo scopo di migliorare il rapporto con sé stessi e gli altri.

Non c’è dubbio che l’empatia sia una delle nostre competenze emotive più preziose e che i suoi benefici a livello individuale e relazionale siano incalcolabili. Grazie ad essa viviamo insieme, stabiliamo relazioni durature, cerchiamo di non danneggiare gli altri e, quando lo facciamo, cerchiamo di porre rimedio. Ci aiuta ad essere giusti, tolleranti ed a raggiungere il nostro potenziale come esseri umani.

La sua importanza è indiscutibile e per tutti questi motivi è importante conoscere cosa sia l’empatia e perché dovremmo alimentarla in noi stessi e negli altri.

Cos’è l’empatia?

La maggior parte degli psicologi che si sono dedicati allo studio di questo costrutto concordano su questa definizione: la capacità di mettersi al posto dell’altra persona, comprendere i suoi sentimenti e sperimentarli in modo simile.

Certo, è improbabile che tu possa provare le emozioni degli altri con la stessa intensità di come potresti percepire le tue, però è possibile riconoscerle ed in qualche modo replicarle. Una volta “percepita” l’emozione dell’altro, puoi decidere quale condotta adottare, generalmente con l’obiettivo di alleviare la sofferenza dell’altra persona.

A cosa serve l’empatia?

 Per chi pratica, come me, la professione di psicologo psicoterapeuta è fondamentale riuscire a “connettersi emotivamente” con il proprio paziente per entrare più facilmente in sintonia e creare l’alleanza terapeutica.  Al di fuori dell’ambito clinico, l’empatia ha soprattutto una funzione sociale di solito già presente dal giorno in cui siamo nati, poiché serve a rafforzare la relazione con i genitori e facilitare la sopravvivenza del bambino. In questo modo il comportamento del bambino evocherebbe diverse emozioni nei genitori e li motiverebbe ad agire, prima piangendo o sorridendo, e con l’età attraverso l’uso di comportamenti più complessi.

Vi sono prove sufficienti che suggeriscono che lo sviluppo dell’empatia è influenzato dall’interazione con i genitori, ma ha anche una base neurologica. Esistono infatti diverse aree del cervello coinvolte nel processo empatico ed in particolare i neuroni “specchio” grazie ai quali il nostro cervello è in grado di connettersi con quello degli altri.

Questi ultimi infatti partecipano al riconoscimento e alla comprensione del comportamento verbale e non verbale degli altri, e presentano una maggiore attività nelle persone più empatiche. Sembra inoltre che l’empatia sia una componente dell’intelligenza emotiva e come tale è stata positivamente correlata alla regolazione emotiva e all’autocontrollo, alla creatività, flessibilità mentale, adattamento sociale e facilità nello stabilire relazioni.

Infine la mancanza di empatia è stata osservata nei disturbi dello spettro autistico ed è stata correlata alla tendenza a commettere crimini, allo scarso rendimento scolastico e all’aggressività.

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