Se facessimo un sondaggio sulla parola più usata nell’ultimo decennio, fra le prime trionferebbe “inclusione”. La parola dalle mille sfumature, che mira al rispetto e alla relazione indipendentemente dalle nostre naturali diversità. Educare i bambini all’inclusione, quindi, non è un optional ma è uno step necessario, affinché la parola inclusione non sia un claim pubblicitario, una moda per disegnarci migliori, ma un modo di vivere fatto di vero rispetto reciproco.
Educare i bambini all’inclusione, in un mondo dai mille schermi che a volte allontanano dai concetti basici del rispetto, dell’empatia, della solidarietà, è necessario per offrire loro la possibilità di vivere al meglio la relazione con l’altro, arricchendosi delle reciproche diversità. Perché sì, lo vedono e lo sanno, non siamo tutti uguali, ma questo non deve essere un limite ma una continua scoperta di se stessi e degli altri.
Per parlare di come educare i bambini all’inclusione, abbiamo intervistato la dottoressa Claudia Curcelli, terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva.
Indice
Cosa si intende per educazione inclusiva
Si parla di inclusione sui cartelloni pubblicitari, nelle trasmissione tv, in alcuni libri. Ma cosa vuol dire questa parola, qual è l’obiettivo di un’educazione inclusiva?
Il concetto di inclusione è l’opposto di quel leitmotiv dell’esclusività, vantata ancora in molti contesti per escludere in base al ceto sociale, disponibilità economica e così via. Nonostante si usi molto la parola esclusività ancora oggi, come non avesse la portata deflagrante che di fatto ha, la parola inclusione si è insinuata in molti ambiti e soprattutto nei contesti educativi dei più piccoli.
Inclusione vuol dire accogliere ed essere accolti ed accettati, poter partecipare alla società, in tutti i suoi gruppi e sotto gruppi, con la garanzia di avere tutti gli stessi diritti ed opportunità, senza che le differenze pesino. Quando parliamo di educare i bambini all’inclusione vuol dire proprio offrire, a scuola come a casa, gli strumenti per approcciarsi agli altri con la consapevolezza che tutti abbiamo gli stessi diritti e meritiamo lo stesso rispetto, indipendentemente dalle diversità.
È ampio, dunque, il concetto di inclusività essendo tante le diversità nelle quali siamo calati (da quelle per le proprie radici a quelle sessuali, e così via), con la dottoressa Curcelli, abbiamo voluto soffermarci su un concetto più ristretto ma che è alla base di qualsiasi tipi di educazione all’inclusione.
Disabilità ed inclusione
Claudia Curcelli ha una lunga esperienza professionale in tema di disabilità, dalla quale viene fuori quanto l’educazione all’inclusione è un problema da affrontare fra noi adulti prima che sui bambini. Noi spesso, ed ognuno di noi potrebbe portare degli esempi, abbiamo difficoltà a spiegare le diversità e le inclusioni ai più piccoli, creando una barriera inutile.
“Parlare ai bambini di disabilità ed inclusione è molto importante, noi genitori, seguiti poi dagli insegnanti, dobbiamo essere i primi ad educare i nostri figli su questi temi e sui valori fondamentali, soprattutto nella società odierna.
Spesso, noi adulti tendiamo ad evitare le domande dei bambini o determinati argomenti “scomodi”, a volte per imbarazzo o perché riteniamo che le risposte sarebbero troppo complicate per loro. Ma in realtà non è difficile come pensiamo!”
Disabilità: le 3 regole per educare all’inclusione
Abbiamo molta difficoltà ad approcciarsi ad alcuni temi, con i nostri bambini, quando parliamo di sessualità, siamo restii ad affrontare l’argomento, rimandiamo, perché non siamo in grado di sostenere conversazioni o dare spiegazione lì dove siamo noi a vivere quel tema con imbarazzo. Anche se l’argomento è diverso, lo stesso approccio problematico lo abbiamo in alcuni casi di diversità, come quando nostro figlio o nostra figlia si trovino davanti ad un amichetto con disabilità. Non siamo in grado di spiegare o rimandiamo ad altri il tema delle differenze. Curcelli ha buttato giù per noi tre regole base che possono aiutarci ad educare all’inclusione.
“La prima regola è usare un linguaggio semplice ma corretto, che i bambini possano comprendere. Oggigiorno siamo così attenti a parlare in modo politicamente corretto che abbiamo dimenticato quali siano le parole giuste. I bambini vedono che non siamo tutti uguali, dire il contrario li destabilizza e non sarebbe neanche giusto nei confronti delle persone con disabilità.
La seconda regola è partire da quello che i bambini vedono e vivono nella quotidianità, inizialmente con esempi concreti per poi spostarci pian piano su esempi e argomenti più astratti, Siamo tutti uguali? No di certo. L’ormai famosa frase “uguali ma diversi” è il concetto che va cavalcato: c’è chi è alto, basso, biondo, moro, con pelle rosa chiaro, e con pelle rosa scuro; c’è chi non vede bene e porta gli occhiali; allo stesso modo c’è chi non sente bene e ha un apparecchio acustico; c’è chi non riesce a camminare e per spostarsi e utilizza la sedia a rotelle. Di esempi ne possiamo trovare tanti, dagli amici, ai personaggi dei cartoni animati ai protagonisti di libri.
Potrebbe essere più complicato parlare di disabilità non visibile, come ad esempio bambini con autismo o iperattività. Visivamente i bambini non notano differenze, notano un comportamento “strano”. Anche qui abbiamo il compito di spiegare che non sono bambini maleducati o da evitare, ma che i loro comportamenti hanno una motivazione (es. un bambino che urla o si dondola per un sovraccarico sensoriale, che non sa gestire) e che possiamo interagire con loro in modi che scopriremo insieme a lui.
La terza regola è parlare e mostrare l’inclusione. Abbiamo capito che non siamo tutti uguali, e adesso? Ora è il momento di spiegare ai bambini che le persone con disabilità possono fare tante cose come gli altri. I bambini con disabilità vogliono giocare proprio come tutti e allora cerchiamo un modo per poter giocare insieme. I bambini in questo sono molto bravi, trovano modi di giocare con tutti, se non condizionati dai comportamenti degli adulti”.
L’inclusione non va solo spiegata, ma anche mostrata
Arriviamo al tasto dolente: quanto siamo bravi, noi adulti, a parlare, a dissertare sui più svariati temi , e poi quanto diventa cocente la realtà? Passare dal dire al fare, al dare l’esempio, diventa complicato per molti.
Se leggiamo libri sull’inclusione, sulla diversità o anche sulle disabilità, ma non siamo capaci di mostrarci positivi e proattivi nelle relazioni con chi è diverso da noi, difficilmente saremo in grado di educare i nostri bambini al rispetto, all’empatia.
“Dobbiamo essere noi per primi pronti a relazionarci con le persone disabili, senza imbarazzi o forzature. Dobbiamo mostrare ai bambini che si può giocare tutti insieme, e se da soli i bambini non ci riescono, possiamo fare noi adulti da facilitatori e intermediari. Se non sappiamo come fare, possiamo parlarne prima noi con i genitori degli altri bambini.
Dobbiamo invitare a casa, a turno, gli amici di scuola (non solo i bambini con disabilità, ma tutti gli amici) per favorire l’integrazione, insegnare a interagire con tutti: caratteri diversi, interessi diversi, gusti diversi, abilità diverse.
Per una volta, anche la televisione può esserci d’aiuto. Ci sono tanti film e cartoni che parlano di diversità ed inclusione, possiamo guardarli con i bambini e parlarne. Ad esempio, c’è Nemo con la sua pinna atrofica, o il cartone animato di Lampadino e Caramella, dove ci sono sottotitoli e interpreti della lingua dei segni.
A scuola, ma anche a casa, si possono proporre giochi da fare tutti insieme. La scuola ha certamente un compito ed un ruolo importante nell’educare all’inclusione dal lato delle disabilità, e lo può fare in molti modi. Ad esempio, si potrebbero dotare le biblioteche di classe di libri in CAA (libri scritti con i simboli della comunicazione aumentativa e alternativa), in cui alle parole del testo corrispondono dei simboli, si potrebbero includere anche testi in braille, per far vedere e rendere “normale” i linguaggi diversi. Un’altra proposta da fare nelle scuole, interessante da molti punti di vista, sarebbe quella di insegnare ed imparare semplici frasi nella lingua dei segni. La scuola di oggi, che dispone di strumenti interattivi e connessi alla rete, è facilitata in questo compito, potendo anche usufruire di video in LIS e CAA, da guardare insieme in classe”.
L’inclusività può essere un concetto vuoto, astratto, il fil rouge di una bella campagna pubblicitaria, che ha un solo scopo: vendere a più persone. L’inclusività deve essere, invece, una parola carica di valori e significati, una serie di comportamenti reali, pratici, da mettere in campo ogni giorno, per educare i nostri bambini ad essere e sentirsi sempre accettati ed accolti, soprattutto quando non saranno più tanto piccoli e dovranno muoversi in un mondo dove siamo tutti diversi, ma uguali.