Salvare l’ambiente e morire: cronache di un delitto collettivo

Il 2020 è stato l'anno più tragico per gli ambientalisti del Sud America. Ma le vittime degli uomini e delle donne che combattono per salvare il nostro pianeta sono ancora tante. Troppe

Pubblicato: 21 Gennaio 2022 13:24

Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

Zezico Rodrigues Guajajara era un guardião da Amazônia, era suo cioè il compito di proteggere la foresta, anche se questo voleva dire rischiare di non tornare più dalla famiglia, dagli amici, dalla comunità. E quel rischio, quel Guardiano dell’Amazzonia, l’ha corso fino alla fine, fino a quando lui, e prima gli altri, sono stati assassinati brutalmente da chi detiene il commercio illegale della legna, da chi sfrutta il territorio indigeno Arariboia senza pietà. E Zezigo, quel luogo lo ha protetto con tutte le sue forze, così come ha preservato l’intero ecosistema, fino a quando, a colpi di arma da fuoco, è stato ucciso.

Nel marzo del 2021 il corpo straziato di Estela Casanto Mauricio è stato trovato dalle forze dell’ordine in una grotta nascosta all’interno di una foresta peruviana, la stessa alla quale aveva dedicato la vita intera. Perché lei non era solo una leader indigena ma un’attivista e un’ambientalista che combatteva ogni giorno per la sua Amazzonia, per salvaguardare il mondo intero. Minacciata più volte, la fondatrice della comunità di Shankivironi che si era esposta contro la conquista delle terre, è stata uccisa.

Dopo di lei è toccato a José Gomes, sua moglie Màrcia Nunes Lisboa e la loro bambina, Joane Nunes Lisboa, un’adolescente dalle idee chiare che, da mamma e papà, aveva ereditato la voglia di cambiare il mondo. Di salvarlo. Eppure quell’intera famiglia che viveva sulle sponde del fiume Xingu, devota e impegnata da sempre a tutelare l’ambiente, a salvare le tartarughe marine, a proteggere la terra e il mare, è stata distrutta. Sono bastati pochi colpi di arma da fuoco per porre fine alla loro preziosa esistenza.

E poi c’è stato lui, Breiner David Cucuñame López, che era poco più di un bambino, ma aveva progetti grandi per il suo futuro e per quello dell’umanità intera. Tutti lo conoscevano nella comunità Paeces, un gruppo etnico della Colombia. Sapevano di lui e del suo impegno contro l’accaparramento delle terre del Cauca, in Colombia. Il ragazzo, appena 14enne, era impegnato nella guardia indigena studentesca, ma l’esposizione e il desiderio di cambiare il mondo erano troppo rischiosi. Eppure lui ha continuato ad agire anche se questo ha significato la morte, anche nel suo caso avvenuta attraverso pochi e decisivi colpi di pistola.

Così muore chi ci difende

Una scia di sangue lasciata da chi il mondo lo vuole sfruttare ai danni di chi, invece, lo vuole proteggere. Una scia di morte che si perpetua da tempo e che ha tristemente inaugurato il 2022 con la morte del giovanissimo Breiner che ha sancito il triste destino degli attivisti in Colombia.

E questi, intendiamoci, sono solo alcuni degli ultimi casi di attivisti torturati, trucidati e uccisi dagli altri, perché l’elenco è dolorosamente lungo e ci permette di mappare la lista dei territori più pericolosi del Sud America, lì dove ci sono le zone da sfruttare, quelle che da tempo sono già sfruttate.

Nel 2018, per esempio, uno dei più grandi massacri veniva commesso nelle Filippine, proprio in quel luogo che per noi è diventato una destinazione popolare di viaggio. Lì nove contadini sono stata uccisi e le loro tende bruciate. C’erano adulti, donne e adolescenti.

In Guatemala, Luis Arturo Marroquin, membro di una comunità di agricoltori impegnata alla protezione dei diritti fondiari è stato ucciso insieme ad altre persone. In Honduras, invece, il giovanissimo attivista per la difesa della terra Luis Fernando Ayala, che aveva solo 16 anni, è stato torturato e poi ucciso.

Un Guinness World Record degli orrori che si perpetua in alcuni Paesi del mondo da diversi anni. Solo nel 2020, infatti, gli omicidi delle persone impegnate attivamente nella salvaguardia dell’ambiente hanno raggiunto la spaventosa media di 4 persone a settimana. Secondo quanto riportato dal report redatto dalla ONG Global Witness, nel corso di quell’anno è di 227 il numero di persone che sono morte per difendere l’ambiente, le loro terre. Il nostro mondo.

Un numero che però non è destinato a fermarsi, come dimostra il primo brutale omicidio dell’anno. Un delitto individuale, ma soprattutto collettivo che rischia di perpetuarsi se non si agisce subito. E girarsi dall’altra parte, questa volta, non è possibile.

Noi non possiamo farlo perché quelle persone che hanno perso la vita, stavano lottando per salvare il mondo. E questa non può e non deve essere una ragione per morire.

Colombia, Filippine e Messico: dove si muore e perché

Il Sud America, come anticipato, detiene il triste primato delle vittime ambientaliste. Tra i luoghi più pericolosi, dove delitti e omicidi sono avvenuti, si annoverano la Colombia, le Filippine e il Messico che, da sole, portano il peso della metà degli omicidi avvenuti al mondo per la difesa ambientale.

In Messico, solo nel 2020, ce ne sono stati 30, mentre nelle Filippine 29. Agli omicidi compiuti, però, si affiancano anche le aggressioni, le violenze e le minacce raccolte da Global Witness, l’Ong per i diritti umani, che dal 2012 si affianca alle comunità indigene del mondo per combattere lo sfruttamento delle risorse naturali e la violazione dei diritti umani.

E se il 2020 è stato l’anno più tragico per chi combatte per salvare il pianeta, il 2021 non ci ha permesso di tirare un respiro di sollievo dato che almeno 145 persone sono state assassinate solo in Colombia, tra cui leader sociali e difensori dei diritti umani, secondo quanto riportato dall’Ansa. Il 2022, invece, è stato segnato dalla morte del giovane Breiner David Cucuñame López.

Ma chi sono le vittime di questo delitto collettivo? Le comunità più a rischio, come confermano i dati diffusi, sono proprio quelle indigene che rappresentano quasi la metà delle vittime totali. Gli omicidi, le aggressioni e le violenze avvengono soprattutto per poter continuare, senza intoppi, le opere di disboscamento illegali, quelle dell’agricoltura intensiva o delle attività minerarie per portare avanti l’agri business, anche a costo di uccidere gli uomini e il pianeta intero.

E anche a costo di morire, invece, gli altri hanno combattuto e continuano a farlo. Lo fanno per proteggere le risorse più preziose che abbiamo, quelle che appartengono al pianeta terra e non all’uomo. Quelle che a causa del delirio di onnipotenza sono state conquistate. Ma senza di loro chi ci difenderà?

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