Conduttore, volto televisivo amatissimo e uomo innocente che finì in carcere: Enzo Tortora è tutto questo e molto altro. Era il 17 giugno 1983 quando il volto della mitica trasmissione “Portobello”, venne arrestato alle 4 del mattino dai Carabinieri di Roma con l’accusa di traffico di stupefacenti e associazione di stampo camorristico.
A portare all’arresto e al cosiddetto “Caso Tortora”, furono le dichiarazioni di alcuni pregiudicati. In particolare Giovanni Pandico, Giovanni Melluso e Pasquale Barra, appartenente al clan di Raffaele Cutolo. Alle testimonianze false e alle menzogne si aggiunsero anche delle prove interpretate male, fra cui un nome scritto sull’agendina di un boss, in cui appariva il nome di Tortora e un numero di telefono. In seguito le indagini dimostrarono che la parola scritta era “Tortona” e che l’indirizzo non era collegato in nessun modo al presentatore.
Dopo la detenzione, il processo e la gogna mediatica, Enzo Tortora venne assolto in via definitiva dalla Corte di Cassazione, ma morì un anno dopo, deluso e stremato dalle calunnie e dal tentativo di difendersi. Nemmeno il suo ritorno a “Portobello” riuscì a restituirgli il sorriso e quel “Dunque… dove eravamo rimasti” esprimeva tutto il dolore e la sofferenza provati negli anni precedenti. Il 18 maggio 1988 Enzo Tortora abbandonò questa terra, lasciando quello che divenne nel corso del tempo un vero e proprio caso politico, ma anche l’amarezza di “Lettere a Francesca”, il libro che raccoglie le lettere che il conduttore scrisse alla compagna Francesca Scopellitti in quei 6 mesi di detenzione.
Un film di Ricky Tognazzi ha provato ha raccontare nel 2012 questa storia di ingiustizia italiana, ma probabilmente solo le figlie del conduttore, Gaia e Silvia Tortora, conoscono tutta la verità. Qualche tempo fa Diego Marmo, uno dei pm che l’accusò, ha deciso di chiedere scusa alla famiglia. “Dopo trent’anni è arrivato il momento – aveva detto -. Mi sono portato dietro questo tormento troppo a lungo. Chiedo scusa alla famiglia di Enzo Tortora per quello che ho fatto”. Stroncato da un tumore, il re di “Portobello”, volle essere seppellito con una copia de “Storia della colonna infame” del grande Alessandro Manzoni. Sulla sua tomba c’è un’epigrafe di Leonardo Sciascia: “Che non sia un’illusione”.