Oggi è sabato, e come tutti i sabati, avrei dovuto scrivere un’intervista, che tra le altre cose era già pronta. O almeno le domande e le risposte erano state già organizzate, ma la vita è quella cosa che accade, mentre tu stai facendo altro. E così l’altro è stato quello che le mie orecchie non avrebbero mai voluto sentire, tra una stories di Instagram ed un post di Facebook, sono cominciati ad apparirmi nella timeline messaggi di cordoglio per la scomparsa di un amico. Mi sono dovuta fermare, mettermi a sedere, per accertarmi che quello che stavo leggendo fosse la verità, e quando ho capito che il guerriero in giallo aveva smesso di soffrire ho lasciato che le lacrime prendessero il sopravvento, prima piano, poi sempre più forte, quasi ad accompagnare la morte.
Matteo Losa e Francesca Favotto, impossibile pensare al primo senza immaginargli accanto la seconda, due persone per bene, due anime pure, un ragazzo ed una ragazza che vivevano il loro amore con un terzo incomodo da dodici anni, un tumore. Per spiegarvi chi fosse quest’uomo talentuoso non basterebbe un giorno, forse nemmeno una settimana, ma proverò attraverso le mie parole almeno a raccontarvi perché con la sua scomparsa il mondo abbia perso davvero tanto. Io e Francesca ci siamo conosciute di persona ad un concerto a Padova, quello degli Skunk Anansie, ma in realtà le nostre strade si erano incrociate quattro anni prima, lei scriveva per un mensile che si occupava di matrimoni, io avevo scritto un libro che parlava di sesso e dolci, e così mi aveva intervistato.
Ed è proprio vero che la vita fa dei giri immensi e poi ritorna, nessuna delle due sapeva la storia dell’altra, ed è stato quando ce la siamo raccontata che abbiamo capito di avere più di una cosa in comune, ma una sopra tutte, la malattia del proprio compagno. In lei ho rivisto delle parti di me, l’amore matto e disperatissimo, il senso di protezione, la cura e la voglia di credere nel lieto fine. Sempre e comunque. Una guerra ad un destino infame, sempre messo di traverso. Poi un giorno mi dice che deve farmi conoscere Teo, il suo Teo, che sta partendo con un progetto pazzesco, di cui secondo lei, mi innamorerò. Aveva ragione. Matteo Losa aveva un dono, un dono grande, sapeva leggere le storie delle persone, sapeva ascoltare le loro confidenze, e sapeva trasformarle in fiabe.
Teo amava le fiabe, esorcizzava la paura scrivendole e raccontandole, dava speranza agli altri che ricambiavano con amore, e più la notte sembrava scendere, più lui continuava la sua narrazione. La nostra telefonata di conoscenza e intervista durò all’incirca quarantacinque minuti, lui mi chiedeva i particolari sulla nostra storia, e io gli chiedevo i suoi, e così tra una macchina della dialisi, una donazione di un rene e un trapianto andato a buon fine, lui mi raccontava del mostro che viveva dentro di lui da molti anni, di come avesse imparato a conviverci e dell’amore della sua bimba. Così chiamava Franci. La sua bimba principessa. Proprio come nelle favole. Ed è così che parola dopo parola, telefonata dopo telefonata, disegno dopo disegno era nata la regina Aiirin, la principessina, un re malato e Fiamma la fata madrina.
Non so spiegarvi quello che abbia provato leggendo la mia vita trasformata in fiaba, dove la macchina della dialisi era diventata un trono di metallo, l’insufficienza renale una ferita inferta dal fantasma di barbablù che gli aveva gelato il sangue strappandogli un pezzo di cuore, e la dottoressa Paleologo era diventata la fata madrina Fiamma. In ogni frase c’era la vita, in ogni dialogo un pezzo della nostra esistenza, in ogni parola una speranza. Matteo aveva davvero un dono, lui sì che aveva imparato che “Le fiabe non raccontano ai bambini che i draghi esistono. I bambini sanno già che i draghi esistono. Le fiabe raccontano ai bambini che i draghi possono essere uccisi.” Aveva preso queste frasi e ne aveva fatto il suo credo.
Matteo Losa sogna di diventare un calciatore professionista, deve fare un provino per una squadra molto importante, quando il maledetto bastardo si affaccia per la prima volta a distruggergli i sogni. Ed è allora che diventa il guerriero che noi tutti abbiamo imparato a conoscere e ad amare. Chiudete gli occhi e immaginatelo: lo avete mai visto senza sorriso? Non c’è una foto, un video, o una telefonata dove la sua voce non fosse interrotta da una risata. Erano contagiosi Teo e Francesca insieme, come quando vedi l’amore vero e ti viene voglia di provarlo, perché c’è quella luce particolare che rende tutto più bello.
Vivevano ogni minuto insieme consapevoli di quanto il tempo sia un dono, e non ne avevano mai abbastanza l’uno dell’altro, e più i sogni di Matteo si realizzavano più sembrava che quella luce si affievolisse, che quella malattia infame se lo mangiasse piano piano, e lui provasse a sfidarla. Centimetro dopo centimetro. Metro dopo metro. Ogni volta che raggiungeva un obiettivo se ne dava subito un altro, dopo aver scritto Piccole fiabe per grandi guerrieri per Mondadori, lo aveva travolto un’onda di affetto e di successo, perché chi conosceva Teo, non riusciva più a starne senza. Condivideva le sue giornate perché “La vita di ognuno è piena di spine: certo, non si soffre di meno a condividerle con gli altri fiori, ma almeno non si soffre più da soli”.
La sua pagina Facebook Matteo Losa Fairitales è piena di lui, piena dei suoi racconti, delle sue speranze, del suo dolore, piena dei suoi sorrisi. E di soddisfazioni. Già perché Teo, lo scrittore, fotografo, artista, calciatore e guerriero era riuscito a realizzare anche l’ultimo. Un romanzo. Il suo romanzo d’addio. E chissà se mentre lo scriveva era consapevole del tempo rimasto a disposizione, lui che ha combattuto anche con il dolore alle dita, lui che ad un certo punto non riusciva più a scrivere, ma che sapeva di doverlo fare per lasciare quest’ultima eredità alla sua principessa e al mondo intero. Un altro giorno insieme è il libro che uscirà postumo, il primo settembre 2020.
Perché Matteo Losa aveva già capito, sapeva che il tempo a sua disposizione stava per finire, e come ha detto oggi Francesca al suo funerale: “Tu mi stavi preparando, spingevi per un mio cambiamento, solo perché volevi che io mi vedessi con i tuoi occhi, gli occhi di chi mi amava. Eh no Teo, il cancro bastardo non ha vinto, che soddisfazione ci può essere a portare via la vita ad una persona che sorride anche di fronte alla morte?”
“La malattia come la guerra non si vince con la disperazione, ma con la speranza” – Matteo Losa.
Riposa in pace.