Un matrimonio in corsia. È quello che è avvenuto solo pochi giorni fa all’ospedale di Reggio Emilia, nel reparto di oncologia. A dire “sì” alla sua compagna è stato Eugenio Baldassarre, 44 anni, che però poi è morto solo una settimana dopo le nozze. A raccontare la storia è stata proprio la moglie e oggi vedova, Elisa Brogna. Ma la loro storia non è l’unica di questo tipo e arriva proprio mentre uno studio italiano apre a nuove speranze per i malati oncologici.
Le nozze in corsia di Eugenio, prima di morire
“Il 21 ottobre avremmo festeggiato i 21 anni insieme. Quasi la metà della nostra vita”, ha raccontato Elisa Brogna alla Gazzetta di Reggio. Una vita che però, nel caso di Eugenio, si è spezzata solo 8 giorni dopo il matrimonio, a causa di un tumore contro cui lottava da tempo. “Ci siamo sposati nel reparto di Oncologia otto giorni prima che morisse: una cerimonia intima, ma bellissima, i sanitari ci hanno aiutato a organizzarla e qualche medico si è perfino commosso”, ha spiegato ancora la donna. Il marito, ora deceduto, era originario di Lecce, ma viveva a Reggio Emilia da 11 anni: meno di un anno fa, a dicembre 2024, gli era stato diagnostica un tumore incurabile. Dopo alcuni mesi di cure, l’ex tecnico informatico, aveva quindi deciso di sposarsi con la sua compagna, che oggi lo descrive come “Buono, disponibile, sempre sorridente e positivo. Nella malattia è stato lui a dare coraggio a noi”.
I precedenti
I matrimoni in ospedale, specie in caso di persone affette da tumore (nella maggior parte dei casi incurabili, in fase terminale) non sono così rari. Con il passare degli anni, infatti, sono aumentati i pazienti che decidono di promettersi l’amore eterno, a prescindere dal decorso della malattia, proprio mentre si trovano ancora in corsia, sottoposti a trattamenti sanitari. Solo la scorsa settimana era successo anche in Toscana, protagonisti Francesco a Annarita. “Quando i medici hanno comunicato che non c’era più nulla da fare, ci siamo abbracciati e lui mi ha detto: sposiamoci ora”. È accaduto ad Arezzo, dove Francesco è morto dieci giorni fa a 33 anni, che si era ammalato nel 2024. Le loro storie hanno in comune con quelle di altre coppie, che hanno compiuto un percorso analogo, arrivando alla decisione di sposarsi, nonostante le limitate prospettive di vita.
Quando ci si può sposare in ospedale
Le nozze in ospedale, infatti, non sono appannaggio solo di coppie giovani o di mezza età. Anche Antonia e Nuccio, 64 e 81 anni, si sono sposati nel reparto di Oncologia dell’Ospedale San Carlo nel 2022. “Ci siamo conosciuti andando in bicicletta, uno sport che è sempre piaciuto ad entrambi. Pedalando insieme è nata una bellissima amicizia. L’amicizia piano piano si è trasformata in amore. Nuccio mi ha corteggiata per 4 anni. E mi ha aspettata per 4 anni. Io ho sempre difeso la mia libertà, ma poi l’amore ha avuto il sopravvento” raccontava all’epoca Antonia al settimanale Vita, dal letto di ospedale dove era ricoverata, al San Carlo di Milano in Oncologia. Le nozze, anche in condizioni terminali, sono infatti previste dalla legge. “Nel caso di imminente pericolo di vita di uno degli sposi, l’ufficiale dello stato civile del luogo procedere alla celebrazione del matrimonio senza pubblicazione e senza l’assenso al matrimonio, se questo è richiesto, purché gli sposi prima giurino che non esistono tra loro impedimenti non suscettibili di dispensa”, come prevede il Codice civile all’articolo 101, nei casi di nozze in tempi ristretti.
Nuovi studi oncologici che danno speranza
Intanto, però, arrivano i risultati di nuovi studi in campo oncologico, che infondono speranza ai pazienti. In particolare, una ricerca italiana, pubblicata sul numero di ottobre della rivista scientifica Nature Medicine e intitolata ‘Rome Trial’, mostra per la prima volta l’efficacia superiore delle terapie oncologiche personalizzate, rispetto alle cure tradizionali, nei casi di tumori nei quali si ricorre alla profilazione genomica. L’analisi, su base randomizzata, ha coinvolto 40 centri di oncologia su tutto il territorio italiano, per un totale di quasi 1.800 pazienti. L’obiettivo era confrontare l’approccio terapeutico standard, che segue le linee guida cliniche convenzionali, con uno di tipo sperimentale.
Lo studio sperimentale
In quest’ultimo caso i pazienti hanno ricevuto un trattamento mirato frutto di una precedente profilazione genomica individuale. La ricerca ha visto l’impegno di team di oncologi, patologi, genetisti, biologi molecolari, bioinformatici, radiologi, immunologi e farmacologi clinici. “I pazienti trattati con terapie personalizzate hanno mostrato un tasso di risposta obiettiva del 17,5%, significativamente superiore al 10% osservato nel gruppo controllo trattato con terapie standard – spiega l’Ansa – La sopravvivenza libera da progressione ha mostrato un miglioramento clinicamente rilevante, passando da 2,8 mesi del gruppo controllo a 3,5 mesi nel gruppo trattato con terapie personalizzate. Ancora più rilevante, la durata della risposta a 12 mesi ha raggiunto il 22% nel braccio sperimentale contro appena il 9% del controllo, evidenziando che le terapie guidate dalla genomica non solo producono più risposte, ma anche più durature nel tempo.
Una possibile svolta nelle cure
“Questi risultati non costituiscono semplicemente un miglioramento incrementale, bensì un autentico cambio di paradigma”, ha commentato Paolo Marchetti, direttore scientifico dell’Idi-Irccs di Roma e promotore dello studio. “Abbiamo fornito la prova che l’approccio personalizzato, guidato dalla profilazione genomica completa, è clinicamente superiore alle terapie standard nella gestione dei pazienti oncologici con malattia avanzata”, ha aggiunto l’esperto.