Er, quando e come servirà la scoperta di un nuovo gruppo sanguigno

La scoperta del gruppo sanguigno Er apre alla possibilità di conoscere l'origine di alcune malattie per arrivare a prevenirle

Pubblicato: 13 Ottobre 2022 12:43

Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

A, B, 0, AB. Poi aggiungiamo la positività o meno ad Rh. Quando facciamo riferimento ad un gruppo sanguigno, il pensiero corre subito a questa nomenclatura. Poi, di colpo, la scienza ci informa che ne esistono altri. Addirittura si parla di un nuovo gruppo, chiamato Er, di cui parla la rivista Blood annunciando la scoperta di un gruppo di ricercatori inglesi del National Health Service Blood and Transplant (Nhsbt).

Attenzione però: questo nuovo gruppo è molto importante sul fronte della conoscenza scientifica, perché ci permetterà di capire meglio l’origine di alcune patologie rare del sangue e curarle. Ma non è nuovo (in termini generali è stato identificato nel 1982) e soprattutto il valore della sua identificazione per i pazienti sarà da valutare in futuro.

Perché i gruppi sanguigni sono diversi

Conoscere il gruppo sanguigno è importante perché permette di ridurre i rischi che si creino problemi immunologici nel corso ad esempio di una trasfusione. Infatti sulla superficie dei globuli rossi esistono specifici antigeni (ovvero veri e propri “segnalatori” che li caratterizzano) mentre nel sangue circolano anticorpi attivi nei confronti di antigeni che normalmente sono assenti sui globuli rossi di ognuno. Il risultato è che grazie a questi meccanismi non produciamo anticorpi nei confronti dei nostri globuli rossi, che altrimenti verrebbero distrutti.

L’identificazione di Er è avvenuta proprio analizzando il sangue di pazienti in cui c’erano state emolisi, cioè processi di distruzione dei globuli rossi, particolarmente gravi. Studiando le caratteristiche dei malati sul fronte genetico si è visto che esistono cinque variazioni negli antigeni Er: le varianti conosciute Era, Erb, Er3 e due nuove Er4 ed Er5. Poi si studiato il Dna dei pazienti, identificando il gene che codifica gli antigeni sulla membrana delle cellule: si chiama PIEZO1.

La sua presenza è associata ad alcune malattie conosciute. In particolare si sa che le mutazioni del gene inducono patologie a carico dei globuli rossi e non solo, ma che soprattutto in presenza di questa situazione si potrebbero rischiare incompatibilità materno-fetali, ovvero situazioni in cui il sangue materno in pratica va ad “attaccare” i globuli rossi del futuro bebè perché non li riconosce come “propri” per il corpo della mamma.

Il fenomeno si può verificare se la mamma è Rh negativa e viene fecondata da un uomo Rh+, con il feto che è appunto Rh+. Questa incompatibilità può portare a seri problemi durante la gravidanza e va riconosciuta per tempo. Grazie gli studi su Er si potranno avere maggiori opportunità per giocare d’anticipo su eventuali reazioni crociate e per studiare ancor meglio strategie preventive che permettano di proteggere il feto dal potenziale e non voluto “attacco” immunitario della madre.

Speranze per la prevenzione

Il principale campo d’applicazione della scoperta, insomma, pare essere la medicina delle trasfusioni. Con la conoscenza di Er nelle sue diverse varianti si sarà più abili anche a prevenire questi rarissimi casi di incompatibilità di affrontare. In questo modo, si possono infatti evitare rarissime situazioni che vedono appunto i tessuti fetali come estranei alla madre, con anticorpi che attraversando la placenta possono attaccare i globuli rossi del nascituro distruggendoli.

Lo studio di Blood dice però di più: occorre prestare attenzione anche a questo fattore, quando ci sono quadri che non si spiegano con le comuni caratteristiche del sangue. Si tratta comunque di anticorpi che vengono visti solo sporadicamente e sui quali saranno necessari ulteriori studi: l’importante è sapere che grazie a questa ricerca gli studi sulle incompatibilità materno-fetali fanno un ulteriore, importante passo avanti.

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