Sempre più spesso leggiamo nelle cronache dei giornali ed in televisione di tradimenti o gelosie che finiscono in sede giudiziaria.
Siamo anche abituati che in queste vicende il ruolo di carnefice spetti all’uomo ma anche il “gentil sesso” spesso impersona questa disdicevole parte nella coppia. Ma perché la gelosia, il rifiuto, un tradimento possono portare gli individui a non badare alle conseguenze che i loro gesti possono avere?
Quando ci troviamo di fronte ad un tradimento iniziamo a pensare che siamo stati rifiutati, che non siamo all’altezza, che saremo abbandonati e lasciati soli e che dovremo affrontare un fallimento relazionale. Pensieri che vengono interpretati dal nostro cervello come una grave minaccia alla nostra stabilità emotiva e all’immagine di noi stessi.
Questi pensieri vengono poi “trasformati” in emozioni negative quali ansia, rabbia, stress, gelosia che a loro volta potranno generare condotte distruttive o autodistruttive. Ma perché, ad un certo punto, non siamo più capaci di controllare i nostri impulsi e agiamo la nostra rabbia in maniera disfunzionale?
La risposta è insita in quello che viene definito meccanismo di fuga o aggressione e che, in una condizione di potenziale pericolo o forte stress, attiva la parte più recondita del nostro cervello: quella rettiliana. Questo meccanismo fisiologico, utile e fondamentale fa sì che il cervello percependo un alto livello di stress, attivi condotte di aggressione o di difesa.
E’ un meccanismo automatico sul quale non abbiamo controllo, è alla base della nostra sopravvivenza ed infine bypassa la nostra mente razionale.
Ecco perché di fronte ad un tradimento o comunque durante un litigio è importante non superare una certa soglia di stress percepito, altrimenti l’escalation sovente porta a condotte distruttive incontrollate e a guai giudiziari.