Viviana Parisi, la depressione, la morte e il diritto alla sofferenza

Perché è facile sorridere, se sai come farlo, se sai mentire con gli occhi, se hai imparato così bene, che alla fine ci credi anche tu.

Pubblicato: 13 Agosto 2020 13:39

Irene Vella

Giornalista, Storyteller, Writer e Speaker

Scrive da sempre, raccogli emozioni e le trasforma in storie. Ha collaborato con ogni tipo di giornale. Ha fatto l'inviata per tutte le reti nazionali. È la giornalista che sussurra alle pasticcerie e alla primavera.

Il 3 agosto ero appena partita per una mini vacanza a Cesenatico con mia figlia più grande, quando è iniziata a rimbalzare la notizia della scomparsa di una donna con suo figlio dopo un piccolo incidente sull’autostrada Messina-Palermo. All’inizio, sono sincera, ho pensato a un allontanamento volontario causato magari da una lite in famiglia e, forse complici le serie tv, addirittura a un cambio drastico di vita.

Poi più passavano le ore, più la paura che fosse successo qualcosa di brutto ha preso piede. A questa sensazione ha contribuito anche il video postato dal marito – e opportunamente tagliato da alcuni siti di informazione – in cui lui diceva: “Torna a casa non ti succede nulla né a te né al bambino né a me (parte tagliata), hai fatto solo un piccolo incidente, ti aspettiamo tutti, ti amo.”

Fonte: ANSA
Viviana Parisi, il marito e il figlio Gioele – Fonte: ANSA

Certo che letta senza il “né a me” sono partite le illazioni e i tuttologi del web hanno iniziato le congetture e le sentenze: il marito l’ha uccisa e ha rapito il bambino, è tutta una montatura la picchiava a casa, erano vittime di abusi familiari. È dovuta intervenire la sorella della dj scomparsa per chiarire che tra Viviana e il marito non sussistevano problemi, e che quelle frasi erano legate ad una forma di crollo emotivo subito dalla donna durante il lockdown, periodo a seguito del quale la paura che qualcosa di brutto potesse accadere al figlio e al marito aveva preso il sopravvento nella sua mente.

La Parisi aveva alle spalle ricoveri in diverse strutture pubbliche ed era in cura con psicofarmaci, ma era una mamma presente, buona e affettuosa, così afferma il suocero. Poi i giorni sono passati e l’8 agosto la dj è stata ritrovata morta sotto un traliccio della luce, a poca distanza da dove avrebbe avuto l’incidente; di Gioele, il bambino, nessuna traccia.

Mi si è stretto il cuore per questa giovane donna, per questa mamma lontana dalla sua famiglia d’origine: una ragazza bionda, bella, solare eppure distante anni luce dalle foto che la rappresentavano, almeno stando alle descrizioni fatte dai parenti, da chi le voleva bene, da chi forse la voleva proteggere dai suoi demoni, anche quelli più nascosti.

Ed è allora che ho iniziato a pensare a quanto spesso i social ci rimandano immagini patinate che non sempre corrispondono alla realtà, in particolar modo se si tratta di persone che hanno a che fare con problemi legati al male di vivere, a quel buco nero che sembra risucchiarti senza una fine. Ho pensato ai suicidi di persone famose che fino al giorno prima avevano postato video sorridenti con la famiglia, o foto da copertina, tutto mentre la morte, di nascosto da occhi indiscreti, iniziava a mangiarseli da dentro.

Perché è facile sorridere, se sai come farlo, se hai imparato a mentire con gli occhi, se hai imparato a raccontartela così bene, che alla fine ci credi anche tu. Se negli anni alla domanda “Come stai?” hai imparato a rispondere “Tutto bene” anche se non è così, anche quando dentro il dolore ti mangia e fai fatica anche solo a respirare, però sorridi perché ti hanno insegnato che è giusto farlo.

Ti hanno detto che certe emozioni è meglio non mostrarle perché gli altri si spaventano, gli altri non vogliono vedere le persone tristi, non vogliono sentire parlare di malattie o di stati depressivi. Ti hanno insegnato che su Instagram vincono le influencer che campano di Photoshop, di culi al tramonto con qualche citazione di Bukowski, che su Facebook fanno migliaia di condivisioni le storie che finiscono bene, quelle che sembrano favole, perché le persone rifuggono la realtà, sognano il lieto fine, il ‘vissero per sempre felici e contenti’.

Ma non è sempre così. E allora cambiamolo questo mondo. Rivendico il diritto alla tristezza e al dolore, alla rabbia e al male di vivere, rivendico il diritto di poterlo raccontare senza essere giudicata, rivendico il diritto di parlare della depressione come una malattia, perché di questo si tratta.

Non di un capriccio, non di una malattia psicosomatica, ma di un serpente velenoso bastardo e silente, che si mangia i cuori delle persone da dentro, e tanto più è grave, tanto più è silenzioso. Ha imparato ad agire nell’ombra, tra una foto tra i faraglioni di Capri e una al lago di Braies, tra un motoscafo ed un kitesurf, tra un sorriso a trentadue denti e un aforisma dallo stile leggero. La depressione è difficile da riconoscere; se tutti ne cominciassimo a parlare, forse chi ne soffre non sarebbe più stigmatizzato dalla società, se chi si rivolge ad uno psicoterapeuta non venisse indicato come un pazzo, ma come una persona intelligente che si fa seguire da uno specialista, potremmo cominciare a gettare le basi per un cambiamento.

Il diritto di essere se stessi dovrebbe essere uno di quelli sanciti dalla Costituzione, perché la libertà di mostrarsi per quelli che realmente siamo, dovrebbe essere alla base della vita di ognuno di noi. Invece troppo spesso ci ritroviamo prigionieri di meccanismi che siamo noi stessi a creare, molte volte inconsapevolmente, più facilmente vittime del contesto sociale in cui viviamo, che non significa soltanto la cerchia degli amici più stretti con cui ci relazioniamo, ma anche la piazza social in cui ci mostriamo e che ci pone dinnanzi troppo spesso vite al limite della realtà.

Io non so quali fossero i demoni della mente di Viviana Parisi: so che era una mamma che amava tantissimo suo figlio, che si era trasferita per amore in una regione che non era la sua, so che era diventata una dj e si era fatta notare in un mondo prettamente al maschile, so che qualunque fossero le sue paure, la sua morte le ha cancellate tutte. Cosa sia successo nella sua testa quel 3 agosto 2020 nei 120 km tra il suo paese e il luogo della sua morte forse non lo sapremo mai. L’unica cosa che mi auguro è che in questa storia dai tanti luoghi oscuri i mostri della mente di questa ragazza abbiano risparmiato il suo bene più prezioso.

Gioele.

Fonte: ANSA
Viviana Parisi e il figlio Gioele – Fonte: ANSA

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