Orientamento sessuale: alla scoperta di tutte le sfumature dell’amore

Cosa si intende quando si parla di "orientamento sessuale"? Quanti ne esistono e quali sono? Come capire il proprio? Facciamo chiarezza insieme.

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Roberto Bernorio

Ginecologo, Psicoterapeuta e Sessuologo clinico

Medico specializzato in Ostetricia e Ginecologia, Psicoterapeuta e Sessuologo clinico, si dedica in particolare ai disturbi del dolore sessuale femminile e ai problemi di coppia.

Che cos’è l’orientamento sessuale?

L’orientamento sessuale indica l’attrazione sessuale e affettiva stabile e prevalente nei confronti delle altre persone. È importante distinguere l’orientamento sessuale dalle altre componenti dell’identità sessuale che non necessariamente sono dipendenti tra di loro, ovvero:

  • Il sesso biologico: è caratterizzato dal sesso cromosomico, dal sesso gonadico, dal sesso ormonale e dal sesso anatomico e fa riferimento alle caratteristiche biologiche che differenziano le femmine, i maschi e gli intersessuali, ovvero quelle persone i cui cromosomi sessuali, i genitali e/o i caratteri sessuali secondari non sono definibili come esclusivamente maschili o femminili.
  • L’identità di genere: fa riferimento a come una persona si percepisce rispetto al sesso assegnato al proprio corpo; può essere congrua oppure incongrua con il sesso biologico.
  • Il ruolo/espressione di genere: fa riferimento al modo in cui ogni individuo esprime, mostra e comunica la propria mascolinità e femminilità.

Rispetto alle altre dimensioni, l’orientamento sessuale riguarda non solo il soggetto in prima persona ma anche il suo legame con altri.

Le varianti dell’orientamento sessuale

Spesso si tende ad avere una visione dicotomica che vede l’eterosessualità e l’omosessualità come due categorie distinte e contrapposte, mentre occorre pensare ad un continuum lungo il quale la persona può situarsi. Inoltre, l’orientamento sessuale non è immutabile e, come le altre dimensioni dell’identità sessuale, può essere fluido.

Verso la fine degli anni Quaranta il biologo e sessuologo statunitense Alfred Kinsey condusse delle indagini grazie alle quali fu introdotta l’idea di una gradualità tra i diversi orientamenti sessuali: formulò una scala che sostituiva le tre categorie etero/omo/bisessualità con una valutazione del comportamento sessuale secondo un criterio di gradualità, la scala Kinsey era formata da sette livelli che permettevano di considerare l’orientamento sessuale come una sorta di scala graduata che andava dall’esclusiva eterosessualità all’esclusiva omosessualità, passando per diverse possibilità intermedie. Vediamo nel dettaglio alcune di queste possibili posizioni:

  • eterosessuale: chi percepisce attrazione verso persone del genere opposto;
  • omosessuale: chi percepisce attrazione verso persone dello stesso genere;
  • bisessuale: chi prova attrazione verso entrambi i generi;
  • asessuale: chi non è sessualmente attratta da altre persone (non prova attrazione sessuale), ma può comunque provare attrazione romantica e stabilire relazioni di lunga durata con persone dell’altro genere, del proprio genere o di entrambi;
  • pansessuale: chi è attratto da altre persone indipendentemente dal loro genere;
  • polisessuale: chi è attratto da un numero maggiore di generi.

Omosessualità e salute mentale

In passato l’omosessualità ha risentito dei pregiudizi e degli stereotipi negativi che consideravano tale orientamento sessuale come una malattia mentale, psichiatri e psicoterapeuti ritenevano infatti che le persone omosessuali andassero curate mediante le cosiddette terapie riparative, ovvero degli interventi che mirano a modificare l’orientamento sessuale dei pazienti.

Grazie ai primi studi condotti in questo ambito a partire dalla seconda metà del Novecento, il sessuologo Alfred Kinsey e la psicologa Evelyn Hooker hanno permesso di giungere ad una depatologizzazione dell’omosessualità, la quale ha iniziato ad essere considerata come una variante naturale della sessualità.

Nel 1973 l’omosessualità è stata rimossa dal Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM) dell’American Psychiatric Association (APA), riconoscendola come un elemento non patologico del comportamento sessuale. Nel manuale però rimaneva la diagnosi di omosessualità egodistonica, dove l’individuo vive in modo conflittuale il proprio orientamento omosessuale, abolita successivamente nel 1987.

Pochi anni più tardi l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha rimosso la diagnosi di omosessualità anche dalla Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD), considerando l’orientamento omosessuale al pari di quello eterosessuale. Questi cambiamenti hanno permesso di riconoscere le ripercussioni che tali discriminazioni possono avere sullo sviluppo psicologico delle persone e l’importanza di attenuare lo stigma antiomosessuale e di rispettare le diversità.

Come capire il proprio orientamento

C’è chi identifica rapidamente il proprio orientamento sessuale, e chi invece ha bisogno di più tempo per capirlo. L’adolescenza costituisce l’età in cui si inizia a diventare consapevoli dei propri impulsi sessuali, per gli adolescenti che scoprono di essere attratti da persone dello stesso sesso può diventare più difficile avere le idee chiare sulla propria sessualità a causa degli stereotipi e dei pregiudizi presenti nel contesto sociale.

Per poter capire il proprio orientamento è quindi importante non farsi condizionare da questi e sviluppare un’immagine positiva di sé per poter accettare con serenità la propria sessualità.

Un altro passaggio evolutivo importante è il coming out, ovvero la rivelazione del proprio orientamento sessuale. Quando e come dirlo non sempre è facile, soprattutto ai propri genitori e alle persone significative, ecco perché la definizione della propria identità può richiedere più tempo.

Se i dubbi dovessero rimanere, può essere utile rivolgersi ad uno specialista per essere accompagnati in un percorso volto alla comprensione e all’accettazione di sé.