Perché alcuni uomini scelgono di pagare per fare sesso?

Alcuni sono spinti da considerazioni pratiche, altri dalla ricerca di intimità o dal bisogno di soddisfare desideri particolari. Ecco le motivazioni ricorrenti.

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Veronica Colella

Sex Editor

Content writer con una laurea in Scienze antropologiche e un passato tra musei e archivi. Scrive di sessualità e questioni di genere da un punto di vista sex positive, con la consapevolezza che non esistono risposte semplici a psicodrammi complessi.

Non è detto che a rivolgersi alle sex worker siano soltanto gli uomini che soffrono di solitudine o quelli più sessisti. Da quando i clienti sono diventati oggetto di ricerca anche questo stereotipo è stato messo in discussione, mettendo in luce la varietà di motivazioni di chi cerca sesso a pagamento.

Dai dati disponibili risulta che la propensione degli uomini a pagare per il sesso non sia la stessa in ogni paese o cultura, commenta la ricercatrice Giorgia Serughetti nel saggio Uomini che pagano le donne (Ediesse). Tuttavia, anche nei contesti in cui è più bassa siamo ben lontani da poterla considerare un’eccezione. Gli uomini che comprano sesso sono uomini qualunque, single o sposati. Non è una questione di età, né di istruzione o occupazione. Esistono però motivazioni ricorrenti che permettono di avere un quadro più preciso dei diversi fattori in gioco.

Bisogno, controllo e piacere

Molti clienti fanno appello al bisogno fisiologico di sesso per motivare le loro scelte. L’idea che gli uomini abbiano “per natura” esigenze da soddisfare si ricollega a una visione essenzialista delle differenze tra maschi e femmine, attribuendo ai primi una carica sessuale più alta.

Possono quindi diventare clienti uomini che non sentono di avere alternative, paralizzati dalla timidezza o in difficoltà a trovare partner sessuali, così come possono esserlo in via temporanea uomini che tra una relazione e l’altra tornano a essere clienti. Altri invece si rivolgono alle sex worker durante trasferte di lavoro o in viaggio lontano da casa.

Il tema del controllo, precisa Serughetti, è ancora più complesso: ora che la società si avvia lentamente verso la parità di genere, il dominio temporaneo su una donna può assumere i contorni di una rivincita o di una compensazione. Il denaro può essere un mezzo per ristabilire le gerarchie, riaffermando un certo ruolo maschile. E poi c’è la ricerca di piacere, fisico o emozionale.

Altri corpi, altre pratiche

Anche rimanendo saldamente nell’ambito delle relazioni eterosessuali, la ricerca di alternative è una motivazione ricorrente anche tra clienti coniugati o in relazioni stabili. Nella sex worker si può vedere un’alternativa sia alla femminilità “esigente” e consapevole delle nuove generazioni, lontane dal modello remissivo e docile della femminilità tradizionale, che a quella rappresentata dalla propria partner.

Quella che per alcuni è ricerca di varietà sessuale, sia in termini consumistici che di ricerca dell’alterità (fisicità diverse, attrazione per la differenza etnico-razziale), diventa per altri la ricerca di un diverso tipo di sesso. Ai e alle sex worker si possono chiedere pratiche che mettono la partner abituale a disagio o che non si ha il coraggio di chiedere, da quelle comuni come il sesso orale a quelle alternative, kinky o legate al BDSM.

Intimità, comprensione e discrezione

La sessualità è fatta anche di intimità e non tutti i bisogni a cui si cerca di corrispondere sono strettamente fisici. Alcuni clienti riportano tra le loro motivazioni principali il bisogno di affetto, comprensione e ascolto, a volte proiettando sulla sex worker fantasie romantiche. La cosiddetta “girlfriend experience” tende a replicare all’interno del rapporto a pagamento manifestazioni di intimità emotiva e fisica tipiche dei rapporti di coppia.

Altri invece preferiscono il sesso a pagamento alle avventure – e alle app di dating – per ragioni di praticità. Comprare sesso significa stabilire confini chiari e precisi, assicurandosi inoltre un certo livello di discrezione. Per questo sono percepiti come rapporti meno impegnativi dai single e come meno rischiosi da chi è in una relazione stabile. Oppure, possono essere interpretati come forma “meno grave” di tradimento rispetto a una relazione extra-coniugale vera e propria.

La pressione del gruppo

Infine, giocano un ruolo anche gli altri uomini. In una circostanza o un ambiente in cui il sesso a pagamento è visto come normale, si sceglie di adeguarsi alla norma sociale per non perdere la faccia o per sentirsi parte di un gruppo. Non sempre si è alla prima esperienza, ma spesso si è giovani. Nella ricerca condotta da Grazia Moffa tra i clienti della prostituzione migrante in Campania, il 60% del piccolo campione preso in esame è diventato cliente condividendo l’esperienza con uno o più coetanei o (in misura minore) con amici più grandi. Chi si avvicina al sesso a pagamento in età più matura tenderebbe invece a farlo in maniera privata, autonoma.

Educare il cliente

Il fatto che le motivazioni dei clienti non siano sempre legate a logiche di potere e sopraffazione non significa che questa non possa verificarsi ugualmente, precisa Giulia Garofalo Geymonat in Vendere e comprare sesso (Il Mulino). Il livello di incoscienza dei clienti può essere molto alto, prosegue la ricercatrice, e sono ancora fin troppo frequenti i comportamenti insistenti o irrispettosi: per esempio clienti che contrattano al ribasso, che cercano di ottenere servizi diversi da quelli concordati o che sviluppano un attaccamento eccessivo.

Il termine ombrello “sex worker” nasce proprio per riportare l’attenzione sui diritti e la tutela di chi svolge una delle tante forme di lavoro sessuale (incluse le ballerine dei locali per adulti, o chi lavora in digitale tramite OnlyFans o piattaforme analoghe), spesso vittima di pregiudizi e discriminazioni, abuso e violenza.

Per responsabilizzare e coinvolgere i clienti, in alcuni paesi sono nati progetti educativi che mirano a renderli più coscienti del proprio ruolo, offrendo anche indicazioni su come riconoscere situazioni di tratta o prostituzione forzata.

Altri paesi hanno invece optato per il modello di criminalizzazione del cliente adottato dalla Svezia (detto anche “modello nordico”), punitivo anziché collaborativo. I sostenitori di questo modello non ritengono possibile l’esistenza di un mercato del sesso che non contempli lo sfruttamento e la coercizione, rifiutando per questo di riconoscere il lavoro sessuale come un lavoro a tutti gli effetti. Una posizione criticata dai collettivi di sex worker, convinti invece che il modello nordico riduca il potere di contrattazione di chi vende sesso, renda il lavoro più rischioso e incida negativamente su chi già vive situazioni di vulnerabilità e marginalità.