Come sempre, da quando è iniziata la pandemia da Covid-19, non si può parlare di certezze scritte sulla pietra. Ma in questa fase caratterizzata dalla diffusione rapida ed estremamente contagiosa della variante Omicron, che sta prendendo il posto di Delta e Delta plus dominanti fino a qualche settimana fa, viene da chiedersi come mai un ceppo virale possa arrivare a disperdersi negli ambienti con tanta efficienza.
Ed è questa la domanda cui stanno tentando di rispondere alcuni studi, che confermano comunque l’importanza del distanziamento e dell’impiego delle mascherine. E ci sono notizie importanti, che aumentano le conoscenze in questo ambito. Sempre ricordando che dobbiamo sempre proteggerci e che il vaccino, pur se non può evitare del tutto il rischio di contrarre l’infezione, rappresenta una difesa efficacissima dimostrata dalla ricerca nei confronti della malattia grave e del rischio di ricovero (anche in terapia intensiva) o decesso.
Aspettiamo a stringerci le mani
Prima di tutto, tranquillizziamoci. Anche Omicron risponde come le altre varianti alle strategie di disinfezione normalmente impiegate negli ambienti chiusi. Quindi ricordiamo una volta di più come l’attenzione alla pulizia delle mani e degli spazi comuni, con detergenti e disinfettanti efficaci, ci permette di difenderci. Ma non bisogna dimenticare che comunque la possibile permanenza del virus in questa sua recente mutazione potrebbe rappresentare un elemento in grado di spiegarne, almeno in parte e in concomitanza con le sue caratteristiche biologiche, l’elevata capacità di diffusione.
Ad ipotizzarlo è una ricerca condotta in Giappone, anche in fase di osservazione da parte dei valutatori e quindi presente solo sulla piattaforma di condivisione BioRxiv. Lo studio ha preso in esame la capacità di “resistere” negli ambienti e su superfici diverse da parte delle diverse varianti virali, compresa ovviamente Omicron.
L’indagine ha permesso di dimostrare che il ceppo Omicron potrebbe resistere più a lungo, anche per quasi otto giorni (ovviamente in assenza di contromisure) su materie plastiche. Si tratta di una sorta di record rispetto a tutte le varianti precedenti, che, comunque, hanno dimostrato di permanere potenzialmente infettanti per tempi minori sulle superfici stesse. Allo stesso modo, anche sulla pelle, Omicron potrebbe permanere anche quasi per una giornata intera.
Per questo, tra le misure che conviene comunque prendere, c’è il richiamo all’igiene personale utilizzando spesso il lavaggio delle mani e l’uso di disinfettanti cutanei, con una raccomandazione in più. Per il momento non conviene ancora lasciarsi andare ad effusioni eccessive e alla classica stretta di mano. C’è sempre il rischio, come accade per molti tipi di virus a partire da quelli per il raffreddore, che una persona del tutto inconsciamente possa anche trasmettere il virus con un semplice contatto dell’epidermide e conseguente passaggio alle mucose delle prime vie respiratorie.
E manteniamo le distanze
Una ricerca italiana, peraltro, dimostra che esiste un collegamento tra emissione di una carica virale nota di un soggetto infetto e le relative concentrazioni di Sars-CoV-2 nell'aria in condizioni controllate. Gli esperimenti condotti, oltre a stabilire che il virus SARS-CoV-2 si trasmette tramite aerosol ben oltre le distanze a lungo ritenute “di sicurezza” (1-1.5 metri), hanno confermato anche l’influenza esercitata dalla tipologia di attività respiratoria rispetto all’emissione di aerosol virale e alla conseguente diffusione nell’ambiente: come già anticipato da studi precedenti, le emissioni durante la fonazione (la produzione di suoni o rumori per mezzo degli organi vocali) risultano essere di un ordine di grandezza superiori rispetto alla semplice attività di respirazione.
A dirlo è una ricerca apparsa su Journal of Hazardous Materials, frutto della collaborazione tra l’Arpa Piemonte e l’Università di Torino da una parte e l’Università di Cassino e del Lazio Meridionale e la Queensland University of Technology di Brisbane. I risultati sperimentali forniti da Arpa Piemonte hanno, inoltre, validato un nuovo approccio teorico predittivo finalizzato a calcolare modellisticamente la concentrazione del virus in un ambiente indoor partendo dalle emissioni delle persone infette e dalle caratteristiche di ventilazione dell’ambiente.
Sulla base di questo strumento modellistico è possibile costruire politiche coerenti nella gestione degli ambienti interni e nella determinazione di misure di controllo per ridurre il rischio di infezione (ad esempio calcolando la massima occupazione degli ambienti indoor e la durata massima dell'occupazione).
"Questo studio colma finalmente una lacuna di conoscenza circa la trasmissione di Sars-CoV-2 con una solida evidenza sperimentale che risolve un tema controverso – sottolinea Il Direttore del Laboratorio di Virologia Molecolare dell’Università di Torino, David Lembo. Possiamo ora affermare che il virus può essere trasmesso per via aerea in ambienti chiusi e non solo attraverso le droplets. Un successo della ricerca italiana che permetterà di applicare i metodi sviluppati anche allo studio degli altri virus respiratori noti e a quelli che si potrebbero presentare in futuro".
Contromisure possibili? Secondo Giorgio Buonanno dell’Università di Cassino e del Lazio Meridionale, purtroppo “mascherine chirurgiche, distanziamento e vaccini non sono sufficienti ad evitare il diffondersi dell’infezione, come la variante Omicron ha ulteriormente dimostrato. Ma ci sono valide contromisure, di tipo tecnico-ingegneristico: ventilazione, riduzione dell’emissione, gestione dei tempi di esposizione e affollamento possono mitigare il rischio di infezione. Siamo in grado di mettere in sicurezza l’aria, a prescindere dalle varianti, come già è stato fatto con l’acqua”.