Dolore cronico, le donne sono più a rischio: lo dice il DNA

Il dolore è un campanello d'allarme dell'organismo ma può diventare patologia. Perché le donne soffrono di più

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Quando ci pungiamo con una rosa, quando ci feriamo, quando i denti non ci lasciano in pace o magari le ginocchia sono deboli, il dolore è un segnale chiaro che qualcosa non funziona. Ma è correlato al quadro che l’ha provocato e, col tempo, tende ad affievolirsi e a sparire, anche grazie ai trattamenti.

Ci sono però situazioni in cui il dolore non è più solo un sintomo, ma diventa esso stesso una patologia. È in questi casi che si parla di dolore cronico. E ne soffrono molte persone. Una ricerca dimostra che le donne sarebbero a maggior rischio di sviluppare questo quadro, per la presenza di una particolare condizione genetica che le differenzia dagli uomini. Lo studio, pubblicato su PLOS Genetics, è stato condotto da esperti dell’Università di Glasgow.

Quanti geni implicati

A spiegare perché il sesso femminile sarebbe a maggior rischio di sviluppare il dolore cronico è una grande ricerca genetica condotta su quasi 400.000 persone di entrambi i sessi, mirata proprio alla ricerca di quelle “varianti” (termine che siamo abituati a conoscere per Covid-19, ma si applica anche alle caratteristiche dei geni), che possono caratterizzare questa situazione.

Dall’indagine è emerso che nelle donne, 31 geni erano associati al dolore cronico, mentre 37 geni erano collegati negli uomini. Solo un singolo gene è stato associato al dolore cronico in entrambi i sessi. In un’ulteriore fase dello studio, si è visto che proprio quei geni risultano implicati nell’attività dei nervi del midollo spinale che hanno il compito di inviare i segnali di dolore al cervello.

Insomma: non si può ragionare sul dolore cronico senza pensare anche alle differenze di genere, con il genere del paziente che diventa una sorta di variabile, visto che lo studio, a detta degli autori, ha mostrato differenze sessuali sottili ma interessanti nella genetica del dolore cronico.

Diabete, ma non solo

Anche il dolore, insomma, può perdere le sue caratteristiche di segnale d’allarme dell’organismo che normalmente scompare quando la causa del sintomo viene eliminata. E magari si tratta di dolori che non sembrano lasciare pace e non trovano cure efficaci, proprio perché nascono in maniera diversa dalla norma ed hanno bisogno di terapie specifiche, in grado di “spegnere” l’eccessiva “eccitazione” delle cellule nervose.

Ad esempio quasi una persona con diabete su cinque nel tempo potrebbe sviluppare la neuropatia diabetica, una sorta di paradigma del dolore neuropatico. Ma si possono considerare dolori neuropatici tipici anche quelli associati ad alcune patologie del sistema nervoso centrale, come la sclerosi multipla o gli esiti di un ictus ischemico. Infine esistono forme “miste”, come può accadere ad esempio nella lombosciatalgia, il classico mal di schiena che si irradia in modo variabile anche all’arto inferiore.

Il dolore che prende origine direttamente dai nervi ha una caratteristica che lo rende tanto temuto: spesso nasce senza che esista uno stimolo specifico, ad esempio una sbucciatura o un’ustione, perché deriva da un’alterazione della conduzione nervosa. E magari si sviluppa a distanza dalla sede in cui dovrebbe avere origine.

Per questo, oltre ai casi sopracitati, può essere presente dopo un’operazione. Se per esempio un paziente sottoposto all’apertura dello sterno per un intervento al cuore o magari anche a un’incisione della parete addominale per riparare un’ernia inguinale, ha ancora dolore a due mesi o più dall’intervento, è probabile che questo sia dovuto non tanto ai processi di cicatrizzazione, ormai conclusi, quanto piuttosto alla sezione di fibre nervose sensitive o al loro intrappolamento da parte del tessuto cicatriziale. Ma si tratta solo di esempi. Importante è riconoscerlo per tempo per mettere in atto le cure più efficaci per queste forme di dolore. Lo specialista può indicare, caso per caso, i trattamenti idonei.