Debolezza da un lato del corpo, bocca storta, difficoltà a parlare o comprendere (afasia), muovere con minor forza un braccio, una gamba o entrambi, vista sdoppiata o campo visivo ridotto, mal di testa violento e improvviso, insorgenza di uno stato confusionale, non riuscire a coordinare i movimenti né stare in equilibrio.
È un lungo elenco di sintomi e segni quello che caratterizza la possibile comparsa di un ictus cerebrale. Ma c’è un fattore che lega tutte queste situazioni: la rapidità di risposta. Solo facendo presto si può arrivare alle cure mirate caso per caso, in base alle caratteristiche dell’ictus, e limitare i danni. Lo ricordano gli esperti di ALICe Italia Odv, Associazione per la lotta all’ictus cerebrale, in occasione della Giornata Mondiale dedicata alla patologia che si celebra il 29 ottobre.
Non perdiamo tempo
La World Stroke Organization ha voluto – per l’edizione 2021 – accendere i riflettori su quanto sia importante il riconoscimento tempestivo dei sintomi, lanciando il tema “Minutes can save lives”: i minuti cioè possono salvare vite umane, perché quando si tratta di ictus ogni perdita di tempo può causare problemi. Una persona su quattro verrà colpita da ictus nel corso della propria vita, ma ogni minuto è prezioso.
“Basti pensare che per ogni secondo che si ritarda dopo l'ictus vengono bruciati 32mila neuroni e per ogni minuto ben 1,9 milioni – spiega Andrea Vianello, neopresidente di A.L.I.Ce. Italia Odv”. (Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale)”.
Se compare anche uno solo dei sintomi precedentemente illustrati, è necessario chiamare subito il 112 (in quelle regioni dove è attivo il numero unico di emergenza) o il 118 perché è fondamentale che la persona venga portata il più rapidamente possibile negli ospedali, possibilmente dotati dei centri organizzati per il trattamento, cioè le Unità Neurovascolari (Centri Ictus – Stroke Unit). Questi reparti sono altamente specializzati per l’inquadramento clinico-diagnostico-terapeutico e per la miglior gestione della malattia - dalla fase acuta alla riabilitazione neuromotoria e cognitiva precoce fino alla prevenzione delle possibili complicanze.
È necessario dunque attuare tutte le strategie possibili per sensibilizzare i cittadini sul “fattore tempo” perché la finestra temporale per intervenire è racchiusa entro le prime 4,5 - massimo 6 ore, anche se un recente studio pubblicato sulla rivista Stroke (Time to Endovascular Treatment and Outcomes in the DAWN Trial) segnala, riportando numerosi casi, che lo spazio per un intervento efficace è stato ora allargato fino alle 24 ore.
Si tratta però di casi in cui i danni cerebrali sono circoscritti. Ovviamente, poi, occorre ricordare l’importanza della prevenzione: ben l’80% di tutti gli episodi potrebbe essere evitato, partendo proprio dalla individuazione delle condizioni sulle quali si può intervenire, grazie a opportune modifiche nel proprio stile di vita tenendo adeguatamente sotto controllo le patologie che ne possono essere causa.
Occhio ai battiti del cuore
“L’ictus è una patologia tempo-dipendente – ricorda Mauro Silvestrini, Presidente dell’Italian Stroke Association (ISA) e Responsabile della Clinica Neurologica Ospedali Riuniti di Ancona. I risultati positivi che possono essere ottenuti grazie alle terapie disponibili (trombolisi e trombectomia meccanica) sono strettamente legati, infatti, alla precocità con cui si interviene. È dunque fondamentale riconoscere il prima possibile i sintomi e chiamare il 112 per poter arrivare in tempi rapidi in Ospedale.
In questo modo si può pensare di ridurre non solo il rischio di mortalità, ma anche di evitare ictus particolarmente gravi, cercando di limitare danni futuri e soprattutto le conseguenze di disabilità, molto spesso invalidanti, causati da questa malattia”. Tra queste, è necessario segnalare la fibrillazione atriale, aritmia cardiaca che colpisce nel nostro Paese circa 1 milione di persone ed è la causa di circa il 20% degli ictus ischemici.
“Chi ne è affetto – segnala Ciro Indolfi, Presidente della Società Italiana di Cardiologia - vede aumentare di 4 volte il rischio di ictus tromboembolico, che risulta generalmente molto grave e invalidante perché l’embolo che parte dal cuore chiude arterie di calibro maggiore, con un danno ischemico a porzioni più estese di cervello; questa forma di ictus, infatti, determina una mortalità del 30% entro i primi tre mesi dall’evento e lascia esiti invalidanti in almeno il 50% dei pazienti”.
È dunque di fondamentale importanza ‘intercettare’ il più rapidamente possibile i pazienti con fibrillazione atriale e stabilire una terapia anticoagulante per ridurre il rischio di ictus, una volta effettuata la diagnosi o delle terapie attualmente disponibili.