Quindici parametri aiuteranno a definire il rischio di depressione post-partum

Identificati quindici marcatori biologici che riuscirebbero a definire il rischio post-partum: come funzionano

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

È un fenomeno davvero strano, quello della depressione nel periodo che fa seguito alla nascita di un bimbo. La mamma assume un umore cupo, che magari si manifesta già verso il termine della gravidanza.

Questa condizione, secondo le statistiche, colpisce circa il 10–15 per cento delle donne in gravidanza, indipendentemente dallo stato sociale e dalle condizioni economiche. Il problema è che, a fronte di terapie di vario tipo che possono aiutare la neo-mamma, solo in meno di un caso su due si arriva a riconoscere e diagnosticare la patologia, che peraltro, spesso, comincia a dare segni della sua presenza già prima della fine della gravidanza.

La grande sfida, quindi, è arrivare presto. In questo senso, la scienza promette un importante passo avanti, partendo dai risultati di una ricerca pubblicata su Translational Psychiatry. Quindici marcatori biologici, identificabili con un semplice esame del sangue, riuscirebbero infatti ad individuare tra le donne incinte quelle che sono più portate a sviluppare la forma depressiva, con un’attendibilità di oltre l’80%.

Cosa dice la ricerca

La ricerca ha preso in esame oltre 110 donne in diversi centri, seguite durante la gravidanza con valutazione trimestrali e poi anche nel periodo successivo al parto, sia sotto l’aspetto psicologico che sul fronte degli esami del sangue. Tra i parametri che vengono analizzati attraverso questi esami ci sono ovviamente quelli relativi all’infiammazione, che entra in gioco nella possibile genesi dei quadri depressivi.

Già di per sé, peraltro, la dolce attesa può diventare infatti un processo infiammatorio per l’organismo della gestante. Su questa base gli esperti coordinati da Lena Brundin ed Eric Achtyes hanno poi proceduto ad identificare quegli indici, individuabili attraverso semplici esami del sangue, che possono in qualche modo correlarsi alla comparsa di depressione.

Il motivo? Questi “segnali”, come vere e proprie impronte lasciate sul terreno biochimico dell’organismo della donna, potrebbero diventare indicatori efficaci del rischio possibile. Analizzando i risultati dei loro test gli esperti americani sono quindi riusciti a tracciare una sorta di “programma” di esami che potrebbero essere d’aiuto per cogliere le donne che più probabilmente potrebbero andare incontro a depressione post-partum, con conseguente opportunità di sviluppare percorsi di trattamento e monitoraggio personalizzati in questo senso. Ovviamente la ricerca è solo agli inizi, ma sicuramente apre la strada ad un percorso di grande interesse se queste osservazioni verranno confermate.

Ora è fondamentale che i parametri individuati come potenziali marcatori del rischio siano studiati anche nella logica di definire i valori “accettabili” o meno per ognuno di essi, e quindi approfondire la loro reale utilità.

L’importanza della diagnosi corretta

In attesa di questa sorta di “screening”, in ogni caso, rimane la realtà di un problema che purtroppo a volte non viene identificato. Le statistiche dicono che poco meno della metà delle donne che hanno bisogno d’aiuto in questo senso riceve un aiuto efficace che si concretizza nell’ascolto, nel sostegno e nell’adeguatezza delle cure. Il percorso per identificare eventuali problemi psicologici dovrebbe partire già durante la dolce attesa, quando compaiono i classici stati d’ansia in corso di gravidanza.

Queste condizioni aumentano progressivamente con il crescere della pancia e se sono presenti intorno alla trentaduesima settimana possono indicare un maggior rischio di depressione postatale. Oltre a predisporre alla depressione post-partum, inoltre, possono favorire il ricorso al fumo, all’alcol e all’impiego di sostanze psicoattive (che agiscono sul cervello).

La tipica depressione in gravidanza che si manifesta con umore profondamente triste o irritabile, stanchezza e agitazione, sensazione di inadeguatezza con mancanza di fiducia in sé stesse, perdita di interesse o di piacere nelle comuni attività, difficoltà di attenzione, concentrazione e memorizzazione, disturbi del sonno e dell’appetito.

Invece la classica depressione post-partum si manifesta quando la donna presenta da e per almeno due settimane umore depresso, mancanza di piacere e interesse nelle abituali attività e almeno cinque di questi sintomi: disturbi del sonno e/o dell’appetito, iperattività motoria o blocco quasi completo dei movimenti, faticabilità o mancanza di energia, sensi di colpa, bassa autostima, sentimenti di impotenza, ridotta capacità di pensare o concentrarsi e pensieri ricorrenti di morte.

Attenzione però: questo quadro, estremamente complesso, non va confuso con la semplice tristezza post-partum o “baby blues”, sindrome benigna transitoria che interviene nelle prime 48 ore dopo il parto e di norma si risolve spontaneamente entro una settimana. A differenza di questa situazione che si autorisolve, quando la donna entra nel tunnel della depressione vera e propria occorre comprendere la sua condizione e prendere le opportune contromisure.