Anoressia: cos’è, come si manifesta e cosa fare

Diagnosticare tempestivamente l’anoressia è molto importante per instaurare un trattamento efficace. Con l’aiuto dell’esperta facciamo chiarezza su questo disturbo alimentare

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Serena Allevi

Editor specializzata in Salute & Benessere

Da sempre innamorata della scrittura e dei libri, lavora come editor e copywriter da circa vent’anni nel mondo del benessere a tutto tondo.

Definibili come gravi patologie riconducibili non alla fame o all’appetito ma a problematiche di origine psicologica, i disturbi alimentari sono divenuti al giorno d’oggi una condizione che tocca da vicino tantissime persone. Basti pensare che, solamente in Italia, anoressia, bulimia e obesità interessano circa 3 milioni di individui, pari al 5% della popolazione.

La buona notizia è che si può guarire. A patto però che il disturbo venga diagnosticato con tempestività e che si instauri un percorso ad hoc, basato prima di tutto su una relazione di fiducia con il proprio terapeuta. Abbiamo parlato nello specifico di anoressia con la Dott.ssa Chiara Alfano, Psicoterapeuta sistemico-relazionale.

Cos’è

L’anoressia mentale, o anoressia nervosa, è un problema di ordine psicologico in cui l’intento è il controllo della propria immagine.

«Quando parliamo di anoressia mentale o nervosa ci riferiamo ad una condizione in cui non siamo di fronte alla mancanza di appetito – che è invece presente – ma al rifiuto del cibo perché non si vuole, o si sente di non poter/dover mangiare. Mara Selvini Palazzoli, pioniera degli studi sull’anoressia affermava già nel 1963 che, a differenza di altre malattie mentali, “nell’anoressia il cibo in sé permane come cosa amabile, desiderabile, interessante, importante, continuamente presente allo spirito. Esso non è mai ‘veleno in sé’. È l’atto del cibarsi che è diventato pericoloso e angoscioso, l’atto del nutrirsi”» spiega l’esperta.

La scelta di non alimentarsi fino a rischiare persino la morte, quindi, non costituisce un’anomalia dell’appetito, ma nasconde un grido di aiuto inespresso, la cui origine va ricercata nell’individuo e nella sua storia.

«Nonostante le più colpite siano le donne, l’anoressia è ormai diffusa anche tra gli uomini. Nella maggior parte dei casi, il disagio si manifesta tra i 12 e i 17 anni, anche se l’esordio risulta sempre più precoce, persino verso gli 8-9 anni» evidenzia l’esperta.

Anoressia e bulimia: quale differenza?

«Dal punto di vista linguistico, anoressia e bulimia sembrano indicare due situazioni opposte: “mancanza di fame” e “fame da bue”. Non è esattamente così, anzi, potremmo dire che rappresentano due estremi di un continuum che prevede, molto più frequentemente di quanto si pensi, delle forme intermedie, nelle quali una condizione subentra all’altra» spiega l’esperta.

Come evidenzia l’Associazione per lo studio e la ricerca sull’anoressia, la bulimia, i disordini alimentari e l’obesità (ABA), infatti, nel 75% dei casi odierni, l’anoressia si accompagna alla bulimia: quando la persona anoressica non riesce più a controllare la fame e cede all’istinto di sopravvivenza, infatti, perde il controllo e mangia tutto ciò che trova, per poi punirsi con il vomito autoindotto.

«Certamente, l’elemento comune tra anoressia e bulimia è il ruolo fondamentale svolto dall’alimentazione sul piano psicologico e della percezione di sé. Ciò che invece le differenzia sono le modalità con le quali questi aspetti vengono gestiti» continua la dottoressa Alfano «Se nel primo caso, l’anoressia, siamo di fronte a condotte restrittive sul piano alimentare, nel caso della bulimia vi sono ricorrenti abbuffate di cibo, a cui seguono comportamenti di compensazione volti a prevenire l’aumento di peso, come vomito autoindotto, abuso-uso improprio di lassativi, diuretici o altri farmaci, digiuno o esercizio fisico eccessivo» conclude l’esperta.

Come si manifesta: segnali e comportamenti

«Le persone che sono affette da anoressia nervosa cercano di mantenere un peso corporeo il più basso possibile: a questo scopo non mangiano cibo a sufficienza, praticano eccessivamente esercizio fisico, si provocano il vomito o fanno un uso smodato di lassativi. Nel tempo, il coinvolgimento nelle relazioni sociali si riduce notevolmente nel tentativo di evitare tutte quelle situazioni di convivialità che rischiano di interferire con le condotte di controllo alimentare. Spesso, poi, i soggetti hanno un’immagine distorta dei loro corpi e si percepiscono grassi anche in presenza di sottopeso» spiega la dottoressa Alfano.

Ma come ci si accorge di essere in presenza di un disturbo come l’anoressia mentale?

«Capita di frequente che ci si accorga tardi di aver sviluppato un disturbo alimentare, perché magari si è cominciato con una dieta o con l’eliminazione di alcuni alimenti e si ha una prima fase di benessere dovuta ai risultati raggiunti ed alla migliore percezione di sé. Ad un certo punto, però, subentra la paura di tornare allo stato precedente e insorge un’eccessiva preoccupazione ed attenzione all’immagine corporea, che può diventare una vera e propria ossessione. Il sintomo che generalmente funge da campanello d’allarme in questi casi è l’amenorrea (ndr. l’assenza del ciclo mestruale) dovuta alla considerevole perdita di peso. In altre situazioni, invece, le restrizioni alimentari assumono la forma di un vero e proprio “sciopero della fame”, generando un cambiamento rapido ed estremamente visibile» chiarisce l’esperta.

Fattori di rischio

Spesso ci si chiede quali siano i cosiddetti fattori di rischio, rispetto all’insorgenza dell’anoressia. E se vi sia una predisposizione all’anoressia mentale. Una domanda molto frequente soprattutto quando si tratta di sondare la crescita dei disturbi alimentari tra bambini e adolescenti.

«Più che di predisposizione possiamo parlare di fattori di rischio connessi al senso di autoefficacia e all’autostima: la componente culturale e la dimensione relazionale. Rispetto al primo elemento, è fondamentale sottolineare che i disturbi alimentari sono tipici delle società occidentali. Pensiamo ai modelli estetici, all’eccessiva attenzione riservata all’aspetto fisico, ai filtri per la modifica delle foto che distorcono la nostra immagine rendendola più vicina agli stereotipi di bellezza, fino alla pericolosa diffusione di siti, blog e gruppi social pro-ANA e pro-MIA (ndr. rispettivamente, pro-anoressia e pro-bulimia) nei quali si incita ad estremizzare i sintomi con un importante rischio per la salute e addirittura per la vita. Tutti questi fattori rischiano di generare o di aumentare il senso di inadeguatezza, sfiducia e scarsa efficacia, soprattutto tra le giovanissime» spiega la dottoressa Alfano.

Centrale è anche la questione “relazionale”, soprattutto all’interno della famiglia: manie di perfezione, quotidianità performante, confronti polarizzati (superiorità/inferiorità) e ansia da prestazione sono caratteristiche di dinamiche familiari predisponenti a questa tipologia di disturbo.

«Rispetto alla dimensione relazionale, è importante sottolineare il peso delle dinamiche familiari nello sviluppo di un disturbo alimentare. Molto spesso le madri delle ragazze anoressiche sono state marchiate come cattive madri, causa delle sofferenze delle proprie figlie. Mi sento di dire che sono le dinamiche familiari nel loro insieme a svolgere un ruolo estremamente importante, soprattutto perché l’insorgenza dei sintomi si colloca prevalentemente nella delicata fase adolescenziale, un momento nel quale si è chiamati a definire la propria identità. Non è raro che le famiglie con un membro che sviluppa un disturbo alimentare siano famiglie “ipercritiche”, nelle quali le relazioni si giocano sul confronto, sulla polarità superiore/inferiore» continua l’esperta «E infatti una caratteristica spesso associata alle ragazze affette da anoressia è la tendenza al perfezionismo, sono spesso studentesse e figlie “modello”: questo aspetto può essere fuorviante per i familiari che inizialmente rischiano di non accorgersi di quanto sta accadendo o addirittura di incoraggiare alcune condotte».

Come si cura

Dai disturbi alimentari è possibile guarire completamente. L’importante è porre massima attenzione ai primi segnali del disturbo e rivolgersi ad una o più figure professionali (che eventualmente lavorino in sinergia) per la diagnosi e per impostare un percorso ad hoc.

«A seconda dei casi si possono prevedere differenti percorsi. Il trattamento psicologico di elezione è quello familiare, spesso associato anche ad un percorso di psicoterapia individuale. Possono inoltre essere coinvolte altre figure professionali come medico, nutrizionista e psichiatra. È fondamentale chiedere aiuto tempestivamente: i dati ci dicono che i percorsi avviati nel primo anno dall’insorgenza dei sintomi hanno una prognosi migliore. Vorrei che passasse il messaggio che dai disturbi alimentari si può uscire e guarire completamente e che è importante chiedere aiuto ed affidarsi ai professionisti» conclude la dottoressa Alfano.

Fonti bibliografiche

ABA