Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.
Fonte: 123 RF
algodistrofia
Algos, in greco, significa dolore. Ed è ovvio che tutti i termini medici che riportano questa parola, in qualche modo, hanno in comune proprio la presenza di questo sintomo.
A volte si tratta di malattie non molto diffuse, come accade per l’algodistrofia che associa ad algos anche l’alterazione dei tessuti, ma non per questo meno temibili. E soprattutto da conoscere. Per questo la Società Italiana per la Gestione Unificata ed Interdisciplinare del Dolore muscolo-scheletrico e dell’Algodistrofia” (G.U.I.D.A) ha proposto di attivare per l’8 novembre la giornata mondiale dell’algodistrofia.
Colpite soprattutto le donne
Scientificamente, la definizione di questo quadro sarebbe sindrome dolorosa regionale complessa. Dal punto di vista epidemiologico sembra che le donne siano affette dalla sindrome tre volte più degli uomini con un picco di incidenza nel sesso femminile dopo i 50 anni, poiché spesso conseguente a frattura del radio distale, tipica frattura da fragilità, frequentemente prima manifestazione di una condizione latente di osteoporosi postmenopausale.
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La patologia si manifesta con un dolore molto intenso, che colpisce soprattutto mani e caviglie, sproporzionato rispetto allo stimolo doloroso.
Ma c’è un altro sintomo da non sottovalutare: si chiama allodinia. Si tratta in pratica della percezione di dolore a seguito di uno stimolo che normalmente non è doloroso. Questo disturbo si associa ad un’alterazione vasomotoria e ad infiammazione; quindi, si manifestano anche rossore o pallore, calore, edema e disturbi trofici.
La patologia, proprio per le sue caratteristiche, può quindi interessare tutti i tessuti: da quello scheletrico a quello muscolare, dai vasi al sottocutaneo fino alla cute. Solitamente fa seguito ad un trauma, come una frattura od una distorsione, che si complica con un’infiammazione a partire dall’osso.
Ma le cause scatenanti possono essere le più disparate: talvolta, nella storia del paziente ci sono ad esempio pregressi interventi chirurgici, procedure diagnostiche invasive, o l’uso di alcuni farmaci: alcune volte, non si evidenziano eventi scatenanti. La possibilità di riconoscere il quadro non è elevatissima e dipende dalla valutazione del medico, anche sulla scorta di specifiche indagini.
In alcuni casi può bastare una radiografia, ma più spesso diventano necessarie la scintigrafia ossea, che mette in evidenza l’alterazione locale del metabolismo osseo o la risonanza magnetica, che può evidenziare un quadro di edema osseo, ovvero la presenza di liquido nella struttura ossea.
Arrivare prima possibile è molto importante, anche al fine di ridurre il rischio che la patologia si complichi creando condizioni che possono diventare estremamente temibili, come l’atrofia dei tessuti, la rigidità delle articolazioni coinvolte ed osteoporosi focale.
La cura? Parlatene con il medico
Sul fronte delle terapie, ovviamente è il medico che deve indicare la strada. Per questa patologia dolorosa attualmente si impiegano, parlando di farmaci, quelli della famiglia dei bifosfonati. Uno di questi, in particolare, è stato approvato proprio per la cura della patologia. Ma soprattutto occorre non chiudersi in è stessi. Parlarne e segnalare al curante la situazione è il modo migliore per arrivare a riconoscere il quadro e a trattarlo al meglio.