Gli esperti parlano di una nuova epidemia e anche questa può essere piuttosto contagiosa. Ma a scatenarla non è né un virus, né un batterio, ma è la paura di essere brutti. Tra le insicurezze sul futuro che aleggiano nella nostra società, sembra ci sia anche quella dell’aspetto fisico, perché se si è brutti non c’è un lieto fine gratificante per nessuno.
E tutto parte da lì, proprio dai giovani senza futuro che sono sovrastati dalle immagini stereotipate nelle quali devono riconoscersi a tutti i costi, fin dall’adolescenza. Perché la bellezza è una cosa seria e chi non ne è provvisto è destinato a essere un emarginato.
Lo psicoterapeuta adolescenziale Pietropolli Charmet ha scritto anche un libro su questa epidemia che, anno dopo anno, fa sempre più vittime. In La paura di essere brutti vengono analizzati tutti gli scenari presenti e futuri delle conseguenze di questa società dell’immagine. Eppure, essere brutti è un tabù che appartiene da tempi immemori alla nostra società e scardinarlo non è affatto facile.
L’inadeguatezza agli standard e la paura di essere brutti
A nulla servono i messaggi e le attività del movimento body positive se poi, in copertina, troviamo quelle curve caratterizzate da una pelle lucente, un nasino all’insù e gli occhi da cerbiatta. Che poi come biasimare quelle determinate scelte di marketing? Siamo tutti inevitabilmente attratti dal bello e nonostante la soggettività dei gusti personali, guardare una cosa bella e una cosa brutta suscita emozioni senz’altro differenti tra loro.
E sono proprio quei canoni di bellezza oggettivi ad aver trasformato la società di oggi in un mondo contraddistinto da idee narcisistiche dove l’appartenenza alla categoria dei brutti diventa una vera e propria colpa da espiare. Perché le doti intellettive, le qualità caratteriali e qualsiasi altra caratteristica personale e univoca non contano più, perché ormai la percezione di inadeguatezza agli standard è così intrisa nel tessuto sociale da non poter essere più estirpata.
Come biasimare quindi quell’ossessione nei confronti della bellezza? La stessa che può inevitabilmente stabilire il nostro destino perché influisce su tutto, dalle relazioni al successo sul lavoro, passando per il sesso?
Bello è felice
Vorrei dirvi che nel corso della mia vita non ho mai pensato che essere bella, e anzi bellissima, avrebbe spianato inevitabilmente la strada verso il successo, che avrei trovato molte più facilitazioni sul campo lavorativo e forse anche su quello personale. Ma vi direi una bugia.
Perché l’ho pensato anche io che se fossi stata più alta e più bionda, se avessi avuto il naso perfetto e le labbra carnose sarei stata più attraente, mi sarei sentita accettata e sarei stata inevitabilmente più felice. Certo, è innegabile che alcune di queste percezioni, e non solo le mie, siano soggettive e provocate soprattutto dall’insicurezza di alcune persone piuttosto che di altre.
Ma che dire della bruttezza oggettiva? La verità è che a quella storia che la bellezza non conta nulla io non ci ho mai creduto, e probabilmente nessuno di voi. Del resto lo abbiamo già detto, viviamo in una società dove l’immagine non solo è tutto, ma è anche il nostro biglietto da visita. Perché non si giudica una persona dall’aspetto, ma dalla foto sul curriculum o sull’account della mail, sì.
E che dire della visibilità esponenziale alla quale ci sottoponiamo attraverso i social network? Uno sguardo alla foto profilo per catalogare la persona di turno tra i brutti e i belli. Del resto anche nelle nascita delle relazioni sentimentali funziona così, no? Basta guardare a Tinder o alle altre dating app per vedere come la scelta di uscire con una persona sia basata esclusivamente su una fotografia.
Lo facciamo tutti, nessuno escluso: ci giudichiamo a vicenda perché l’aspetto fisico è la prima cosa che si vede di noi e che notiamo negli altri. Ma cosa accade quando non si riesce ad andare oltre? E perché il giudizio del brutto non è commisurato a quello del poco intelligente?
La bruttezza è un tabù
La bruttezza è un tabù e questo non possiamo proprio ignorarlo, né tantomeno dimenticarlo in questa società che ci sbatte in faccia in ogni dove gli standard di bellezza che ha imposto per noi. E lo dimostrano la paura delle rughe e delle smagliature, quella dei chili di troppo e gli interventi estetici e chirurgici che devono coprire a tutti i costi ogni piccolo difetto scoperto, per poi agire sull’altro e sull’altro ancora.
E certo poi ci sono tutte quelle campagne volte all’accettazione di se stessi e dei propri difetti, quelle prese dalle agenzie pubblicitarie e dalle grandi aziende che hanno deciso di mettere in copertina le modelle taglia 48. Ma parlare di un problema non lo risolve necessariamente.
La differenza tra il giudizio estetico e quello intellettuale
Il vero problema sta nella grande differenza tra il giudizio estetico e quello intellettuale. Perché la stupidità, così come altri tratti caratteriali meno nobili sono guardati con compassione e, a volte, persino con tenerezza e simpatia, ma è la bellezza a determinare, come non mai, il successo nella vita.
Insomma si può essere stupidi, poco intelligenti, egoisti, infami. Eppure non c’è nulla al mondo che sia peggiore di essere brutti, ma ecco il rovescio della medaglia, si ricorre alla condanna e alla sentenza per giustificare in qualche modo quel senso di inferiorità percepito a causa della mancata bellezza: chi è bello è stupido, eppure tutti vorrebbero essere belli.
Perché è chiaro che l’aspetto conta e anche tanto, perché l’occhio vuole la sua parte ed è, tra i cinque sensi, quello che esercita la funzione primaria: guardare e osservare il mondo. Il giudizio, poi, viene dopo. Così quando incontriamo quella persona che ha un naso troppo grande, una bocca storta o qualsiasi altra caratteristica che non appartiene ai lineamenti che consideriamo belli per antonomasia, mettiamo in discussione la persona stessa. Ed ella, inevitabilmente, si mette in discussione a sua volta.
E le più grandi vittime di questo tabù sono sicuramente le donne, è in loro che sono poste le più alte aspettative degli standard di bellezza. E sono ancora loro, troppo spesso, a doversi giustificare per quei difetti estetici o le imperfezioni, quando basterebbe smettere di parlarne. No?
A tutto questo si aggiunge il fatto che le discriminazioni estetiche non sono vietate. La società combatte da secoli il razzismo, si batte per eliminare totalmente le discriminazioni etniche, sessuali e di genere, ma mai nessuno ha lottato per difendere la bruttezza. Forse perché è troppo soggettiva o forse per il timore di perdere una causa già persa in partenza.