“L’era del disagio”, come siamo messi con la salute mentale? Lo studio

Una ricerca fa il punto della situazione in Italia, per capire quali sono i problemi percepiti, le cause e come affrontarle

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Virginia Leoni

Giornalista e Lifestyle Editor

Nata nel 1981, giornalista, ufficio stampa e socia di una casa editrice, ha trasformato la sua passione in lavoro. Ama scrivere, leggere e raccontare.

Disturbi del sonno, ansia, apatia: sono solo alcuni dei maggiori problemi percepiti negli ultimi tre anni da un campione di italiani. Parole che ci restituiscono un affresco su come siamo messi con la salute mentale, su quali sono le difficoltà percepite, che ci spingono a non stare bene, e le risorse su cui facciamo affidamento per migliorare la nostra condizione.

Parole, dati, numeri che emergono direttamente dallo studio L’era del disagio, realizzato dall’INC Non Profit Lab, il laboratorio dedicato al Terzo Settore di INC – PR Agency Content First in collaborazione con AstraRicerche, tra gli italiani e le Organizzazioni Non Profit con il patrocinio di Rai per la Sostenibilità – ESG.

Un affresco che non a caso arriva in occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale, in programma il 10 ottobre di ogni anno, nata con lo scopo di far accrescere la consapevolezza, mobilitare gli sforzi e combattere stigma e discriminazioni, come viene riportato dal sito del Ministero della Salute.

A parlarci della situazione nazionale, quindi, è una ricerca che ha coinvolto cittadini e Organizzazioni Non Profit, per dare delle risposte e dei numeri da cui poter trarre considerazioni sui disagi e su come affrontarli.

Lo studio sul disagio psicologico

Non si arresta il disagio psicologico ma, se mai, cresce. È quanto emerge dai dati della ricerca portata avanti da INC Non Profit Lab: numeri alla mano si notano dati importanti. Come riportano sul sito ufficiale: “Il 60,1% degli italiani ritiene di convivere, da anni, con uno o più disturbi della sfera psicologica. Ne soffrono di più le donne (65%) e i giovani della Generazione Z (75%, con punte addirittura dell’81% nel caso delle donne)”.

Partendo proprio da questi dati, che raccolgono il punto di vista delle persone e di 40 Organizzazioni Non Profit, si vuole: “Aprire un confronto per cercare di comprendere meglio il problema e fornire indicazioni concrete alle istituzioni che nel nostro Paese possono e devono occuparsene”, si legge a corredo dei dati.

Se gli uomini che dichiarano di avere disturbi psicologici ammontano al 56 per cento, le donne arrivano al 65 per cento. Come anticipato i problemi maggiori riguardano disturbi del sonno, ansia, apatia, attacchi di panico, depressione e disturbi alimentari. Ed è sbagliato credere che siano tutte conseguenze del Covid: come riportato nella ricerca la pandemia è stata la tempesta perfetta, ma i problemi c’erano già.

Tra i dati allarmanti il fatto che per uscirne in molti abbiamo pensato al “fai da te”. La risposta alla domanda ha evidenziato percentuali che si concentrano proprio su quell’aspetto: da coloro che hanno cercato le risorse per farcela dentro sé stesso (29,4%), a chi ha ricevuto aiuto da amici e parenti (29,1%), passando per coloro che hanno aspettato che i problemi passassero (28,2%), per concludere con l’assunzione di prodotti e farmaci senza prescrizione (27,6%). Percentuali molto più basse, quelle di chi si è “rivolto al medico generico” (22.9%) oppure ha chiesto supporto a uno specialista (22,1%).

A quanto pare, poi, la ricerca ha anche confermato che il 10,8% dei ragazzi di età compresa tra 15 e 24 anni assumono psicofarmaci senza una prescrizione medica.

Quali sono le maggiori ragioni del disagio psicologico

Cambiano in base all’età e alla generazione di appartenenza, ma il risultato è lo stesso: sono le  cause di disagio psicologico. Al primo posto vi è la preoccupazione per un mondo che sta cambiando in peggio (guerra, povertà, inflazione, crisi climatica, emergenza sanitarie etc.), a dare questa risposta il 35,1% degli intervistati. Per la Gen Z, poi, si aggiungono chiusura in sé stessi (34,1%) e difficoltà a relazionarsi con gli altri (25,1%). A seguire spaesamento per la mancanza di valori sociali condivisi (23,4%), insoddisfazione per i propri percorsi professionali (22,4%, qui i valori più elevati si riscontrano da parte dei Millennials) e reazione a pressioni sociali troppo forti su obiettivi scolastici o sportivi (22,3%).

Sei le ragioni principali (ma ve ne sono anche altre altre) che minaccerebbero il benessere psicologico: forte stress da lavoro (quando c’è, è troppo pervasivo) o da disoccupazione, se non si riesce a trovarlo (46,5%); il bullismo e la violenza, fisica e verbale (42,1%); la dipendenza dalle tecnologie e dai social media (35,6%); il timore di abusi sessuali e violenza di genere (31,1%); la mancanza di accesso ai servizi sanitari di tipo psicologico e psichiatrico (30,6%); alcune gravi forme di discriminazione come razzismo, omofobia e sessismo (28%).

Ma come uscirne? Per gli italiani, ad esempio, dando dignità al lavoro attraverso un maggiore equilibrio con la vita privata e favorendo l’accesso ai servizi di assistenza psicologica. Per le ONP, invece, servirebbero politiche adeguate di supporto sociale (80%), fondi adeguati (63%), maggiore attenzione istituzionale sul tema (60%) e l’aiuto dei media, per continuare a tenere alta la guardia sull’argomento (45%).

La Giornata internazionale sulla Salute Mentale

Celebrata per la prima volta il 10 ottobre 1992, la Giornata internazionale sulla Salute Mentale è promossa dalla Federazione Mondiale della Salute Mentale e supportata dall’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS). L’argomento su cui si concentra quella del 2023 è La salute mentale è un diritto universale, ma nel passato ce ne sono stati altri: infatti il tema di riferimento è stato inserito solamente a partire dal 1994 e cambia ogni anno.

Prendersi cura della propria salute mentale è fondamentale, conoscere i termini giusti per parlarne anche. E a tal proposito è interessante l’iniziativa legata al lessico del benessere che elenca i termini corretti (inglesi, ma ormai presenti anche nel nostro vocabolario) per parlarne.

Da termini come burnout a mindfulness, a quelli più noti come stress a relax, la parole sono tante ed è utile conoscerle: un lessico del benessere su cui ha indagato Cambridge University Press & Assessment, brand frutto dell’unione di Cambridge Assessment – l’Ente certificatore della lingua inglese – e la casa editrice Cambridge University Press.

Sapere cosa dire e parlarne. Infatti, oltre alla terminologia corretta è fondamentale parlare di salute mentale, cosa che sempre più personaggi del mondo dello spettacolo stanno facendo riuscendo – anche – a togliere silenzio e stigma sulla questione.

Dalle star internazionali che si sono aperte nel corso del tempo, raccontando sé stesse e le proprie fragilità senza filtri, a quelle nazionali, che hanno fatto la medisima cosa, ogni voce conta. Parlare aiuta e ogni testimonianza può essere importante per sentirsi meno soli e per sapere che esistono delle strategie per stare meglio.