Afantasia: cos’è l’impossibilità di immaginare e quali sono le cause

L’afantasia è una condizione rara e particolare: chi ne soffre non è in grado di immaginare e di costruire immagini mentali

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Tatiana Maselli

Erborista ed Editor specializzata in Salute & Benessere

Laureata in Scienze e Tecnologie Erboristiche, ambientalista e appassionata di alimentazione sana, cosmesi naturale e oli essenziali, scrive per il web dal 2013.

Cos’è e in cosa consiste

L’afantasia è una particolare condizione che non consente di immaginare. Chi soffre di afantasia non è dunque in grado di creare volontariamente immagini mentali, visualizzando nella mente oggetti, scene, persone. La maggior parte delle persone è perfettamente in grado di visualizzare mentalmente la forma e il colore di un frutto, l’aspetto di un animale, il volto dei propri cari o di associare immagini mentali a concetti astratti. Le persone che sperimentano l’afantasia hanno invece una sorta di “cecità mentale” che non consente loro ricordare visivamente luoghi, volti di amici e familiari o di riportare alla mente particolari legati ad alcuni eventi. Chi soffre di questo disturbo può però sognare, quindi nell’afantasia sembra che l’immaginazione involontaria possa rimanere intatta a differenza di quella volontaria.

Non essere in grado di creare delle immagini mentali può causare frustrazione e diverse difficoltà. Nella lettura e nello studio, ad esempio, la capacità di immaginare è particolarmente importante ed è grazie alle immagini mentali che si ricordano schemi, figure, o anche l’ordine in cui sono stati presi appunti e il modo in cui si è sottolineato il libro. Grazie all’immaginazione riusciamo anche a sviluppare la creatività, visualizzando nella mente il risultato finale. Sebbene sia difficile comprendere come sia vivere senza poter visualizzare immagini mentali, è abbastanza intuitivo come l’afantasia possa essere limitante nella quotidianità. Fortunatamente, in chi soffre di afantasia il cervello sembra essere in grado di compensare la mancanza di immaginazione con altre strategie che supplisce alla cecità mentale.

Storia dell’afantasia

Già alla fine del 1800 si cominciò a riferire di persone prive di immaginazione, ma è solo dal 2000 in poi che si iniziò a parlare di afantasia. Il termine fu infatti coniato dalla parola greca “phantasia”, che significa “immaginazione”, dal dottor Adam Zeman, neurologo cognitivo dell’Università di Exeter in Inghilterra. Nei suoi lavoti, Zeman studiò l’incapacità di visualizzare immagini sottoponendo alcune persone a questionari relativi alle loro esperienze visive. Dalle risposte dei partecipanti emerse che la maggior parte di loro si rese conto solo in adolescenza, confrontandosi con altre persone o attraverso la lettura di libri, di non avere la capacità di richiamare intenzionalmente immagini nella propria mente. Quando furono pubblicati i risultati del lavoro di Zeman e del suo team, nel 2015, l’afantasia divenne oggetto di articoli di giornale e trasmissioni televisive e molte persone si resero conto di essere affette da afantasia. Molti hanno anche trovato confortante scoprire che esistesse un nome al loro disturbo, che prima di allora non erano state in grado di descrivere a parole. All’epoca emersero anche testimonianze di persone note affette da afantasia; è il caso di Blake Ross, sviluppatore americano che ha contribuito a far nascere il browser Firefox. Da allora centinaia di persone hanno compilato il questionario del dottor Zeman e, grazie ai risultati, si stima che l’afantasia colpisca circa il 2% della popolazione.

Cause e sintomi

L’afantasia è un disturbo raro che può dipendere da diversi fattori. Alcune persone soffrono di afantasia dalla nascita, quindi di afantasia congenita. Altre possono sperimentare l’afantasia in seguito a una lesione cerebrale. Raramente l’afantasia può comparire dopo un periodo di depressione grave o in chi soffre di psicosi. L’afantasia non causa sintomi fisici, dunque viene diagnosticata semplicemente sulla base di quanto riportato da chi ne soffre. Oltre all’incapacità di formare immagini visive, diversi individui con aphantasia riferiscono debolezza nella memoria autobiografica, nel ricordo di eventi della loro vita. Inoltre, molte persone che soffrono di afantasia hanno difficoltà a riconoscere i volti.

Poiché l’immaginazione è molto soggettiva e dato che la diagnosi si fonda su questionari, c’è anche il dubbio che l’afantasia non esista; le persone convinte di non essere in grado di creare immagini mentali potrebbero in realtà descrivere le loro immagini in modo diverso da come lo fa la maggior parte delle altre persone.

In alcuni studi si è però notato che l’incapacità di immaginare può essere mostrata osservando – grazie alla risonanza magnetica – la minore o maggiore attivazione delle aeree cerebrali coinvolte nella memoria, nella visione e nei processi decisionali. Chi non ha la capacità di visualizzare immagini mentali, sembra utilizzare maggiormente le regioni cerebrali associate al controllo del comportamento e della pianificazione, anziché quelle legate alla visione e alla memoria. Oltre alle aree cerebrali, sembra che anche la dilatazione delle pupille possa subire variazioni in chi soffre di afantasia. Normalmente le pupille si restringono e si dilatano in risposta alla luce ma le variazioni delle loro dimensioni possono comparire anche quando si creano immagini mentali a seconda che si immaginino oggetti o scene chiari o scuri. Queste manifestazioni legate all’afantasia possono dunque far pensare che l’incapacità di immaginare esista davvero e che non si tratti semplicemente di un differente modo di visualizzare oggetti, scene e persone nella propria mente o di descriverle agli altri.