Cosa fare quando un bambino non vuole andare a scuola

Nostro figlio non vuole andare a scuola? Quali sono le cause e cosa dobbiamo fare, la parola alla pedagogista.

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Giorgia Marini

Parenting Specialist

Ex avvocato. Blogger, con la laurea sul campo in Problemi di Mammitudine. Da 6 anni scrivo di gravidanza, maternità ed infanzia, sul mio blog “Stato di Grazia a Chi?” e su altre testate online. Racconto la maternità con brio, garbo ed empatia.

Riprende l’anno scolastico e, tra i rebus delle cattedre e la ripresa dei ritmi cittadini, con la speranza che sia un anno meno problematico di quelli precedenti, un problema può palesarsi in alcune famiglie: il bambino non vuole andare a scuola.

Accade da sempre, e sicuramente sarà successo anche a noi, ai tempi in cui eravamo le cause delle occhiaie dei nostri genitori, che i bambini non vogliano andare a scuola. Certamente, con l’inizio dell’anno scolastico, è un fatto alquanto comune. Se, infatti, da un lato, c’è l’entusiasmo dell’inizio, la voglia di rivedere i vecchi amici, dall’altro l’idea dei compiti, delle tante ore seduti tra i banchi, di una serie di regole da seguire dalle 8.00 alle 16.00, possono creare qualche ritrosia nei bambini.

Accade ancor di più se il bambino è all’ inizio di un nuovo ciclo scolastico, passando ad esempio dalla materna alla primaria o dalla primaria alla secondaria. Il nuovo inizio può spaventare, per le grandi novità, per l’assenza dei vecchi compagni di classe come per l’incognita delle nuove materie di studio o degli insegnanti che non si conoscono.

La scuola, rassicurante seconda famiglia per i bambini, ed anche fonte di amicizie, relazioni e crescita personale oltre che ovviamente nozionistica, può diventare causa di disagio per alcuni bambini, in una serie di circostanze.

Con l’aiuto della dottoressa Tania Cacciari, pedagogista, esperta di età scolare e dei disturbi dell’apprendimento, cerchiamo di far chiarezza su come affrontare i casi in cui i bambini non vogliano andare a scuola.

Il bambino non vuole andare a scuola: capriccio o reale disagio?

Quando ci troviamo di fronte a nostro figlio che non vuole andare a scuola, la prima cosa che pensiamo è che si tratti di un capriccio. Forse un capriccio legato alla voglia di stare ancora libero, in vacanza, a giocare in cortile, a cui, dal lato nostro, non dar peso. A volte, invece, alcuni di noi partono per la tangente cercando di sviscerare il problema, domandandosi quale sia la reale causa di questo malessere.

“La ripresa della scuola, a volte, può essere vissuta con fatica. La scuola comporta un cambiamento organizzativo rispetto ai mesi di vacanza, come la sveglia presto, il vestirsi, la gestione dei vari compiti e degli impegni, la richiesta di stare seduti in classe per tanto tempo, il conflitto con il gruppo dei pari, il confronto con altri adulti.

Come distinguere il capriccio dal disagio? In realtà, secondo me, bisogna cambiare lo sguardo: anche un capriccio è una manifestazione di disagio. Il bambino ci sta manifestando il suo malessere con le sue modalità comunicative. Il capriccio non è immotivato. I pianti e le urla sono un’ esplosione di emozioni incontrollata, che hanno alla base la richiesta di un bisogno. Sta a noi adulti cercare di modificare il nostro sguardo per comprendere meglio. L’adulto deve cercare di porsi in ascolto, di abbassarsi al livello del bambino, per comprendere cosa ci sta comunicando e quale sia la motivazione del rifiuto di andare a scuola.

Il pensiero del non voler andare a scuola appare alla sera, al mattino appena sveglio oppure fuori dal cancello? È importante considerare anche il contesto e l’ambiente in cui si manifesta. Se la sua ritrosia nell’ andare a scuola permane per un tempo prolungato, non si può più parlare di una normale poca voglia di ripresa degli impegni, considerando che la scuola per i bambini è divertimento ed esperienza ma anche responsabilità e fatica.

L’adulto che cerca di porsi in ascolto dei bisogni del bambino, cercherà di porre l’attenzione nel comprendere la motivazione. Si dovrà domandare se si tratti della fatica della sveglia mattutina; dei tempi di preparazione; del contesto classe, e degli eventuali problemi relazionali; della fatica nello studio; della difficoltà nel separarsi dai genitori e dall’ambiente casalingo.

Possono essere veramente tanti i fattori che possono determinare una fatica nell’andare a scuola e, attraverso un’attenta osservazione, possiamo comprenderli. Nel momento in cui riusciamo a capirli, possiamo diventare mediatori per il bambino, portando a dare parola e forma al suo disagio e accompagnandolo emotivamente”.

Bambino non vuole andare a scuola

Il bambino non vuole andare a scuola: quali sono i segnali

Sappiamo che i bambini piccoli, ma anche quelli più timidi ed introversi, a volte, non verbalizzano le proprie difficoltà. Possono nasconderle, far finta di non dar loro peso, quando sono più grandicelli. Se noi genitori non siamo particolarmente presenti nella loro quotidianità o stiamo vivendo un momento molto impegnativo dal punto di vista personale e professionale, potremmo non essere i grado di leggere i segnali che non trovano spazio nel linguaggio di nostro figlio.

Ecco quanto ci dice la dottoressa Tania Cacciari.

“I bambini mandano segnali anche non verbali quando non stanno bene in una situazione, per esempio accusano spesso mal di testa, mal di pancia, somatizzano il disagio e a volte possono avere anche degli attacchi di panico. Il compito dell’adulto è di accompagnare il bambino a chiarire il suo vissuto e a comunicarlo attraverso un percorso di meta-riflessione, in cui insieme si riflette sul suo stato d’animo e sulle strategie che si possono mettere in campo.

Fondamentale è accompagnare il bambino ad essere consapevole delle emozioni vissute, nominare e verbalizzare le emozioni e i pensieri che le influenzano. Importante è mantenere la calma anche nei momenti più intensi di rifiuti e protesta del bambino. Evitare di mettersi in modalità di sfida o di lotta, perché questa chiude il dialogo ed il confronto. Urlale, minacciare, dare ultimatum non aiutano il bambino ma creano una maggior distanza.

Non esiste una magia che fa passare la poca voglia di andare a scuola ma si può provare a mettere in campo delle strategie per aumentare la motivazione. Un bambino disinteressato alla scuola è un bambino poco motivato. L’adulto può mettere in campo l’ascolto, il tempo e la pazienza”.

Bambino fa i compiti di scuola

Cosa fare quando un bambino non vuole andare a scuola

Quando nostro figlio non vuole andare a scuola, il genitore può trovarsi di fronte ad una grande difficoltà. La gestione mattutina, in cui ogni azione è studiata al secondo, a cominciare dalla colazione, è una macchina organizzativa da brivido. Tutti i membri della famiglia, sul filo del rasoio, devono raggiungere la scuola e gli uffici, e avere una battuta d’arresto crea nervosismi e liti. Lo sclero mattutino, inutile mettere la testa sotto la sabbia, è comune in molte case, soprattutto lì dove i chilometri per raggiungere le rispettive destinazioni sono tutt’altro che irrilevanti.  Non c’è sempre tempo di discutere, di essere mediatori. Siamo genitori, con tutti i difetti del caso. Non siamo santi, non siamo psicologi. Nonostante tutto questo, se nostro figlio non vuole andare scuola, si deve cercare una soluzione, nel modo migliore.

Quando un genitore inizia a percepire che il rifiuto nell’andare a scuola permane per un tempo prolungato, e mettendo in campo diverse strategie, come anche il confronto con le insegnanti, rimane questa fatica, può chiedere un supporto a una figura specialistica come una pedagogista o una psicologa.

L’importante è non allarmarsi e non trasmettere al proprio figlio la preoccupazione e la paura, perché questo potrebbe portare ulteriori difficoltà nell’affrontare questo tema ( es. sentirsi in colpa ecc). Una cosa che può tranquillizzare i genitori, e di conseguenza anche i bambini, è il fatto che le esperienze sono fasi e tutte le fasi hanno un dopo, quindi una fase successiva.

Una figura terza può lavorare in supporto ai genitori e al bambino attraverso diverse metodologie professionali, individuando quelle più adatte a quel nucleo famigliare e alla storia del bambino”.

La Cacciari, dunque, ci rassicura sul fatto che non dobbiamo sentirci soli in questi casi e che il confronto con le insegnanti è fondamentale. Quando il disagio del bambino permane nel tempo si può chiedere il sostegno anche di una figura professionale ad hoc. La Cacciari ci suggerisce di aprirci ad un dialogo costante e continuo, che crei una comunicazione chiara con nostro figlio. In questo modo, sarà più semplice capire quale sia la fonte del problema e affrontarlo nel modo giusto. Non ci sono formule magiche ma una chiave va cercata nella motivazione da offrire a nostro figlio, grazie anche all’aiuto degli insegnanti.

Ora che sappiamo qualcosa di più su come affrontare il caso in cui nostro figlio non voglia andare scuola, non rimane che capire come fare quando noi non vogliamo andare a lavoro. Ma questa è tutta un’altra storia!