Stare in casa con gli amici, è meglio di uscire

Serate in case accoglienti, tra cucine hi tech, maxi divani e musica soffusa

Il frigorifero all’americana strabocca di delizie e non ronza. La musica preferita di sottofondo è diffusa dalle micro casse dello stereo e intanto qualcuno cucina manicaretti. Lvasca idromassaggio è quasi pronta e l’olio per l’aromaterapia sta già diffondendo i suoi effluvi.  Santo cielo, allora, perché uscire?

Ma sì, stiamocene a casa, sprofondiamo sul divano extralarge, godiamoci la luce soffusa del lampadario ultimo grido e restiamo accucciati sotto una copertina di cachemire o godiamoci la frescura artificiale del condizionatore, rintroniamoci con gli effetti speciali dell’home theatre. Però, mi raccomando, piano con l’hi-tech: che deve esserci, sì, ma non si deve vedere. Pena: passare per tecno-cafoni.

E gli spazi? Bene il loft e l’open space, ma tornano anche i volumi neo-borghesi, vale a dire gli appartamenti provvisti di tutti gli spazi che gli architetti d’interni hanno demolito per anni: l’ingresso, il corridoio, il disimpegno, il tinello, la sala da pranzo. Nell’epoca dei bilocali, è lo spazio “sprecato” il vero lusso. I divani? Maxi. I tavoli? Pure, visto che il must è ricevere. Anche in cucina, a patto che sia bella e raffinata, tecnologica e superaccessoriata.

Bando all’ostentazione – si scrive understatement e si legge snob – tranne in bagno, che dev’essere grande, grandissimo e multifunzionale: praticamente una Spa domestica. Una volta si chiamava sala da bagno, no? E che sala da bagno torni a essere: preziosa e arredata come il salotto buono – del resto ormai l’eleganza di una casa si giudica dal gabinetto – ma anche all’avanguardia in tutte le sue funzioni benessere: vasche dalle funzioni mirabolanti, docce simili a navicelle spaziali, rubinetteria gioiello, materiali inediti, saune e ionizzatori.

Quanto all’arredamento, riecco l’understatement, vale a dire lo spendere molto vantandosi di spendere poco e il fuggire dal lusso quanto è sfacciatamente tale. Il design la fa da padrone e surclassa l’antiquariato, accettato solo se il mobile prezioso è (o è spacciato come) un ricordo di famiglia. Spopolano i pezzi di modernariato, meglio se firmati, e i trofei da mercatino delle pulci. Morto il minimalismo ospedaliero, la casa deve essere eclettica e rispecchiare il carattere e le passioni di chi la abita. Quanto allo stile etnico, in continua e contagiosa ascesa, è consentito se abitato da viaggiatori o aspiranti tali, meno se a sceglierlo è chi ritiene che il non plus ultra dell’esotismo sia Milano Marittima.

«Così come un vestito non deve essere pensato solo per essere indossato da una top model e fotografato, allo stesso modo la casa deve essere pensata per chi la vive», parola di uno che di stile se ne intende, Giorgio Armani, che qualche anno fa ha visto lungo lanciando una sua fortunata linea casa, definita dallo stesso stilista «un’Ikea di lusso». Del resto uscire si esce sempre meno, e investire nel proprio nido domestico sembra essere più appagante che impazzire dietro agli alti e bassi della Borsa. Ne è convinto anche Jeremy Langmead, direttore dell’inglese “Wallpaper” rivista-bibbia dei bon vivant: «In tempi come questi – sentenzia – con il mondo in guerra e un’economia in lotta, diviene ancora più importante portare il pensiero sulle buone cose della vita: accedere al mondo perfetto, non dovrebbe essere visto come superficiale, ma salutare».