Perché le diete falliscono? Sei motivi per cui le diete non funzionano

Qualsiasi tipo di dieta può far perdere peso, ma raggiungere l’obiettivo più essere difficile: ecco sei motivi per cui le diete non funzionano

Foto di Roberta Martinoli

Roberta Martinoli

Medico Nutrizionista

Dopo una Laurea in Scienze Agrarie e un Dottorato di Ricerca in Fisiologia dei Distretti Corporei, consegue una Laurea in Scienze della Nutrizione Umana e in Medicina e Chirurgia.

Il sistema di ricompensa cerebrale

Sappiamo che la salute è legata all’alimentazione e allo stile di vita. Andando avanti con l’età, quando si perde il vantaggio legato alla giovinezza, tutti ci troviamo a fare dei buoni propositi. Piccoli dolori articolari, quel po’ di pancetta che ci vieta di vestirci come vorremmo, gli asterischi accanto ai valori ematici… sono tutti buoni motivi per mettersi a dieta e per investire un po’ di tempo in attività fisica. Ma di quanti seguono questo percorso, solo alcuni arrivano a modificare realmente le proprie abitudini incoraggiati dal fatto che dolori articolari, pancetta e asterischi scompaiono.

E tutti gli altri? Agli altri, quelli che falliscono, attribuiamo la qualità di scarsa determinazione. “Non ce la fa perché non ha volontà, non è determinato/a”. Oggi sappiamo che questi giudizi derivano dal fatto che esiste uno stigma dell’obesità. Sappiamo anche che l’obesità è a tutti gli effetti una patologia cronica, progressiva e recidivante (chronic relapsing and progressive disease) e che la forza di volontà da sola non può essere risolutiva.

Ciò nonostante sarà utile prendere consapevolezza di certi meccanismi che sembrano prendere avvio in maniera automatica. Sono molti coloro che, quando fanno una deroga alla dieta (magari perché un’amica li invita a prendere un caffè e insiste perché assaggino il pezzettino di torta), continuano a mangiare alimenti densi di energia mentre nel loro cervello gira il pensiero auto-sabotante “tanto ormai…”. Sotto questa spinta emozionale le calorie in più passano dalle 300 della torta alle 1500 della torta+ i cioccolatini + la pizza + quel pezzo di formaggio + i biscotti con il latte prima di andare a letto. Il problema poi non sono neanche quelle 1500 kcal in più. Il problema è invece che se è successo una volta succederà ancora, fin quando si arriverà a pensare di non essere in grado di stare a dieta e a questo punto ci si sente ancora più liberi di sgarrare. È probabile che nel tempo si instauri una sorta di dipendenza dai dolci e dal cibo spazzatura che ha le sue basi biochimiche nel sistema di ricompensa cerebrale (reward system).

Le convinzioni limitanti

Abbiamo tutti paura del giudizio e per questo aspiriamo alla perfezione. Essere perfetti farà sì che veniamo accettati dal resto del mondo. Così da adolescenti ci uniformiamo al gruppo pur di non risultare “diversi” perché abbiamo storicamente avversione per ciò che è diverso da noi. Essere grassi di certo ci pone in una condizione di vulnerabilità, ci espone al giudizio degli altri, e questo giudizio fa molto male.

Ma mentre siamo combattuti tra il desiderio della perfezione e la difficoltà di stare a dieta e pensiamo sempre più di essere dotati di scarsa forza di volontà, in realtà quello che sta succedendo è che siamo vittime di convinzioni limitanti. Una convinzione è un’informazione a cui crediamo in maniera assoluta, qualcosa che non metteremo mai in discussione e che ha l’ulteriore svantaggio di “limitarci” nelle nostre azioni. Le convinzioni limitanti di una persona che vorrebbe mettersi a dieta e che in realtà non ci riesce potrebbero essere:

  • “una persona grassa non dimagrirà mai”;
  • “sei spiccicata/o a tua nonna/tuo nonno che pesava 120 kg ed è morta/o di diabete”;
  • “stare a dieta è la cosa più difficile che ci sia”;
  • “anche se dimagrisci non pensare che diventerai più bella/o”;
  • “se dimagrisci tanto poi i chili li riprendi tutti e con gli interessi”.

La paura del cambiamento

La paura del cambiamento esiste perché ogni cambiamento comporta una perdita di equilibrio. Possiamo temere questo smottamento interiore di per sé oppure spaventarci di fronte a tutto ciò che di nuovo verrà come conseguenza del nostro cambiamento fisico. Questo timore unito alle nostre convinzioni limitanti fa sì che rimaniamo paralizzati tra mille incertezze. Ed è così che scegliamo di non mettercela tutta, di rimandare, di fallire. Tutti possono vedere che siamo su di peso, tutti pensano che abbiamo poca determinazione, tutti ci attribuiscono un valore in base al nostro aspetto e noi lasciamo che continui ad essere così… il nostro ruolo sociale e l’opinione che gli altri hanno di noi diventano parte della nostra confort zone. Si tratta di un ambiente virtuale che percepiamo come familiare e per questo sicuro.

Un esempio? Se un ragazzo va male a scuola potrà sentirsi sconfortato per i suoi insuccessi scolastici. I professori possono averlo inquadrato come uno studente poco diligente oppure possono pensare che sia scarsamente dotato. Il ragazzo sa che nessuno si aspetta di più da lui e tutto sommato questa è una posizione comoda. Può succedere però che cominci ad impegnarsi fino a prendere bei voti. Potete pensare che a questo punto il ragazzo si senta gratificato e orgoglioso del proprio successo. In realtà tra i tanti pensieri che gli girano in testa ce n’è uno che non è così potenziante e che suona più o meno così “Ce la farò da qui in poi a mantenere questo livello oppure sarò di nuovo una delusione per me e per gli altri?”. Il ragazzo è uscito dalla propria confort zone e percepisce un costante senso di ansia. Anche il dimagrimento è un percorso che ci porta lontano dalla nostra confort zone. Ma solo se siamo tanto saggi da scrollarci di dosso la paura del fallimento e quella del giudizio possiamo pensare di stare meglio.

La fame emotiva

Chi vuole portare avanti una dieta con successo deve saper distinguere tra la fame vera e propria e la fame emotiva. La fame emotiva è solitamente molto selettiva (ad esempio biscotti sì, mela no), è accompagnata da uno stato di irrequietezza, non si ferma quando siamo sazi e può causare vergogna e sensi di colpa. Chi di noi non è stato mai colto da un attacco di fame dopo una giornata stressante, una delusione, una lite?

Lo stomaco richiede dolci (the stomach dessert)

Immaginate questo scenario preistorico. Un salto indietro di 50.000 anni e siamo nel Serengeti. L’uomo che torna dalla caccia con la sua preda ha dovuto spendere una quantità enorme di energia, probabilmente più di 2000 kcal. La prima cosa che fa è cercare di compensare questa perdita. Dovrà assumere cibo per almeno 2000 kcal. Ma siamo sicuri che il giorno dopo e quello dopo ancora la caccia andrà a buon fine? Duemila chilocalorie non bastano, deve mangiare di più. Da qui, proprio da qui, deriva il nostro craving per i cibi densi di energia. Immagino che intuiate quali sono gli alimenti più densi di energia, quelli ricchi di zuccheri e di grassi. Dov’è che troviamo tanti zuccheri e grassi contemporaneamente? Nei dessert. Ecco perché, anche dopo un pasto abbondante, ci sembra di poter dire che per il dessert c’è sempre spazio.

Binge Eating Disorder, quando le cose si complicano

Se siamo tra quelli che perdono il controllo spesso e volentieri la nostra condizione potrebbe trovare una dettagliata descrizione nel DSM-V. DSM è l’acronimo di Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders. Si tratta del manuale dei disturbi mentali o psicopatologici più utilizzati da psichiatri, psicologi e medici di tutto il mondo ed ormai giunto alla quinta edizione. Nel DSM-V sono classificati i DCA, ovvero i disturbi del comportamento alimentare. Tra questi oltre all’anoressia e alla bulimia viene annoverato anche il Binge Eating Disorder o disturbo da alimentazione incontrollata. Si tratta di una condizione non così rara caratterizzata da episodi ricorrenti di abbuffate compulsive. Un episodio di abbuffata compulsiva è caratterizzato da:

  • mangiare, in un periodo circoscritto di tempo (per esempio entro un paio d’ore), una quantità di cibo che è indubbiamente maggiore di quella che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso arco di tempo in circostanze simili;
  • un senso di mancanza di controllo sul mangiare durante l’episodio (per esempio sentire di non poter smettere o controllare cosa o quanto si sta mangiando).

Se pensate che la vostra condizione somigli a quella appena descritta la cosa migliore da fare è riferirsi a uno psicoterapeuta esperto in DCA.

L’organo adiposo e la fame fisica

Accanto alla fame emotiva può esserci una fame fisica. Tra i tanti meccanismi che regolano la fame uno è quello legato alle dimensioni delle cellule adipose (adipociti) e al rilascio di leptina. Avrete sicuramente sentito parlare del tessuto adiposo come organo endocrino. Fino a qualche tempo fa il grasso corporeo veniva considerato una specie di magazzino nel quale accumulare le calorie in eccesso. Più recentemente, invece, si parla di organo adiposo e gli si attribuisce dignità di organo endocrino (cioè in grado di secernere sostanze nel corpo). La leptina viene rilasciata dalla cellula adiposa quando questa è colma di grasso. Questa sostanza si comporta come un vero e proprio ormone. Viaggiando lungo il circolo ematico giunge a livello del Sistema Nervoso Centrale inducendo senso di sazietà. Non a caso il termine leptina deriva dal greco leptòs che significa “magro”. All’estremo opposto troviamo la grelina, un ormone prodotto dallo stomaco quando è vuoto e capace di stimolare il senso della fame. Se volessimo approfondire questo discorso dovremmo citare altre molecole, molte delle quali prodotte a livello del nostro apparato gastroenterico. Evitiamo di farlo per non complicare troppo il discorso. Ci limitiamo invece a sottolineare una triste verità: poiché siamo stati selezionati nel corso delle carestie, i meccanismi che inducono fame e quelli che promuovono l’aumento del peso corporeo sono molto più forti di quelli che al contrario inducono sazietà e favoriscono la perdita di peso.

Basta tornare sul caso della leptina. Mi metto a dieta, i miei adipociti si rimpiccioliscono e cessano di produrre leptina. Ergo, con il dimagrimento scatta in automatico il senso di fame. È la Natura che lo prevede e fin qui la nostra forza di volontà non c’entra nulla. Semmai il nostro problema è quello di essere passati dai feast-famine cycles (i cicli di alternanza tra carestia e abbondanza di cibo) dell’epoca preistorica al feast-feast environment (l’ambiente abbondanza-abbondanza) della nostra epoca. Così si esprime Giles Yeo, uno dei massimi esperti al mondo di genetica dell’obesità.

Conclusioni

Iniziare una dieta non è una cosa semplice. Bisogna iniziarla avendo meditato su tutti gli aspetti che abbiamo visto. La dieta, intesa come stile di vita, vuole essere una strategia per stare meglio. Un atteggiamento troppo rigido, l’inevitabile fallimento, la frustrazione e il senso di colpa rischiano di diventare una vera tortura. La salute è il nostro bene più prezioso, è nostro dovere preservarla attraverso scelte corrette e consapevoli.