Mangiare velocemente fa male alla salute?

Mangiare velocemente fa male alla salute nella misura in cui priva l’organismo dei vantaggi di una masticazione lenta. Scopriamone di più

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Roberta Martinoli

Medico Nutrizionista

Dopo una Laurea in Scienze Agrarie e un Dottorato di Ricerca in Fisiologia dei Distretti Corporei, consegue una Laurea in Scienze della Nutrizione Umana e in Medicina e Chirurgia.

Conseguenze sul peso

L’idea che una masticazione prolungata possa contribuire al controllo del peso corporeo viene elaborata per la prima volta da Horace Fletcher. Rinominato “il grande masticatore” l’autore suggeriva di masticare fino a cento volte ogni boccone prima di deglutirlo. Da allora si sono succeduti una serie di studi e pubblicazioni a conferma dell’idea di Fletcher. Più volte è stato dimostrato che aumentare il numero di atti masticatori a ogni boccone comporta una riduzione della quantità di cibo ingerita sia nei soggetti normopeso che in quelli sovrappeso/obesi. Nonostante questa teoria sia molto pubblicizzata, sono molti quelli che ingoiano il cibo dopo una masticazione molto superficiale. Questo atteggiamento è in parte legato allo stile di vita frenetico, in parte alla qualità del cibo che abitualmente consumiamo. I nostri alimenti sono per lo più molto raffinati e poveri di fibre. Il pane che ritroviamo sulle nostre tavole, ad esempio, viene da farine bianche ed è estremamente soffice, molto diverso rispetto al pane nero e raffermo dei nostri antenati.

Ma quali sono i motivi che legano la masticazione prolungata alla perdita del peso corporeo? Quando il cibo, parzialmente digerito, passa dallo stomaco al piccolo intestino, in questa sede viene rilasciata colecistochinina (CCK). La funzione locale della CCK è quella di favorire l’afflusso di bile e di enzimi pancreatici a livello duodenale al fine di rendere possibile la digestione dei grassi. Parallelamente, questa sostanza dotata di un’attività ormone-simile viaggia attraverso il nervo vago che collega l’intestino al tronco cerebrale comunicando in questa sede il senso di sazietà. Di fatto la secrezione di CCK è legata, oltre che alla presenza di grassi nel mix ingerito, anche al fenomeno della distensione gastrica.

Altro ormone rilasciato da cellule specializzate presenti sul fondo dello stomaco e a livello del pancreas è la ghrelina. La ghrelina è un potente induttore di fame permanentemente espresso dallo stomaco quando esso è vuoto. La sua secrezione cessa quando le pareti dello stomaco si distendono per via del contenuto in cibo e liquidi. In altre parole, esistono specifici recettori di stiramento che se stimolati inibiscono il rilascio di ghrelina, l’ormone della fame, e promuovono il rilascio di CCK messaggero di sazietà! Perché però questi fenomeni avvengano occorrono circa 20 minuti dall’inizio del pasto. Se siamo abituati a masticare superficialmente in quei 20 minuti saremo in grado di mandar giù grandi quantità di cibo a scapito della nostra linea. Senza contare che una masticazione incompleta e frettolosa comporta una maggiore ingestione d’aria a causa della superiore quantità di spazio morto tra le particelle rispetto a quanto avviene per bocconi più sminuzzati (si pensi agli spazi lasciati dai granelli di sabbia rispetto a un equivalente volume di ciottoli).

Ricordiamo, infine, che una prima digestione inizia già a livello della bocca. Accanto all’azione meccanica vi è l’attività enzimatica operata dalla ptialina (o amilasi salivare) in grado di degradare l’amido liberando maltosio e destrine. Masticando a lungo stiamo dando importanza all’atto del mangiare e ci concediamo il tempo giusto per gustare a pieno il sapore dei cibi. Per tutte queste ragioni, più che soffermarci sul conteggio delle chilocalorie, dovremmo allenarci a masticare più a lungo. Non cento volte come suggeriva Fletcher, ma magari trenta o quaranta. Ci vuole un po’ di tempo per fare in modo che questa regola si trasformi in un’abitudine. Un suggerimento potrebbe essere quello di mettere giù le posate tra un boccone e l’altro.

Conseguenze sul reflusso gastroesofageo

Il reflusso gastroesofageo è un disturbo piuttosto diffuso che ha alla base un’alterazione anatomica e funzionale di esofago, sfintere esofageo inferiore e stomaco. Questa condizione clinica si manifesta con il sintomo noto come pirosi. Si fa riferimento con questo termine alla sensazione di bruciore che si avverte subito dietro lo sterno (lungo il decorso dell’esofago). La pirosi è la manifestazione dolorosa dell’azione irritativa del succo gastrico in sedi improprie, in particolare al livello dell’epitelio esofageo. In chi soffre di questa problematica, gli episodi di reflusso sono proporzionali alla durata del processo digestivo. Anche se in alcuni casi si impone la necessità di prescrivere dei farmaci, una delle prime azioni da mettere in atto è l’adozione di una dieta adeguata e l’acquisizione dell’abitudine a masticare lentamente.

Conseguenze sul microbiota intestinale

Pasti troppo abbondanti, specie se consumati in fretta, possono comportare:

  • eruttazioni,
  • rigurgiti acidi (pirosi),
  • dolore addominale,
  • gonfiore addominale,
  • alitosi,
  • alterazioni dell’alvo (stipsi o diarrea).

Questo corteo di segni e di sintomi è in parte mediato dall’azione del microbiota intestinale. La composizione dell’insieme di microorganismi che abitano nel nostro intestino può modificarsi in senso pro-infiammatorio quando la dieta non è adeguata dal punto di vista qualitativo e quantitativo e quando si ha la tendenza a masticare troppo velocemente. In questo caso finiscono con il prevalere le specie batteriche in grado di avviare processi fermentativi (a carico dei carboidrati e delle fibre) e putrefattivi (a carico delle proteine maldigerite).