Ictus, quante forme esistono e come sono cambiate le cure

Quali sono i sintomi dell'ictus, quanti quadri esistono e quali sono le nuove cure che dipendono dal tempo

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Debolezza da un lato del corpo, bocca storta, difficoltà a parlare o comprendere (afasia), muovere con minor forza un braccio, una gamba o entrambi, vista sdoppiata o campo visivo ridotto, mal di testa violento e improvviso, insorgenza di uno stato confusionale, non riuscire a coordinare i movimenti né stare in equilibrio: questi sintomi possono indicare che si potrebbe essere di fronte ad un ictus cerebrale. Ed occorre agire. “Minutes can save lives”: “una persona su quattro verrà colpita da ictus nel corso della propria vita, ma ogni minuto è prezioso”.

Questo è l’obiettivo della World Stroke Organization per l’edizione 2022 della Giornata Mondiale contro l’Ictus Cerebrale che, come ogni anno, si celebra il 29 ottobre. “Se compare dunque anche uno solo dei sintomi precedentemente illustrati, è necessario chiamare subito il 112 (in quelle regioni dove è attivo il numero unico di emergenza) o il 118 – ricorda Andrea Vianello, Presidente di A.L.I.Ce. Italia Odv (Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale)”.

Le cure dipendono dal tempo

Come ricorda Paolo Calabresi, Direttore della UOC di Neurologia della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e Ordinario di Neurologia dell’Università Cattolica, campus di Roma, occorre sempre ricordare che “il tempo è cervello”. “Questo si riferisce al fatto che la finestra ottimale per il trattamento con trombolisi (cioè con farmaci che sciolgono il trombo, in presenza di un coagulo che blocca la circolazione) in caso di ictus ischemico è di 4,5 ore, superate le quali il paziente non viene più trombolisato”. Ma forse è più corretto parlare al passato, perché oggi invece lo scenario è cambiato.

“Oggi la finestra ottimale per il trattamento – spiega Calabresi – più che il tempo, la definisce l’imaging. Attraverso le tecniche di neuroradiologia (TAC di perfusione e RMN) possiamo infatti vedere se è presente la cosiddetta ‘penombra ischemica’, cioè un’area cerebrale dove l’ictus non ha ancora prodotto un danno irreversibile e sulla quale è possibile intervenire attraverso la trombectomia, una procedura che consente di ‘catturare’ il trombo con una tecnica endovascolare. E in presenza di ‘penombra ischemica’ è possibile intervenire anche oltre le 4,5 ore e, in qualche caso, fino alle 24 ore dopo l’insorgenza di ictus. È un trattamento che il neurologo fa insieme al neuroradiologo interventista. I device per la trombectomia sono in continua evoluzione; sono una specie di gabbiette che catturano il trombo e lo portano via dalle arterie principali”.

l neuroimaging consente insomma di fare una medicina di precisione, individuando quei soggetti che, pur arrivando all’osservazione dello specialista dopo le 4,5 ore, possono ancora essere trattati con la trombectomia perché c’è ancora una quota di tessuto salvabile. Si tratta di un approccio avanzato nella terapia acuta dell’ictus. Ma non basta.  “Fino a qualche tempo fa ad esempio – spiega Calabresi – non eravamo in grado di trattare i pazienti con il cosiddetto “ictus al risveglio”, cioè quelli interessati dallo stroke durante il sonno notturno, perché non era possibile definire con precisione il momento dell’insorgenza dell’evento acuto e sapere dunque se rientravano nella magica finestra temporale delle 4,5 ore. Oggi questo criterio è stato in parte superato dalla finestra di imaging neuroradiologico”.

Le diverse forme di ictus

Attenzione: non bisogna dimenticare che sotto la dicitura ictus si raccolgono situazioni estremamente diverse tra loro, che vanno riconosciute per approntare cure specifiche. La lesione può infatti essere causata in primo luogo dalla chiusura di un vaso arterioso e in questo caso si parla di ictus ischemico: più o meno le lesioni cerebrali hanno questa origine in quattro casi su cinque. Possono essere coinvolti tanto le grandi arterie, come ad esempio le carotidi, così come i piccoli condotti che scorrono all’interno del cranio e irrorano specifiche zone del cervello. A causare questo fenomeno possono essere trombi presenti sulla parete dei vasi o emboli trasportati dal flusso sanguigno.

L’ictus emorragico, invece si manifesta in circa il 15 per cento dei casi ed è legato alla rottura delle pareti di un’arteria che quindi perde sangue e va a comprimere il tessuto cerebrale. Tra le cause possono esserci un drastico aumento della pressione, che porta i vasi a rompersi, oppure la rottura di un aneurisma, cioè di una dilatazione patologica della parete arteriosa spesso nemmeno percepibili. Ci sono poi casi in cui si creano le cosiddette emorragie subaracnoidee, con il sangue che si accumula tra il cervello e il suo rivestimento esterno. In questi casi, quasi sempre legati alla rottura di un aneurisma, ci sono segni abbastanza tipici come fastidio alla luce, un fortissimo mal di testa con vomito, in molti malati anche perdita di coscienza.

Infine ricordiamo che, che, come accade per il cuore in caso di angina, possono esserci temporanee carenze di sangue al cervello che non arrivano a causare danni permanenti me debbono comunque essere riconosciute precocemente, per capire come si può anticipare il vero e proprio ictus. Si chiamano attacchi ischemici transitori (TIA), e rappresentano segnali d’allarme perché possono provocare disturbi del tutto simili a quelli dell’ictus, che magari durano solo per pochi minuti.

Ad ogni ictus la sua nuova cura

“arà anche il primo evento nazionale dell’Istituto Virtuale delle Malattie Cerebro-vascolari (IVN) che, come la Rete IRCCS delle Neuroscienze e della Neuroriabilitazione (RIN), sono iniziative sostenute dal Ministro della Salute, che ha voluto dedicare questi istituti virtuali a patologie specifiche, mettendo in rete tutti gli IRCCS”. Nello specifico questo IVN comprende 25 IRCCS che si occupano di neuroscienze, ictus e malattie cerebro-vascolari, dal laboratorio al letto del paziente, dalla fase iperacuta (pronto soccorso e stroke unit), a quella della riabilitazione su tutto il territorio nazionale. L’IVN è coordinato dal professor Paolo Calabresi, di Fondazione Policlinico Universitario Gemelli IRCCS.

“Gli obiettivi – spiega il professor Calabresi – sono armonizzare protocolli e procedure di studio per offrire a tutti i pazienti lo stesso standard di diagnosi e cura, raccogliere ampie casistiche e campioni biologici per progetti di ricerca e trial clinici avanzati ma anche sviluppare modelli sperimentali preclinici per lo studio della patogenesi, l’identificazione di nuovi biomarcatori, target terapeutici e terapie innovative, percorsi formativi specifici”.

La rete si occupa soprattutto di adulti, ma all’interno dell’Istituto Virtuale sono presenti anche il Bambino Gesù di Roma e il Gaslini di Genova che si occupano di questa patologia anche in età pediatrica; l’IVN si occuperà inoltre di malattie cerebro vascolari nell’old e nel very old.

“Questo lavoro ‘in rete’ – prosegue il professor Calabresi – consentirà di costruire dei grandi data base (REDCap) di dati clinici, neuro-imaging ed esiti, da analizzare con metodiche di intelligenza artificiale per sviluppare dei Decision Support Systems (DSS) da utilizzare al letto del malato; questo consentirà di personalizzare le terapie, ottimizzando al contempo le risorse.  L’IVN lavorerà anche a livello internazionale con diversi partner, dalle società scientifiche, alle associazioni pazienti, all’industria a network internazionali”.

La trombolisi è un trattamento ancora molto diffuso, che non ha perso importanza, ma ha un limite temporale. Dopo le 4,5 ore dall’insorgenza non è più efficace e può dare effetti indesiderati. Sul versante farmacologico sono allo studio trombolitici nuovi (il Tenecteplase ad esempio utilizzato in cardiologia è adesso allo studio anche per la neurologia).

Sono inoltre in corso interessanti studi sperimentali su come trattare il paziente dopo la fase acuta. “Dopo la trombolisi o la trombectomia – rivela il professor Calabresi – potrebbe esserci una futura opportunità terapeutica con farmaci antinfiammatori, molto importanti nella seconda fase della morte cellulare indotta da ictus, per evitare che il danno si estenda oltre alla parte colpita della necrosi, per andare a interessare anche le aree limitrofe con meccanismi di danno diversi, di morte ‘ritardata’. Gli antinfiammatori sono un possibile target terapeutico futuro. Più lontana è invece la prospettiva delle cellule staminali.

Per quanto riguarda gli outcome del trattamento – prosegue il professor Calabresi – al Gemelli insieme al Gruppo Intelligenza Artificiale (IA) stiamo costruendo un avatar che, sulla base di dati clinici e di monitoraggio ematologico e radiologico, ci consentirà di predire la prognosi di un paziente con ictus. L’IA darà un importante contributo alla stratificazione della prognosi precoce dell’ictus e del rischio di gravità dell’accumulo di disabilità in un determinato paziente, che consentirà anche di orientare il percorso terapeutico”.