Disbiosi intestinale: cos’è, sintomi e rimedi

Con il termine di disbiosi si indica l’alterazione quali-quantitativa della flora batterica intestinale. Quali sono i sintomi e quali i rimedi?

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Roberta Martinoli

Medico Nutrizionista

Dopo una Laurea in Scienze Agrarie e un Dottorato di Ricerca in Fisiologia dei Distretti Corporei, consegue una Laurea in Scienze della Nutrizione Umana e in Medicina e Chirurgia.

Cos’è?

Con il termine di disbiosi si indica un’alterazione qualitativa e quantitativa della flora batterica residente nel grosso intestino. Al termine di disbiosi si contrappone quello di eubiosi che sta ad indicare il corretto assetto del consorzio microbico intestinale. Il microbiota intestinale, con la sua complessità e il suo numero elevato di geni, è in grado di condizionare profondamente il nostro stato di salute.

Si ritiene che, durante la vita intrauterina, il nostro ambiente intestinale sia completamente sterile. La prima contaminazione avviene al momento della nascita ad opera della flora vaginale materna. Negli anni a seguire il microbiota diviene via via più complesso arricchendosi dei batteri presenti normalmente nel nostro ambiente, nel nostro cibo, sugli oggetti e sulle persone con cui entriamo in contattato; ma rischia anche di impoverirsi a causa di un’alimentazione scorretta, dello stress, delle terapie alle quali ci sottoponiamo.

Di fatto, tutti siamo esposti al rischio di andare incontro ad una disbiosi intestinale a causa dello stile di vita, del cibo che mangiamo, delle terapie a cui ci sottoponiamo (vedi gli antibiotici), degli ambienti in cui viviamo e di quelli in cui lavoriamo. Sarebbe bello non sentirci mai stressati, fare regolare attività fisica e trarne piacere, mangiare il cibo appena raccolto e non manipolato, non ammalarci mai, non dover assumere farmaci e vivere e lavorare in ambienti salubri. Purtroppo queste condizioni si realizzano raramente e per questa ragione la disbiosi intestinale è una condizione piuttosto frequente.

Sintomi

Un intestino è sano se non presenta alterazioni anatomiche e funzionali. Cosa si intende per disturbo funzionale? Immaginiamo che un paziente, afflitto da importanti e persistenti sintomi gastrointestinali, si rechi da un gastroenterologo. Questi, una volta raccolta la storia clinica e fatto l’esame obiettivo, prescriverà una serie di indagini di laboratorio e strumentali (test di intolleranza al lattosio, screening per la celiachia, dosaggio della calprotectina fecale, ricerca del sangue occulto nelle feci, esame colturale delle feci, colonscopia). Qual è il motivo di così tanto zelo? Bisogna in primo luogo escludere la presenza di malattie gravi quali la celiachia, le MICI (Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali: morbo di Crohn e Rettocolite Ulcerosa), la colite microscopica, il cancro del colon-retto. Escluse tutte queste malattie, rimane il disturbo funzionale, legato cioè al cattivo funzionamento di un organo per tutti gli altri aspetti apparentemente sano.

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